Tensione davanti alla sede della Commissione elettorale centrale a Tirana

Tensione davanti alla sede della Commissione elettorale centrale a Tirana

Molti analisti albanesi ormai non esitano a parlare di rischi di "guerra civile". E' piena crisi politica in Albania a seguito delle elezioni amministrative svoltesi lo scorso 8 maggio. Con i leader del partito socialista che invitano i cittadini a scendere in strada per difendere la democrazia

20/05/2011 -  Marjola Rukaj Tirana

Come nel peggiore degli scenari, due settimane dalle elezioni dello scorso 8 maggio, Tirana non ha ancora un sindaco e il conflitto tra i due aspiranti alla guida della capitale ha assunto dimensioni politiche a livello nazionale.

Domenica scorsa, (14 maggio) mentre la commissione elettorale di una delle zone di Tirana procedeva con enorme lentezza allo scrutinio degli ultimi voti, tutto il Paese seguiva sulle televisioni nazionali la diretta del conteggio di ogni singolo voto. Tra Edi Rama e Lulzim Basha vi è stato un testa a testa strettissimo, mai verificatosi in precedenza nel Paese balcanico. Al termine dello scrutinio era in vantaggio il leader del Partito Socialista, Edi Rama, di soli 10 voti, rispetto al suo rivale del PD Lulzim Basha.

Due sindaci per Tirana

Secondo la legge elettorale albanese vince il candidato che ottiene la metà più uno dei voti. Seguendo tale logica, nonostante il vantaggio risicato di Edi Rama, non vi sarebbero dubbi sul vincitore. Quella domenica però, dopo la fine dello scrutinio, in seguito a un processo elettorale senza incidenti, svoltosi in maniera molto civile da parte dei cittadini, il risultato ufficiale stentava a venir pronunciato da parte della Commissione elettorale centrale.

Inizialmente in pochi si sono preoccupati: serviva un po' di tempo per fare i conti e ufficializzare il tutto. Intanto sugli schermi albanesi si è visto un Edi Rama trionfante, che ringraziava in attesa del risultato ufficiale. In seguito anche il premier Berisha, ha fatto la sua apparizione, pronunciando affermazioni contraddittorie. Per un verso dichiarando di “voler accettare il risultato ufficiale qualunque esso fosse” e per l'altro affermando che avrebbe accettato “il risultato ufficiale ammesso che si fossero presi in considerazione i voti contestati e verificato lo scarto causato da errore umano”.

In tal modo la dichiarazione del risultato ufficiale è stata posticipata a oltranza e la Commissione elettorale centrale ha iniziato a ricontare i voti considerati come invalidi, nelle urne segnalate come problematiche.

Il riesame dei voti contestati, trasmesso in diretta da diverse televisioni nazionali, ha dato avvio all'ennesima crisi postelettorale albanese. La Commissione centrale è costituita da 4 rappresentanti del PD di Sali Berisha e da 3 rappresentanti del PS di Rama. Diverse decisioni sono state prese dai sostenitori di Berisha, senza il consenso dei membri socialisti. Non sono mancati episodi di violenza tra i membri della Commissione stessa e altre persone presenti durante le sue sedute.

Democrazia e altri demoni

L'affluenza alle urne è stata di 249.184 elettori, i voti si contano a mano, il vantaggio di 10 voti può certamente rientrare nel margine dell'errore durante il conteggio ed è quindi normale che sulla vicenda sia in atto un acceso dibattito tra le forze in campo. 

Molti analisti di Tirana, tra cui Mero Baze, Mentor Nazarko, e Artan Hoxha, sostengono però che diversi cittadini kosovari muniti di passaporto albanese si siano recati a Tirana a votare nonostante non fossero residenti: a favore del candidato del Partito Democratico di Berisha, il quale gode di forte sostegno in Kosovo. Il portavoce del Partito Socialista Erion Braçe ha dichiarato che sarebbero stati migliaia i kosovari ad essersi recati a Tirana per votare in favore al PD di Berisha. Inoltre la trasmissione Fiks Fare ha verificato e trasmesso su Top Channel l'inesistenza della residenza di decine di cittadini recatisi alle urne: una verifica rispetto agli indirizzi inseriti nelle liste elettorali portava a indirizzi inesistenti, garage o edifici dalle condizioni inabitabili. Il dibattito nel Paese quindi non verte esclusivamente sulla presunta violazione dei regolamenti della Commissione elettorale centrale ma su veri e propri brogli. 

