Il nostro Filippo Cicciù ha visitato alcune delle regioni recentemente al centro del conflitto per il Nagorno Karabakh. Le sue impressioni dalla città fantasma di Agdam svuotata della sua popolazione - prevalentemente azera - durante la guerra degli anni '90 e ora riconquistata dall'Azerbaijan
L’ultima persona ad essere stata uccisa a causa del recente conflitto tra Armenia e Azerbaijan in Nagorno Karabakh è saltata su un mina pochi giorni fa, il 13 dicembre. Ne hanno dato notizia le autorità azerbaijane, parlando di un incidente che ha ferito anche due civili e un militare.
È successo nella zona di Agdam, a piedi delle montagne del Nagorno Karabakh. Un’area controllata dalle forze armene per quasi trent’anni, dai tempi del primo conflitto del Karabakh, e riconquistata dalle forze azerbaijane in seguito allo scontro riesploso quest’anno e combattuto per sei settimane durante l’autunno. La zona di Agdam, come le altre province azere nei dintorni del Nagorno Karabakh, è oggi disseminata dalle mine lasciate dai soldati armeni.
Un tempo cittadina da quasi 40mila abitanti, per la quasi totalità azeri, Agdam ha cominciato a trasformarsi in una città fantasma a partire dai primi anni ‘90, ovvero da quando l’Armenia ha vinto la prima guerra del Karabakh e le sue truppe hanno preso controllo dell’area trasformandola in una zona militare per difendere il Nagorno Karabakh, ribattezzato Repubblica di Artsakh dalle autorità armene.
In quasi trent’anni, l’autoproclamata Repubblica di Artsakh non ha mai ottenuto alcun riconoscimento internazionale, diventando per le Nazioni Unite un territorio occupato. Le trincee e le basi militari utilizzate dalle forze armene dai primi anni ’90 per difendere il Nagorno Karabakh sono oggi circondate dai segni del recente conflitto come missili inesplosi che spuntano talvolta dal terreno o carcasse di mezzi militari abbandonati accanto a muri crivellati di colpi di proiettile. Per terra si possono trovare scarponi e indumenti militari sparsi tra i fori sul terreno lasciati dai colpi d’artiglieria.
Una città fantasma
Oltre ai segni della guerra recente, ad Agdam è possibile oggi anche guardare e comprendere il dramma del passato legato al primo conflitto in Karabakh. Dopo aver evacuato l’intera popolazione, le forze armene hanno utilizzato Agdam, e altre province nell’area, come zona militare per quasi trent’anni e camminandoci oggi si può solo immaginare come la città potesse apparire nei primi anni ’90 o in epoca sovietica.
L’unico edificio ad essere rimasto quasi intatto è la grande moschea nella piazza centrale. Attorno soltanto i resti di quella che in epoca sovietica si intuisce potesse essere stata un’elegante cittadina. Oggi tra gli scheletri dei palazzi abbandonati e distrutti ci sono pericolosi campi minati e si aggirano cani e gatti randagi. I soldati azerbaijani sono in questo momento impegnati a disinnescare le mine che rendono la zona impraticabile. Già cinque persone sono morte calpestando delle mine da quando è stata dichiarata una tregua il 10 novembre che per ora ha posto fine alle ostilità. I militari azerbaijani sostengono che l’opera di bonifica del territorio potrebbe durare anche anni perché non è ancora chiaro per quanto si estenda l’area minata.
Ritorno ad Agdam
L’arrivo delle truppe azerbaijane ad Agdam ha permesso ad alcuni degli ex abitanti del posto di rivedere i loro paesi dopo quasi trent’anni. Isa Abdullayev è uno di loro, parla di un sentimento di “liberazione” e racconta che prima dello scoppio della guerra dopo il collasso dell’URSS i rapporti con i pochi armeni che vivevano ad Agdam erano buoni, “non potevamo immaginare che i nostri vicini avessero delle mire territoriali sulle nostre città. Coloro che avevamo sempre chiamato fratelli da un momento all’altro sono diventati dei nemici”. Abdullayev è uno dei profughi di Agdam e guarda con emozione al giorno in cui non sarà più considerato un rifugiato in patria e potrà tornare a vivere nella città dove è nato e cresciuto. Ritiene che oggi sia finalmente arrivato il momento della pace e che Agdam potrà essere presto ricostruita. Per ora si tratta soltanto di una speranza. Agdam è ancora un cumulo di macerie sopra un campo minato e nonostante il cessate il fuoco concordato tra le parti, talvolta si registrano ancora sporadici scontri a fuoco tra soldati armeni e truppe azerbaijane.
“Grazie a Dio abbiamo potuto vivere abbastanza a lungo per poter conoscere questo giorno”, è quello che Aide Huseyinova dice quando rivede per la prima volta in 26 anni la città dove è nata, “è stata davvero dura per noi vivere senza Agdam”. La signora Huseyinova è oggi un’insegnante in pensione, da quando è stata costretta a lasciare Agdam durante la prima guerra del Karabakh si è trasferita in un piccolo villaggio nelle vicinanze, da dove poteva talvolta sentire gli spari quando il conflitto tra soldati armeni e azerbaijani regolarmente riprendeva. Ha deciso di restare a vivere vicino ad Agdam con la speranza di poter un giorno rivedere il suo paese.
Ora che questo momento è arrivato trattiene le lacrime mentre realizza che il luogo dove ha vissuto la sua gioventù si è trasformato in un campo di macerie e le zone minate non le permettono nemmeno di avvicinarsi a ciò che resta della sua vecchia casa. “Non voglio vedere come è stato ridotto l’edificio dove abitavo, il dolore nel mio cuore è già troppo grande”, dice con uno sguardo severo e rassegnato. “Le anime di Agdam possono oggi tornare ad essere libere”, è questa l’unica gioia descritta dalle sue parole, “e se queste anime sono ora libere e felici allora anche noi lo saremo”.