In Italia le minoranze autoctone dell'arco alpino godono di una forte protezione giuridica. Tra queste però quella slovena è la meno tutelata
Di Francesco Palermo e Giulia Predonzani *
Le ragioni di una "tutela diffidente"
L'Italia è il Paese delle velocità variabili, e lo è anche in riferimento al trattamento giuridico delle minoranze. Delle dodici minoranze linguistiche autoctone riconosciute dall'ordinamento, quelle insediate nell'arco alpino godono di una protezione giuridica assai maggiore delle altre. Tra queste minoranze "superprotette", quella slovena è di gran lunga la più "debole". Non è tanto un fatto di numeri: gli sloveni italiani sono quasi 100.000, molti più dei ladini e poco meno dei valdostani. La lentezza con cui si sono garantiti i diritti della minoranza slovena, e il tortuoso e ancora incompleto percorso per la loro attuazione, hanno profonde origini storiche. Non pare un caso che la garanzia dei diritti degli sloveni sia andato di pari passo con le relazioni tra l'Italia e il loro Paese di riferimento (la Jugoslavia prima, la Slovenia poi), passando da una fase di conflitto e di guerra fredda ad una progressiva distensione, fino ai rapporti amichevoli dati dalla comune appartenenza alla casa europea.
La realizzazione di forme di tutela della minoranza slovena fu affidata anzitutto al Trattato di pace firmato dall'Italia con le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale e poi al Memorandum d'Intesa firmato a Londra nel 1954, che disciplinava il regime da riservare agli abitanti delle due aree già attribuite al Territorio Libero di Trieste. Il Memorandum prevedeva che la tutela della minoranza slovena nell'ex Zona A rimanesse affidata ai principi stabiliti dalla Costituzione repubblicana, ai suoi artt. 3 e 6, all'art. 5 del Trattato di pace ed in seguito alla sua approvazione nel 1963, all'art. 3 dello Statuto regionale del Friuli Venezia Giulia. Si trattava di principi piuttosto generali, anche se il Memorandum conteneva un catalogo più preciso di regole concernenti l'uso della lingua materna nei settori dell'istruzione, del pubblico impiego, davanti all'autorità amministrativa e giudiziaria, il bilinguismo nella redazione degli atti pubblici e nella toponomastica, la partecipazione allo sviluppo economico e alle attività culturali della regione.
Il passo successivo, verso una maggiore, sia pur controllata, distensione, fu compiuto col Trattato di Osimo del 1975, relativo ai rapporti bilaterali tra l'Italia e la Jugoslavia. Erano gli anni delle aperture alla collaborazione con la Jugoslavia titina e in particolare con le sue repubbliche settentrionali, attraverso le comunità di lavoro Arge Alp (1972) e Alpe Adria (1978). Il Trattato attribuiva definitivamente la Zona B dell'ex Territorio libero di Trieste alla Jugoslavia, demandando ai due Paesi la tutela delle rispettive minoranze, mostrando una fiducia forse eccessiva nella capacità degli Stati di garantire i diritti delle popolazioni minoritarie. A seguito della dissoluzione della Jugoslavia, la Slovenia (e la Croazia) le sono succedute nel Trattato.
Le garanzie restavano affidate a disposizioni di carattere generale e di limitata applicazione, a garanzia del rispetto formale degli standard internazionali, ma consentendo, nel contempo, una tutela "sorvegliata" dei diritti della minoranza, politicamente condizionata dall'evolvere delle relazioni bilaterali. Una prima, forte spinta verso il superamento di questa situazione di stallo venne dalla Corte costituzionale, che, dopo diversi richiami, riconobbe nel 1982 la diretta applicabilità dei disposti programmatici degli artt. 6 Cost. e 3 statuto del Friuli Venezia Giulia, facendone discendere una tutela minima che consentiva agli appartenenti a tale minoranza di essere interrogati a richiesta nella loro lingua madre e di ricevere risposta in tale lingua nei rapporti con le autorità giurisdizionali.
Iniziava intanto anche una sia pur timida attività normativa della Regione Friuli Venezia Giulia, che veniva dotandosi di apposite normative per ciascuna delle minoranze linguistiche presenti sul suo territorio (in particolare con la legge regionale 46/1991 per la minoranza slovena), dando così un contenuto più concreto ai principi di tutela contenuti nello statuto regionale. La disarticolata normativa di protezione, derivante dall'intreccio di accordi internazionali, atti legislativi o amministrativi statali, regionali o statutari, rimaneva limitata alle province di Trieste e di Gorizia, mentre nessuna forma di tutela, salvo quelle previste dalle leggi regionali, si riferiva al nucleo udinese, provincia estranea alle vicende dell'immediato dopoguerra e alle questioni inerenti la sovranità di Trieste.