Non essendo possibile attualmente delineare un quadro chiaro su questi ultimi non resta che trarre alcuni elementi dai dati certi. A Tirana il primo dato politico è che i due candidati hanno ottenuto sostanzialmente pari voti, e non hanno quindi convinto sufficientemente l'elettorato. Che la democrazia albanese sia in difficoltà emerge anche dal fatto che nelle ultime elezioni amministrative spesso si ricandidavano gli stessi sindaci dopo più di 2 o 3 mandati. Lo stesso Edi Rama si è candidato per la quarta volta di seguito. La maggior parte dei sindaci inaugura attualmente il terzo o il quarto mandato e nei comuni rurali vi sono numerosi casi di sindaci che governano da ben vent'anni, praticamente dal crollo del comunismo. Non ci si stupisce della scarsa affluenza alle urne, Tirana ha segnato lo scorso 8 maggio la minor affluenza mai registrata nella storia pluralista del Paese.

L'irremovibilità della classe politica e la conseguente sua delegittimazione sono probabilmente il maggior problema che caratterizza la scena politica albanese attualmente. Per risolvere il problema, nei social network gira già la voce di proporre un progetto di legge che limiti la detenzione del potere a qualsiasi livello a non più di due mandati. Ma nelle circostanze attuali difficilmente si troverebbero dei politici disposti a farsi portavoce di tale proposta.

Vicolo cieco

La Commissione elettorale centrale nel frattempo ha ricontato la metà dei voti validi, ed ha ricalcolato diverse decine di voti a vantaggio di Basha, che ha superato in questo modo il leader del PS Edi Rama. Il fatto che nelle urne vengano riscoperti numerosi voti validi, tanti da riuscire a ribaltare il risultato, ha fatto insospettire sia i membri socialisti della Commissione che il Partito socialista, che ha consegnato alla magistratura un esposto nei confronti del presidente della Commissione, Arben Ristani, per aver violato vari regolamenti della Commissione stessa.

Edi Rama ed altri leader socialisti, tra i quali Erjon Braçe e Gramoz Ruçi, hanno ripetutamente invitato la popolazione a ribellarsi e a mobilitarsi contro la manipolazione del voto e contro il governo Berisha. Diversi sono stati gli incidenti tra manifestanti e poliziotti antisommossa che hanno circondato la sede della Commissione elettorale centrale. E giovedì, in seguito all'appello di Rama, militanti del Partito socialista hanno bloccato alcune delle arterie principali del Paese.

La situazione ha raggiunto un tale livello di tensione che la maggior parte degli analisti albanesi non esita a utilizzare la parola “guerra civile”. Resta comunque difficile prevedere con esattezza quali siano le strategie d'azione dei due partiti principali. Gli stessi socialisti, che invitano la popolazione a manifestare, sembrano non avere le idee chiare sul da farsi. Appare confusa anche la comunità internazionale, che esattamente come lo scorso gennaio si rifiuta di prendere una posizione ben definita nel conflitto politico, invitando entrambe le parti al dialogo, e in particolar modo il PS a fare in modo che la Commissione elettorale proceda nell'attuazione dei suoi compiti istituzionali.

La crisi politica che si trascina dalle elezioni del giugno 2009, dopo la tregua alla vigilia delle amministrative, minaccia comunque di ritornare anche più violenta di prima. La popolazione teme un'escalation fatale, ma i militanti dei partiti, e i cittadini economicamente legati al potere sono numerosi, e decisi a difendere le proprie posizioni. La situazione non promette bene, e gli intellettuali indipendenti iniziano a parlare di responsabilità di chi incita alla violenza, ma dal Partito socialista arriva puntualmente la domanda: “Come agire altrimenti?”