Come promesso, appena insediatosi al governo il nuovo premier armeno Nikol Pashinyan ha avviato una campagna anti-corruzione su larga scala, che negli ultimi mesi ha portato a decine di arresti e dimissioni eccellenti
“Nikol Pashinyan ha ottenuto più risultati in un mese di quanto non abbia fatto Serzh Sargsyan in un decennio”. Con queste parole il giornalista armeno-canadese Raffi Elliott sintetizza il pensiero che ultimamente sembra scorrere nella testa di molti armeni, a pochi mesi dall’insediamento del leader di Yelk alla guida del governo.
Il consenso popolare di cui gode Pashinyan è effettivamente più alto che mai, merito della lotta indiscriminata alla corruzione e al sistema dei monopoli che ha caratterizzato le sue prime settimane di governo. Contrastare le pratiche illecite è sempre stato un pensiero fisso per leader di Yelk, fin da quando, prima di entrare in politica, dirigeva il quotidiano Haykakan Zhamanak, i cui contenuti critici nei confronti dell’establishment gli causarono negli anni minacce, aggressioni e condanne per diffamazione.
Per questo lo scorso giugno, al momento di presentare il suo programma di governo al parlamento, Pashinyan ha ribadito che il nuovo esecutivo si sarebbe battuto con ogni mezzo a disposizione per sradicare la corruzione dal paese; come d’altronde chiedevano le decine di migliaia di manifestanti che ad aprile hanno riempito le piazze della capitale invocando a gran voce un cambiamento.
Attacco al potere
Fin dal suo discorso di insediamento, Pashinyan aveva promesso di dare una scossa al paese, e questa non è tardata ad arrivare. Tra la fine di maggio e l’inizio di giugno il Servizio di Sicurezza Nazionale (SSN), guidato da Artur Vanetsyan, ha avviato una massiccia campagna anti-corruzione che ha investito oligarchi, boss del crimine , ex funzionari del governo, membri dell’esercito e dell’amministrazione pubblica .
Tra i primi ad essere colpiti sono stati proprio gli oligarchi, che dall’essere ritenuti intoccabili sono finiti in cima alla lista degli osservati speciali del governo, con le loro attività diventate oggetto di minuziosi controlli da parte degli agenti del Servizio di Sicurezza. Controlli che ad esempio hanno portato all’accusa di frode fiscale nei confronti del magnate Samvel Aleksanyan, proprietario della catena di supermercati Yerevan City, la più grande del paese. Attraverso il gruppo Alex Holding, da lui gestito, Aleksanyan avrebbe cospirato con l’ex dirigenza del Comitato Statale delle Entrate per garantire alla sua attività il pagamento di una tassazione minima, alla quale per legge non avrebbe avuto diritto, evadendo in questo modo milioni di euro di tasse.
Le indagini condotte dal SSN hanno preso di mira anche molte figure vicine all’ex presidente Sargsyan, a partire da alcuni membri della sua stessa famiglia, come dimostrano gli arresti dei fratelli Aleksandr (successivamente rilasciato), per possesso illegale di armi da fuoco, e Levon , (attualmente ricercato), accusato di avere nascosto al fisco quasi 6 milioni di euro. Nei guai anche i due figli di Aleksandr: Hayk , arrestato per il tentato omicidio di Davit Simonyan, controverso caso risalente al 2007, e Narek , ricercato per una serie di crimini che vanno dal rapimento all’aggressione fino al raggiro. Oltre a fratelli e nipoti è finito nella rete del SSN anche il capo della sicurezza di Sargsyan, il maggior generale Vachagan Ghazaryan , arrestato con l’accusa di evasione fiscale dopo il ritrovamento di circa 2 milioni di euro in contanti in un’abitazione di proprietà della moglie.
Il giro di vite imposto dal nuovo esecutivo ha colpito duramente anche la pubblica amministrazione, facendo saltare molte poltrone. All’inizio di luglio è toccato ad esempio al sindaco di Yerevan, Taron Margaryan, da tempo accusato di corruzione e malgoverno, costretto a dimettersi in seguito all’ondata di proteste generata dalla pubblicazione di un video che spiega come si sarebbe arricchito illegalmente sfruttando il suo ruolo istituzionale, accumulando una fortuna che con il suo solo stipendio da sindaco avrebbe potuto guadagnare in 210 anni.
