In un'intervista rilasciata all'emittente radiofonica «Voice of America» durante il suo soggiorno negli Stati Uniti, il celebre scrittore albanese Ismail Kadaré si schiera per l'indipendenza del Kosovo e per l'entrata dell'Albania in Europa
Dal quotidiano Shekulli, 20 aprile 2006. Traduzione di Mandi Gueguen per Le Courrier des Balkans e di Carlo Dall'Asta per Osservatorio sui Balcani (titolo originale: "Kadaré : «l'Albanie est en Europe»")
Trascrizione dell'intervista rilasciata a «Voice of America»:
È un anno importante per il Kosovo, il cui status sarà presto deciso. A quanto sembra nei Balcani verrà così creato un nuovo Stato. Cosa comporterà la creazione di questo nuovo Stato, per il cittadino albanese qualunque?
Sembrerebbe che le cose andranno proprio così. I Balcani si ritroveranno con due Stati albanesi. A molti ciò sembra strano e inaccettabile. Ma era ancora più inaccettabile e scandaloso vedere metà della nazione albanese in una situazione da colonia. Le altre soluzioni sono tutte logiche. Non si dovrebbe scordare che già ai tempi dell'Impero Ottomano si parlava di quattro Albanie o di quattro dipartimenti amministrativi (in turco, "vilayet"). Il mondo conosce diversi casi di figure di nazioni che costituiscono più Paesi. Se questo sarà il caso dell'Albania, io non ci vedo alcun male, anzi al contrario, ciò rafforzerà la presenza albanese nei Balcani. Non dico che dobbiamo essere potenti per prendere il posto di un altro Paese o per avere delle velleità espansionistiche. Assolutamente no. La nazione albanese troverà la sua collocazione naturale. Poco importa che questa sia in uno spazio unico o in due spazi distinti. Ciò che importa innanzi tutto è che la nazione albanese si appresti ad entrare in Europa nelle sue proporzioni reali, e non smembrata come è stata finora.
Negli ultimi tempi Lei ha espresso un certo disappunto riguardo al fatto che una parte di albanesi tende a volgersi ad Est anziché ad Ovest, che Lei considera come la loro collocazione naturale. Perché questa preoccupazione?
Si tratta più che altro di un fraintendimento, perché se si spiegasse bene agli albanesi cosa sono l'Est e l'Ovest e la ragione della loro appartenenza a quest'ultimo, essi non esiterebbero più. Naturalmente ci sono sempre dei gruppi che vanno controcorrente, ma io penso che il posto degli albanesi in Europa sia naturale e non il frutto di una propaganda, di una strategia o di un'invenzione. Non ci sono altri continenti possibili per gli albanesi se non l'Europa. Certi invocano gli elementi orientali che pure ci caratterizzano. Ora, questo è il caso di diversi altri paesi, come la Spagna per esempio, influenzata dal mondo arabo-musulmano in diversi ambiti socioculturali, in seguito ad una lunga coabitazione. Nessuno ha mai messo in dubbio l'appartenenza della Spagna all'Europa. Lo stesso vale per noi, che siamo più lontani dall'Est di certi altri Paesi. Di conseguenza, è inutile sollevare tante questioni sulla nostra collocazione.
Ultimamente l'Albania ha conosciuto tensioni interreligiose in misura sempre maggiore. Allora l'idea della coabitazione armoniosa delle religioni in Albania non sarebbe ormai che una semplice formula per fare bella figura all'estero?
Io non credo che questa sia stata una formula creata dalla propaganda socialista per fare bella figura. Questo fenomeno di coabitazione pacifica era reale, altrimenti l'Albania si sarebbe disintegrata da molto tempo, l'appartenenza religiosa avrebbe organizzato la popolazione. Gli albanesi ne erano a giusto titolo fieri, tanto più che, pur essendo di carattere piuttosto litigioso, essi non si sono mai serviti della religione come pretesto per dividersi. Ciò non è mai avvenuto e non accadrà ora. Naturalmente la libertà fa emergere dei problemi che la dittatura nascondeva. I problemi degli albanesi all'epoca del comunismo albanese, e del comunismo serbo per l'altra metà di loro, erano diversi, i problemi religiosi erano relegati in secondo piano, quindi non ha senso ravvivarli. Questa esperienza di coabitazione religiosa armoniosa è stata molto utile per la nazione albanese, e bisogna mantenerla e coltivarla.
È davvero importante per gli albanesi cercare un'identità etnica o religiosa nel momento in cui la globalizzazione è diventata una parola d'ordine? Cosa bisogna fare, dimenticare o preservare questa identità?
Io penso che l'identità albanese non vada assolutamente a scontrarsi con quella che viene definita l'identità europea. L'Europa è caratterizzata fin dalle sue origini da una unione di nazioni e non dal loro annullamento. Non c'è un'Europa astratta, generale. Non c'è un'Europa come la raccomandava la dottrina comunista: «comunisti in primo luogo; sovietici, lituani, georgiani o armeni poi», come si diceva nelle nazioni dell'Unione Sovietica. No, l'Europa si costituisce come un'Europa delle nazioni, e non attraverso la cancellazione delle identità. Di conseguenza non c'è motivo d'inquietarsi se l'identità albanese, in quanto identità fondamentale nei Balcani, è altrettanto forte dell'identità greca o slava del sud. Noi andremo dunque a far parte del mosaico europeo, costituito dagli apporti di ogni Paese membro: le identità dei Paesi scandinavi al nord, di altri al centro, di altri ancora ad Ovest e ad Est. Forse i Paesi occidentali non sono sempre stati generosi verso gli albanesi, parlo delle grandi difficoltà che questi ultimi sempre incontrano per viaggiare in Occidente. Sembrerebbe che gli occidentali disdegnino un poco la povertà degli albanesi. Ma di chi è la colpa? La difficoltà a recarsi in Occidente non è appannaggio esclusivo degli albanesi, è altrettanto vera per un certo numero di Paesi. Ma in questi ultimi anni le cose sono andate troppo in là per gli albanesi. Io ne ho parlato a più riprese, l'Albania deve prendere delle misure per contrastare il razzismo antialbanese. Ciascuna nazione europea deve tirare il campanello d'allarme nel momento in cui constata segni dei diversi razzismi, che sono tutti ingiusti. Lo ripeto, noi dobbiamo occuparci delle ingiustizie che il nostro popolo subisce, perché ciò può anche trasformarsi in razzismo o far nascere delle violenze.
All'Harriman Institute di New York Lei ha parlato delle relazioni tra la letteratura e la tirannia. Da quando l'Albania si è sbarazzata della dittatura, come sfruttano gli albanesi la libertà acquisita, nella cultura e nell'arte?
La letteratura forse è proprio l'ultima a trarre profitto dalla libertà. Essa si è abituata a vivere altrettanto bene in libertà come in sua assenza, e quindi non approfitta immediatamente del suo ritorno, è piuttosto sul lungo termine che ciò avviene. La vita sociale albanese ne beneficerà certamente, d'altronde questo si vede già. L'arte viene per ultima, perché il suo ritmo temporale è differente, come pure il suo sviluppo. Questa è la ragione della longevità dell'arte e della letteratura, che esse raggiungono molto lentamente la propria maturità.