E' ormai chiaro, gli albanesi hanno seri problemi nel confrontarsi con la loro storia recente. Media, studiosi e politici alle prese con il totalitarismo. Un editoriale
(Quest'articolo è stato originariamente pubblicato in albanese sul blog Peizazhe te fjales )
I motivi per cui gli albanesi si approcciano talvolta alla storia in modo problematico vanno ricercati ovunque, a cominciare dal loro stesso passato, per proseguire con la psicologia e l’ideologia nazionale, ma non bisogna dimenticare che parte dei malintesi deriva dalla confusione dei ruoli degli attori pubblici.
Ormai è evidente che gli albanesi non sono riusciti a fare i conti con la propria storia recente, per fare i conti una volta per tutte con il periodo totalitario, e per staccarsi definitivamente dai fili che gli tengono legati al passato. Il periodo del totalitarismo è presente anche oggigiorno in Albania, non solo tramite i suoi attori pubblici, in parte vivi, ma anche grazie ai media che si sono approcciati ad essa con l’approfondimento dei giornali di gossip, offrendo al pubblico un periodo snaturato, talvolta patinato, comunque non veritiero e senza nessun giudizio di valore.
Pornografia documentaria
Ai giovani d'oggi, l'immagine di quel tempo arriva per via aneddotica. Pettegolezzi, ricordi, sensazioni, nostalgie, diari, complotti, manoscritti, tutto questo crea un'atmosfera culturale dove i miti convivono con la realtà, dove i pregiudizi si innestano ai ricordi, dove le percezioni si intrecciano con le prove, dove le luci si alternano alle ombre.
La cosiddetta pornografia documentaria, come è stata definita da Ardian Vehbiu la pubblicazione dei materiali d’archivio sulla storia della ex-nomenclatura, ha tra l'altro "il merito" indiscutibile che tramite la ricerca negli archivi del regime, si perfeziona il processo dell'umanizzazione del totalitarismo.
I media trattano quel periodo come un tesoro di informazioni, da cui estraggono regolarmente scoop per divertire l'attenzione dei lettori, ammaliandoli con il famoso "segue". La storia si trasforma così in telenovela, con infinite puntate, con colpi di scena e sorprese dalle più sbalorditive, dentro e fuori della corte dei re, senza afferrarle mai la vera sostanza. Ciò rende quel periodo come estremamente interessante, misterioso, intrigante, interno ed esterno, vicino e lontano, nello stesso tempo.
Ideologi
Gli storici si approcciano alla storia con lo zelo dell'ideologo. Alcuni di loro la trattano come una palestra per realizzare esercizi demagogici, confondendo in sostanza il proprio ruolo da scienziati, che presuppone la ricerca della verità con mezzi scientifici, non l'attestazione della verità confezionata da tempo.
Gli storici si comportano come se cercassero in tutti i modi il consenso pubblico, mentre debbono rispondere alla scienza e non al pubblico. Senza fare generalizzazioni eccessive, si può dire che dalla stessa confusione soffrono anche gli intellettuali, i quali sembrano seguire con ansia le oscillazioni dei sondaggi, mentre normalmente dovrebbero fregarsene dell'opinione dominante, ma dovrebbero sollevare problemi che vanno al di là del mainstream culturale del momento.
L'astuzia dei politici
I politici invece, si avvicinano alla storia con l'astuzia della strumentalizzazione, piegandola secondo dei propri obiettivi. In questo senso, è ovvio che alcuni di loro non vogliono chiarire definitivamente le cose, poiché l'atteggiamento oggettivo nei confronti della storia, così come il distacco definitivo dal passato, non gli conviene, a quanto pare per motivi di potere ed elettorali.
Di conseguenza, anche i politici si atteggiano da storici, comunicando sentenze che non spettano loro, comunque attualizzando la storia passata per avere un consenso presente. Dall'altro lato, i politici si approcciano alla storia con la serietà dei media, portando ai cittadini pezzi di realtà del passato, spesso e volentieri in forma di biografie e accuse reciproche, sempre in funzione della lotta politica di oggi.
