C'è tensione crescente nel sud del Caucaso. Il blocco del corridoio di Lachin, ostaggio di un gruppo di sedicenti attivisti ambientali azeri, sta avendo un effetto a macchia d'olio su altri territori. La crisi umanitaria peggiora e così pure i margini di un accordo. Le armi nel frattempo non tacciono
Dal 12 dicembre continua il presidio permanente dei così detti eco-attivisti azeri che presidiano il corridoio di Lachin, all’altezza del posto di controllo n. 7 dei peacekeepers russi senza che questi ultimi abbiano ancora preso il corridoio sotto la propria tutela come da mandato. Al contrario a fine marzo il giornale armeno Hraparak ha accusato i peacekeepers di stare lucrando sulla situazione. Ogni giorno passano decine di mezzi dei peacekeepers, unici a transitare insieme alla Croce Rossa che ha già trasportato oltre 300 malati. Stando a Hraparak i peacekeepers stanno violando un accordo con il governo armeno secondo il quale 10 dei loro mezzi al giorno erano riservati ai trasporti alimentari o medici del governo armeno per i secessionisti. Li avrebbero ridotti a 8 perché con il blocco si è fatto più lucroso fare contrabbando e per questo usano più mezzi e con un prezzo rincarato dal precedente 1.000-2.000 dollari a carico agli attuali 10.000. L’ordine di sblocco emesso dalla Corte Internazionale di Giustizia rimane così disapplicato.
Scontri
Il blocco di Lachin sta avendo un effetto a macchia d’olio non solo per la crisi umanitaria, ma anche perché la logistica e la mobilità si sta modificando, coinvolgendo a catena altri territori.
La crisi insorta rispetto ai recenti avanzamenti militari azeri - legati ad una bretella che dovrebbe diventare parte della nuova viabilità - si è rivelata sempre più letale. Stando alle ricostruzioni armene , l’11 aprile un'unità militare azera si sarebbe avvicinata ai soldati armeni impegnati in attività di fortificazione del proprio presidio, sarebbe seguita una discussione e poi un effettivo combattimento. Il ministero della Difesa azero ha invece dichiarato quel giorno che unità delle forze armate armene situate in direzione dell'insediamento di Digh [Dığ] nel distretto di Gorus [Goris] hanno sparato intensamente con armi leggere contro posizioni azere in direzione di Lachin. Il bilancio è di 4 morti e 6 feriti armeni, 3 morti e 4 feriti azeri.
La zona dello scontro è quella di Tegh, recentemente interessata da un riassestamento delle posizioni e con un quadro negoziale in corso che registra un ulteriore peggioramento. La questione del mancato accordo sui confini si fa sempre più sanguinosa, e in generale si registra un nuovo peggioramento delle prospettive di soluzione pacifica dei contenziosi. Come prima della guerra dei 44 giorni del 2020, gli scontri si fanno sempre più frequenti e più sanguinosi. Pochi giorni prima di questo combattimento fra unità configgenti, un altro armeno era morto sempre lungo il confine sud orientale fra i due paesi, confine appunto non concordato, e di conseguenza né delimitato né demarcato.
Il 14 aprile alla cerimonia di apertura del Campionato europeo di sollevamento pesi ospitata dall’Armenia è stato dato fuoco alla bandiera dell’Azerbaijan , causando la reazione sdegnata della delegazione di atleti azeri che hanno abbandonato la gara e il paese. Gli atleti turchi che hanno vinto medaglie durante il weekend di gare si sono fatti fotografare con la bandiera azera in segno di solidarietà.
Un meridione nervoso
Il sud dell’Armenia, verso il nuovo confine con l’Azerbaijan e verso il Nakhchivan, è sempre più attraversato da tensioni. Il confine ancora non c’è ufficialmente e già è insanguinato. Ma è anche il sud dell’Azerbaijan ad essere area di nervosismo. Azerbaijan e Iran in vari momenti della loro storia hanno avuto motivi di scontro: l’Azerbaijan è paese a maggioranza sciita, come l’Iran, ma è laico e si è difeso con energia dai tentativi più o meno espliciti iraniani di politicizzare la religione per estendere l’influenza del proprio regime nell’area. Sono due paesi rivieraschi del Caspio, altra area la cui delimitazione e lo sfruttamento sono ostici.
L’Iran ospita una numerosa minoranza azera, contigua territorialmente con l’Azerbaijan, e le rivendicazioni irredentiste sono state in passato causa di tensioni. Recentemente Baku si è nuovamente lamentata dell’assenza di istruzione in azero in Iran per la numerosa minoranza. Ma il vero fulcro della questione ora è il così detto corridoio di Zangezur, come lo definisce Baku, che dovrebbe riunificare l’Azerbaijan con il Nakhchivan e aprire la strada anche alla Turchia verso il Caspio. Il “Corridoio” dovrebbe essere una rete di viabilità e infrastrutture, ma Teheran teme diventi una lingua di terra che la separerebbe dal suo sbocco sull’Armenia e di fatto metterebbe “i turchi” fra l’Iran e il Caucaso, terra che da secoli è contesa fra Iran e Turchia, e – da un paio di secoli – Russia. In questo quadro si è inserito anche l’aspetto dei rapporti con paesi non dell’area, in particolare i buoni rapporti di Baku con Israele, causa di invettive dal tono nettamente poco diplomatico di Teheran.
L’ultimo capitolo di questo lungo e complicato percorso fra i due paesi è la secca comunicazione del ministero degli Esteri azero che ha reso noto di aver convocato il 6 aprile l’ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica Islamica dell'Iran e che durante l'incontro è stata espresso forte malcontento per le azioni provocatorie iraniane. Quattro dipendenti dell'ambasciata iraniana sono stati dichiarati persone non gradite dal governo azero a causa delle loro attività ritenute incompatibili con lo status diplomatico ed è stato chiesto loro di lasciare il territorio dell'Azerbaijan entro 48 ore.
Ciononostante i due paesi mai come oggi possono trarre beneficio dai rapporti commerciali reciproci. La chiusura a ovest della Russia infatti ha reso il corridoio nord-sud caucasico ancora più importante, e i numeri dimostrano che la crescita dell’interscambio c’è ed è poderosa. Baku poi dipende ancora dall’Iran per raggiungere il Nakhchivan, finché l’apertura delle vie commerciali concordata con il cessate il fuoco con l’Armenia nel 2020 rimane sulla carta.
Sia Baku e Ankara che Teheran sanno che se la capacità di presenza russa in Caucaso dovesse contrarsi, si aprirebbe lo spazio per ristabilire vecchie ambizioni, e relative vecchie rivalità. E in un momento di così grande incertezza, nessuno si vuol far trovare impreparato.