Il logo di Agon Channel (Wikipedia.org)

Il logo di Agon Channel (Wikipedia.org )

A volte i fallimenti in televisione sono catastrofici, non investono un programma ma una rete intera, o addirittura un progetto economico ed editoriale. Come qualche anno fa, in Albania

24/01/2019 -  Nicola Pedrazzi

(Questo articolo è apparso per la prima volta su LINK Numero 24 - Flop. Il fallimento nell'industria creativa del dicembre 2018 e sul portale www.linkideeperlatv.it )

Tra i flop televisivi più spettacolari dell’ultimo decennio spicca pirotecnico il caso Agon Channel: il primo e sinora unico esempio di tv italiana interamente delocalizzata, nel caso specifico in Albania. A quattro anni dal lancio – e a tre dal fallimento, perché il ramo italiano della rete non ebbe che un anno di vita – rimane difficile anche solo ipotizzare quale fosse il target dell’esperimento. Quello che, a posteriori, gli psicologi possono archiviare come un sogno fuori tempo massimo e i commercialisti come un investimento in perdita, per gli addetti ai lavori televisivi continua a rappresentare una sorta di buffo mistero, perché sin dal primo giorno Agon Channel era apparso quello che era: una televisione senza pubblico, una spettacolare e ingegnosa risposta a una domanda posta da nessuno.

Riavvolgiamo il nastro e cerchiamo di capire perché sorge quest’alba – “agon” in albanese è la promessa di un sole nuovo –, una potenziale “Babilonia del trash” tramontata per un’infinità di ragioni, tra cui la sua incapacità di essere davvero tale.

Una serata indimenticabile (per un uomo solo)

È il 26 novembre 2014. Un anno è passato da quando il Senato ha votato la decadenza di Berlusconi, Renzi è un neo-premier forte, legittimato dal voto europeo di maggio, e altrettanto in auge è l’omologo albanese Edi Rama, che anche grazie all’intercessione dell’Italia in seno al Consiglio europeo ha appena ottenuto per l’Albania lo status di paese candidato all’Ue. Da tre giorni, Samantha Cristoforetti, prima donna italiana nello spazio, ha raggiunto la Stazione Internazionale Spaziale (ISS); il terrorismo islamico è già un pericolo percepito, ma al primo attentato parigino manca più di un mese e Charlie Hebdo è ancora un giornale sconosciuto al grande pubblico.

È il 26 novembre 2014, e dopo un’estate di scouting in giro per il Bel Paese, dal The Mall di Milano l’istrionico imprenditore Francesco Becchetti – classe 1966, romano, con un poliedrico passato nel settore sportivo, energetico e dei rifiuti – lancia sul 33 del digitale terrestre la sua tv italiana made in Albania. “C’è tanta Albania in questa televisione, nasce una televisione europea, una dedica grande va anche al popolo albanese”. Queste le parole del patron, intercettato sul tappeto rosso mentre per mano alla bella e giovane moglie, albanese anch’ella, guadagna l’ingresso con il passo del businessman. La “serata di gala” che lo attende sarà condotta da Simona Ventura; ospite d’onore una spaesata Nicole Kidman, in quei giorni di stanza in Italia, che Becchetti è riuscito non si sa come ad arruolare alla causa. Nonostante le indiscutibili capacità attoriali, di tanto in tanto l’algido sguardo della diva tradisce in filigrana un “dove sono finita”; agli occhi dello spettatore medio l’atmosfera da discount è però compensata dalla rassicurante notorietà dei volti che questo sconosciuto editore ha saputo convocare sul palco: l’ex corrispondente Rai Antonio Caprarica, che Becchetti ha posto a guida del tg di rete, il sempreverde Pupo messo a conduzione dei quiz, una straripante Sabrina Ferilli che presenterà il talk show di punta, seguita da una seriosa Luisella Costamagna che ci tiene a mettere subito le cose in chiaro, le sue interviste “non faranno sconti a nessuno”. Infine, importantissimi, gli sportivi: il già campione del mondo Fulvio Collovati e l’ex direttore di TuttoSport Giancarlo Padovan, chiamati a impreziosire il talent show sul calcio. Si tenga presente che appena quattro mesi prima Becchetti ha acquistato il Leyton Orient Football Club, una squadra di Londra est militante in terza categoria, ma dal discreto blasone storico. L’idea del patron è di integrare investimento sportivo e televisivo, utilizzando il talent come selezionatore di nuove promesse per la sua squadra.