Enver
Come mai dopo i periodi dittatoriali continuano a sopravvivere pregiudizi nella popolazione? Perfino oggi ci sono delle persone che lodano Enver Hoxha e inneggiano al suo periodo con gli argomenti dai più vari, dai più seri ai più bizzarri. A prima vista alcune affermazioni sembrano basate, nella esperienza e nella storia, altre riguardano i miti volgari, talvolta rasentando il comico.
Ciò nonostante fioriscono di giorno in giorno, di quartiere in quartiere, di villaggio in villaggio. "Ha mantenuto l'Albania in pace", "Era nazionalista", "Era un vero uomo", "Ha difeso Kosova”, “ Non c'era criminalità", "Le porte di casa non si chiudevano a chiave", "Non c'era traffico", “Non esisteva l'analfabetismo”, "Lo Stato era forte", "Si è realizzata l’elettrificazione del Paese", e così via. Una delle ragioni di questi rifiuti culturali è senza dubbio il mancato esercizio dovuto dei ruoli degli attori pubblici.
Il ruolo di ciascuno
Il pubblico albanese, non per colpa sua, non sa ancora evidentemente che i politici devono dare giudizi politici in merito al passato, il che significa valutazioni sintetiche secondo i valori rappresentati. Un regime come quello, che è sopravvissuto fino al 1990, va condannato dai politici senza nessuna ambiguità, e senza fare acrobatici distinguo, poiché è ciò che si chiede ai politici: offrire valutazioni politiche, tenendo presente sempre che con politica si sottintende la scelta delle politiche sull'amministrazione della vita collettiva (polis).
Quindi, dal politico si attende un giudizio generale, conclusivo, che va da oltre un elemento particolare, superficiale, non sostanziale; non giudicando il totalitarismo ad esempio in base al traffico inesistente, ma in base alla discriminazione dei diritti elementari dell'uomo. Cioè toccando il cuore del problema. In fin dei conti, la dittatura non si può mettere nello stesso piano della democrazia, magari comparando elementi verosimili dei due sistemi.
Al contrario, agli storici spetta spiegare le distinzioni tra i due sistemi e inserirsi fino ai dettagli di quel periodo, illuminandoci, in base ai documenti e alle testimonianze, la realtà e le dinamiche di quel tempo. Lo storico può parlare senza malintesi dei risultati positivi raggiunti dal regime, spiegandoci i vari perché, ma senza dimenticare le atrocità del totalitarismo e il grave costo sociale. Come dire, può parlare di elementi specifici ma inserendoli in un contesto più ampio. In tal modo, l'affermazione che durante il regime c'era tanta tranquillità e non esisteva la criminalità, inizialmente fu sottoposta alle prove storiche, analizzando i dati della criminalità, poi va eventualmente spiegata, ad esempio tramite il rigido controllo capillare, poliziesco e sociale nello stesso tempo, che esisteva durante il regime comunista.
Inoltre, quando si dice che in quel tempo non esisteva la disoccupazione, sembra che si dia una valutazione positiva, ma lo storico tocca spiegare scientificamente il funzionamento dell'economia centralizzata, in cui la disoccupazione non poteva esistere neanche come termine, a meno che quando si parlava negativamente del capitalismo. Tuttavia, lo storico sa che oltre all'etica professionale vanno rispettati i principi metodologici, stando lontani dagli applausi dei media, della maggioranza, oppure della folla. Questo significa che oggi può scoprire qualcosa di dolce per l'ideologia dominante, domani invece, i nuovi studi possono neutralizzarlo per mezzo dell'amarezza della delusione.
La confusione dei ruoli
In questo caos spazio-temporale, sulla scena pubblica albanese pullulano ruoli e pose, dove lo storico si comporta da politico, il politico parla da storico, il giornalista lavora da truccatore, l'archeologo scava da minatore, l'intellettuale si atteggia da militante, l’impiegato ubbidisce da militare... e viceversa.
Dietro i suoni dell'inno nazionale, mentre tutti sventolano bandiere come unica testimonianza di patriottismo, la storia arriva ai giorni nostri non solo frammentaria e distorta, ma anche inscenata in modo ripugnante, grottesco e amatoriale. Ciò annebbia la nostra vista, impedendoci di guardare chiaramente la nostra storia, e soprattutto il legame tra passato e futuro.
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