È uscito recentemente per i tipi della casa editrice Ediciclo Editore di Portogruaro un libro di viaggio intitolato “Dove iniziano i Balcani”. Una recensione
Due miei amici mi stavano tartassando da sei mesi, chiedendomi in continuazione se avessi letto il libro “Dove iniziano i Balcani” di Francesca Cosi e Alessandra Repossi. Ecco, dovevo dirlo, che si arrabbino pure i miei due cari amici italiani.
Poi ad un certo punto mi sono detto: va bene, leggo quel libro, così finalmente li faccio contenti. Una volta finito di leggere, ho telefonato al mio amico di nome D.
“Ah, hai letto il libro! Allora… cosa ne pensi?”, mi ha chiesto il mio amico. “È un libro che dovrebbe e, allo stesso tempo, non dovrebbe essere letto”, gli ho risposto. “Dovrebbe – non dovrebbe? Non fare il misterioso! Le autrici hanno scritto un libro sul tuo paese natale…”, ha continuato ad insistere. “Non sto facendo il misterioso…”, gli ho detto, ma non avevo alcuna voglia di spiegargli che forse non ero nato lì, forse ho solo sognato di aver trascorso 36 anni lì, come se fossi il protagonista di quel dramma scritto 385 anni fa da un vecchio spagnolo… Il mio amico ed io non abbiamo parlato a lungo; gli ho promesso una recensione di quel libro, ma non in forma orale.
Poi ho telefonato al mio amico di nome M. Quando gli ho detto che quel libro dovrebbe e non dovrebbe essere letto è rimasto un po’ sorpreso. Ha affermato che quel libro assomigliava ad un pozzo o, ancora meglio, ad un magazzino, e che era straricco di dettagli. Non ho rivelato nemmeno a lui la mia ipotesi secondo cui forse non avevo mai vissuto lì, per non parlare dei miei ricordi, le mie esperienze, i libri che ho letto, la mia nascita lì. Forse si è trattato di un errore all’anagrafe. Anche a lui ho promesso una recensione, ma non orale. E di quegli orsi menzionati nel titolo del libro ho parlato solo con mia moglie. “Lì non ci sarà mai turismo! Gli orsi sbucano da ogni angolo!”.
Vent’anni fa
Un giorno un mio connazionale mi chiese se potessi fargli un favore. La figlia del suo capo studiava “qualcosa sulla Jugo” e il mio connazionale aveva pensato subito a me. “Chiede consigli, non è soddisfatta del suo… relatore della tesi? Si dice così? Ti pagherà per i consigli…”. Il giorno dopo arrivò la studentessa tenendo in mano una borsa piena di libri. “Sono sufficienti per la mia tesi?”, mi chiese. Giunsi rapidamente alla conclusione che quei libri non erano sufficienti. Le promisi che le avrei fornito un elenco di libri in italiano e in inglese e qualche giorno più tardi glielo consegnai. “Impossibile! Così tanti libri? Sa, non sto scrivendo una tesi di dottorato, bensì una semplice tesi di laurea”. Non ho mai più incontrato quella ragazza, ma non ho dimenticato le sue parole piene di nervosismo e di rimpianto: “Ah, se avessi saputo cosa mi aspettava…”. Non aveva finito la frase, ma non ce n’era nemmeno bisogno.
Oggi, 2020
Mi sono ricordato di quell’incontro leggendo “il libro di viaggio” di Francesca Cosi e Alessandra Repossi. Quella studentessa si era lamentata con me in modo sincero. Mentre leggevo “Dove iniziano i Balcani” non ho avvertito alcuna sincerità nelle parole delle due autrici, ma che ogni lettore di quel libro giudichi da sé quanta onestà vi sia nell’approccio delle autrici al tema scelto e nella loro elaborazione di motivi di carattere storico, politico, artistico e, soprattutto, urbanistico.
A giudicare da una mappa riprodotta all’inizio del libro, le due autrici hanno attraversato tutta la ex Jugoslavia, tranne la Macedonia del Nord. Tuttavia, nel libro usano con insistenza il termine “Balcani”. Nonostante non abbiano nemmeno messo piede sul suolo turco né tanto meno su quello greco, albanese o bulgaro. Ma perdoniamole, non sono le uniche ad aver abusato del termine Balcani; ci sono anche molti professori universitari in tutta Europa che hanno sempre quella parola in bocca, e nella mente.
Quindi, i Balcani e l’ex Jugoslavia sono diventati sinonimi. Nemmeno la penna di Maria Todorova è riuscita a infrangere certi pregiudizi. Non è facile spiegare certe cose a quelli che ricorrono ai luoghi comuni come a un rituale o una preghiera.
Ma torniamo alle nostre viaggiatrici. Il frutto della loro avventura, compiuta – come si legge sulla copertina del libro – a piedi e in bicicletta (un’affermazione che mi lascia perplesso perché nel libro viene menzionata una multa che le autrici avrebbero preso a Belgrado per aver parcheggiato l’auto in divieto di sosta) – è un “libro di viaggio” che attraversa cinque paesi: Slovenia, Croazia, Serbia, Bosnia Erzegovina e Montenegro. Il sottotitolo del libro recita: “In ex Jugoslavia, tra orsi, fantasmi di guerra e mostri di cemento”. Al termine del libro è riportato un elenco bibliografico, direi incompleto perché nelle osservazioni delle autrici sul passato e presente “balcanico” ho riconosciuto le parole di alcuni autori come Paolo Rumiz, Emilio Rigatti, Angelo Floramo, che ovviamente non sono state messe tra virgolette. Solo alcuni autori molto famosi, come Rebecca West, hanno meritato di essere citati.