Poche settimane prima aveva dovuto fare un passo indietro anche Karen Grigoryan, sindaco di Vagharshapat (Echmiadzin), centro spirituale della Chiesa apostolica armena, dimessosi dopo essere stato coinvolto nel processo contro il padre Manvel, deputato in parlamento tra le fila del Partito Repubblicano ed ex vice-ministro della Difesa, arrestato dai Servizi di Sicurezza con le accuse di appropriazione indebita e detenzione illegale di armi da fuoco. Da decenni i Grigoryan dettavano legge a Echmiadzin, trattando la città come un proprio feudo, sicuri dell’impunità. La città è ora amministrata da Diana Gasparyan , primo sindaco donna della storia dell’Armenia, altro positivo segnale di cambiamento.
Lo scandalo Grigoryan
Il caso di Manvel Grigoryan è stato indubbiamente quello che più di tutti ha fatto indignare l’opinione pubblica armena, al punto da essere definito dallo stesso Pashinyan “il più grande caso di corruzione dell’Armenia indipendente”. Eroe della Guerra del Nagorno-Karabakh, in quanto presidente dell’Associazione Veterani Yerkrapah Grigoryan era incaricato di distribuire gli aiuti umanitari all’esercito. Approfittando della sua posizione, l’ex generale ha però sottratto i pacchi alimentari che venivano costantemente inviati dagli studenti armeni ai soldati al fronte, usandoli per nutrire gli animali del suo zoo privato. Insieme ai pacchi rinvenuti nelle sue proprietà, come hanno dimostrato le immagini diffuse dalle autorità, erano ancora conservate le migliaia di lettere che gli scolari avevano indirizzato ai militari.
Come se non bastasse, perquisendo le sue numerose tenute gli agenti del SSN hanno inoltre rinvenuto veicoli militari, munizioni (tra cui mortai anticarro e granate), forniture mediche e indumenti, sempre destinati ai militari al fronte, e addirittura un’ambulanza donata all’esercito dalla comunità armena in Russia in occasione degli scontri armeno-azeri dell’aprile 2016.
Lo stesso Partito Repubblicano, che in un primo momento aveva provato a difendere l’ex generale, accusando il nuovo esecutivo di aver messo in atto una vera e propria vendetta politica, dopo la pubblicazione dei video girati nelle proprietà di Grigoryan si è ritrovato costretto a dover ritrattare la propria posizione, definendo la situazione “inaccettabile e ripugnante ”, e convincendosi a votare l’abolizione dell’immunità di cui godeva il parlamentare.
“Ognuno si aspettava la denuncia e la punizione degli ufficiali corrotti”, ha commentato in risposta alle accuse dei repubblicani Stepan Grigoryan (solo omonimo di Manvel), presidente dell’Analytical Centre on Globalisation and Regional Cooperation, poiché “non ci dovrebbero essere persone intoccabili”. “Non si tratta di vendetta”, conclude, ma di un “ritorno alla giustizia”.
Ripulire il paese in vista delle elezioni
Finora, la vasta campagna anti-corruzione avviata da Pashinyan è riuscita a restituire allo stato 20 miliardi di dram (circa 36 milioni di euro) di tasse non pagate; il tutto in meno di due mesi. Secondo Davit Ananyan, presidente del Comitato Statale delle Entrate, tale cifra, raccolta da 73 diverse compagnie accusate di evasione fiscale, corrisponderebbe a circa il 2% del totale delle entrate statali del 2017, e sarebbe destinata a crescere fino a raggiungere il 7%. Questa stima non tiene inoltre conto delle entrate derivanti dal perseguimento dei casi di appropriazione indebita, arricchimento illecito o relativi ad altre pratiche corrotte.
Forte di tali risultati Pashinyan si prepara a correre alle prossime elezioni parlamentari (da tenersi presumibilmente entro la fine dell’anno), in occasione delle quali il leader di Yelk sarà chiamato a raccogliere i voti necessari a ottenere la maggioranza nell’Assemblea Nazionale. Attualmente, con i 9 seggi (su 105 totali) di cui dispone la sua coalizione, Pashinyan si trova di fatto nell’impossibilità di governare il paese, a meno di appoggi esterni (si veda l’alleanza con Armenia Prospera e la Federazione Rivoluzionaria Armena).
In vista del voto, sapendo di dovere andare a caccia di consensi, oltre a lavorare sulla riforma della legge elettorale Pashinyan ha così voluto dare la precedenza a quelle misure che gli avrebbero garantito maggiore visibilità e approvazione. La sola lotta alla corruzione però non basta a risolvere i numerosi problemi che affliggono il paese. In caso di vittoria alle prossime parlamentari, a questa battaglia Pashinyan dovrà quindi saper affiancare una serie di riforme all’economia e al sistema giudiziario; misure i cui risultati non saranno sicuramente immediati come quelli attuali, ma che appaiono altrettanto importanti. Solo in questo modo la rivoluzione potrà dirsi compiuta.