Sempre nei mesi estivi, nel corso di una rara conferenza stampa, Becchetti aveva avuto modo di esporre la propria vision: “Oggi ha senso, può funzionare e può fare concorrenza una televisione che ha quattro-seicento dipendenti, possibilmente giovani e con voglia di lavorare – i nostri che stanno a Tirana dicono ‘la nostra televisione’, quello è lo spirito di una tv vincente –, e in Albania oggi si riesce a fare un progetto così e a renderlo sostenibile. Non è poi vero che costa di meno, qualcosa costa meno, ma soprattutto direi che rende più felici”. Alla giornalista che gli aveva chiesto a quanto ammontasse l’investimento iniziale, Becchetti aveva risposto senza esitazione, con l’understatement degno di un bullo di Borgata Fidene: “4 milioni, senza debiti con le banche”. Seduta di fianco a lui, Simona Ventura aveva completato il siparietto: “Bisognerebbe fare un applauso però. Non siamo più abituati…”.

Cronologia di un fallimento annunciato

Agon Channel Italia avrà vita breve. Le trasmissioni cominciano il 1° dicembre, quattro giorni dopo la serata di gala. Due settimane più tardi si registra il primo forfait di peso: Antonio Caprarica lascia la direzione delle news. “Mi sono dimesso per giusta causa – dichiara lo storico volto Rai, con discreta eco sui media –, per la mancanza assoluta delle strutture e del personale minimi per mandare in onda e confezionare un tg. Se questa è la tv del futuro, io non intendo starci”. Ai primi di gennaio salta anche il direttore di rete Lorenzo Petiziol, noto telecronista friulano, giunto a Tirana grazie alla mediazione dell’allora c.t. della nazionale albanese Gianni De Biasi (che non a caso nella stagione 2009-2010 aveva allenato l’Udinese). L’avventura albanese di Petiziol si chiude senza polemiche, per “motivi familiari”, ma durante un’intervista rilasciata a Udine Today – poi in parte rettificata – sono registrate pure questioni di merito: “Il problema – si lascia andare Patiziol – è la mancanza di un filone editoriale e di una vera programmazione. Tanti quiz e troppe repliche. Sì, alla fine, più che la televisione del futuro si aveva l’impressione di fare la tv del passato. Su questo Caprarica aveva ragione”.

Immune al battage mediatico che comincia a essergli sfavorevole, Becchetti non solo incassa ma rilancia: rilasciando una roboante intervista al Fatto Quotidiano – “Ci sono poteri che non riuscendo a proporre alcuna novità campano di rendita e fanno azioni di disturbo, io aspetto, ho il tempo dalla mia parte e mi muovo, loro sono immobili” – e ingaggiando una Veronica Maya reduce da un topless involontario in prima serata su Raiuno, incidente che in quelle settimane è un cult di YouTube senza rivali. Per ogni volto noto che lascia, un volto ancora più noto deve subentrare: la strategia editoriale sembra racchiusa in questo teorema.

Intanto, sempre a gennaio, atterra in Albania la troupe di Report (Raitre). Luca Chianca, che firmerà il servizio e che vivendo a Tirana incrocio per cena, mi racconta che avrà modo di visitare gli studi – i famosi “container” denunciati da Caprarica, duemila metri quadrati di capannoni e tensostrutture lungo la superstrada che da Tirana conduce all’aeroporto. In quegli stessi giorni anch’io sto lavorando al tema per Osservatorio Balcani e Caucaso, e tramite amici di amici riesco a intervistare alcuni impiegati del canale albanese: protetti dall’anonimato mi confermano che in azienda l’atmosfera è tesa, ai dipendenti è stato chiesto di non parlare con i giornalisti e a molti non sono ancora stati pagati gli stipendi del mese.

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