La nuova fase: la legislazione dell'ultimo decennio
Con l'approvazione della legge quadro per la "tutela delle minoranze linguistiche storiche" (l. 482/1999), alla minoranza slovena vengono attribuite una serie di prerogative che ricalcano l'elenco e la struttura dei diritti della Convenzione Quadro del Consiglio d'Europa, in particolare riferibili agli ambiti dell'istruzione e dell'insegnamento delle lingue minoritarie, all'uso pubblico della lingua, alla toponomastica ed ai media, aumentando sensibilmente il coinvolgimento delle Regioni e degli enti locali nella tutela e promozione delle minoranze linguistiche presenti nei loro territori. Di lì a poco viene poi approvata una legge specifica per la minoranza slovena (l. 38/2001), che contiene provvedimenti "globali" ad essa puntualmente rivolti, e per la prima volta se ne sancisce la presenza anche nella provincia di Udine. In particolare la legge garantisce il diritto al nome o al suo ripristino in lingua slovena, sviluppa il diritto all'uso della lingua nei rapporti con l'amministrazione, nella toponomastica e nella scuola, istituisce un Comitato istituzionale paritetico per i problemi della minoranza slovena e promuove la collaborazione tra le popolazioni di confine e la minoranza e le sue istituzioni culturali, in un clima di mutuo confronto, per promuovere ed implementare politiche unitarie sui territori contigui.
Nel breve volgere di un paio d'anni, insomma, il quadro normativo si è sviluppato più di quanto sia avvenuto in mezzo secolo. Non solo. Più recentemente, una legge regionale (26/2007) ha ulteriormente integrato la normativa nazionale, definendo le linee fondamentali delle politiche d'intervento della Regione a favore delle diversità culturali e idiomatiche presenti nel proprio territorio. Si prevedono forme di collaborazione tra le identità linguistiche regionali, viene istituito l'Albo regionale delle organizzazioni della minoranza linguistica slovena, s'indicano i requisiti per le organizzazioni di riferimento della minoranza e viene creata un'apposita Commissione regionale consultiva, nonché una segreteria del Comitato istituzionale paritetico. Si dispongono poi specifiche azioni di settore, volte a facilitare la tutela, promozione e conoscenza della cultura della quale la minoranza è espressione, attraverso l'indicazione di appositi stanziamenti finanziari.
Nonostante un significativo sviluppo del quadro normativo, la sua attuazione, tuttavia, procede con lentezza, come se la lunga fase del "sospetto" verso la minoranza slovena continuasse ancora a proiettare la sua ombra. La proposta di nuovo statuto della Regione, che (magari forzatamente) ne indicava la natura plurilingue e multiculturale, è stata affossata nel corso dell'esame parlamentare dopo essere stata approvata dal Consiglio regionale. Solo nel dicembre del 2007 è entrato in vigore lo sportello unico statale per gli sloveni, previsto dalla legge 38/2001, per far convergere in un unico punto i servizi in lingua slovena da parte degli uffici statali, ed è iniziata la stampa dei documenti di identità bilingui. Inoltre, il frazionamento territoriale (ma anche politico e culturale) della minoranza all'interno della Regione pone degli ostacoli alla diffusione dello sloveno come lingua comune per l'insieme delle comunità, in particolare dei gruppi della provincia di Udine (Slavia Friulana), che spingono per un'esaltazione delle peculiarità culturali e storiche locali.
La tutela della minoranza slovena sembra insomma continuare ad essere il prodotto risultante dalla combinazione di aspetti diversi e non direttamente collegati, e il suo sviluppo, per quanto molto marcato negli ultimi anni, è sempre a traino di qualcosa d'altro. Talvolta anche della sua stessa ombra.
* Francesco Palermo è professore di diritto costituzionale comparato nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Verona e Direttore dell'Istituto per lo studio del federalismo e del regionalismo, Accademia europea di Bolzano.
Giulia Predonzani è laureanda in studi giuridici europei, internazionali e comparati, Facoltà di Giurisprudenza, Università di Trieste