Chi si aspetta un libro scritto con un certo stile rimarrà deluso, perché vi troverà solo frasi insipide (come se fossero state tradotte da Google Translate) e un ampio ricorso al metodo del copia-incolla. Chi si aspetta… No, questo non è il modo giusto. Dovrei dire: mi aspettavo un libro di viaggio e invece ho trovato un collage caotico. Sono sicuro che alcuni difenderanno sia lo stile che i temi affrontati in questo libro. Non vi hanno forse trovato posto la cosiddetta “guerra dei dieci giorni” in Slovenia, Vukovar, Sarajevo, Jasenovac, Mostar, Goli otok, l’intervento della NATO, la scomparsa della lingua serbo-croata, etc.? Sì, ma il libro affronta tutti questi argomenti senza alcuna originalità. C’è qualche parola su Andrić, c’è anche un breve ritratto biografico di Kiš. E una domanda: “Andrić era un serbofilo?”.
Città, paesaggi, volti
Leggendo “Dove iniziano i Balcani” ho finalmente scoperto che Lubiana è verde, che Belgrado è grigia, che a Sarajevo le cassette di scarico dei wc sono troppo rumorose, soprattutto alle 6 del mattino, e che le montagne montenegrine sono scure. In questo libro troviamo anche una vecchia signora, originaria della Croazia, che conosce solo la sua lingua madre e un cameriere belgradese dal volto corrucciato. Ci sono anche le guide turistiche, tutte molto gentili, ma il viaggiatore che non conosce l’alfabeto cirillico potrebbe avere delle difficoltà. (Le autrici però ci danno alcuni consigli su come imparare il cirillico.) Vado avanti? Se dovessi continuare ad elencare spenderei velocemente il mio migliaio di parole, quante ne dovrebbero contenere i miei testi su questo portale. Potrei facilmente spendere un migliaio di parole solo per descrivere la copertina di quel libro, che mostra un edificio brutalista (quando ho visto la copertina per la prima volta ho pensato che quell’edificio fosse stato strappato da un album di fotografie dedicato a Belfast, Bruxelles o Milano, e che fosse finito lì per errore), e altre almeno duemila parole per dire cosa ne penso dell’appendice fotografica del libro, perché effettivamente si tratta di un libro, con una copertina e un testo che contiene anche qualche capitolo originale, come ad esempio quello in cui viene descritto un viaggio in crociera.
Brutalismo, alberghi socialisti, Tito
Le autrici hanno dedicato molta attenzione alla descrizione dello stile dell’architettura socialista. (Belgrado è di nuovo al centro del loro interesse; è una città dove, per quelli che non lo sanno, dominano brutti edifici di enormi dimensioni e le rovine della guerra.) Uno stile che, come affermano le autrici, si chiama brutalismo. Hanno fornito anche alcune spiegazioni su questo stile, che evidentemente hanno letto da qualche parte e poi rielaborato. Quell’elenco bibliografico posto al termine del libro non ci aiuterà molto a identificare le fonti a cui si sono ispirate le autrici, che sembrano piuttosto riluttanti ad usare le virgolette. Tuttavia, non posso che concordare con loro quando affermano che in ex Jugoslavia venivano costruiti edifici mostruosi. È vero. Ma non è forse vero anche che ogni città dell’ex Jugoslavia ha un suo centro storico?
Il libro parla anche delle vacanze dei lavoratori nell’ex Jugoslavia dopo il 1945. Il capitolo intitolato “Il fascino indiscreto degli alberghi socialisti” contiene un miscuglio di affermazioni di ogni genere. Si legge tra l’altro che i lavoratori jugoslavi venivano forzati ad andare in vacanza, ma questo non è vero. Eppure le autrici affermano che i lavoratori venivano mandati al mare per recuperare le forze e per poi tornare al lavoro più produttivi. Una strategia ideata da, chi altro, se non Tito. Solo a partire dal 1967 i cittadini jugoslavi cominciarono ad andare negli alberghi di propria volontà, e non su “ordine del regime”. Quindi, secondo le autrici – che sembrano non avere alcun dubbio su questo punto – prima del 1967 nessun cittadino jugoslavo aveva mai soggiornato in un albergo perché voleva farlo!
Allora la vecchia zia Krista, la sorella di mia nonna, forse non è mai esistita? Non era ricca ma ogni (benedetto) anno andava al mare, aveva soggiornato in tutti gli alberghi di un certo livello, da Crikvenica a Ulcinj. Forse mia sorella e io non avevamo mai costruito le scatole con le cartoline, datate dal 1949 agli anni Sessanta, che la zia Krista inviava a mia nonna? Povero quel mio vecchio spagnolo, e anch’io insieme a lui, perché devo finalmente svegliarmi… La vida no es un sueño.
In questa operetta sui Balcani c’è un leitmotiv: la figura di Tito. Non sono mai stato membro dell’unico partito di quel paese che non c’è più, ma ciononostante credo che il Maresciallo meriti, se non altro, almeno un ritratto biografico ben scritto, quindi più completo e più onesto di quello contenuto in questo libro; un ritratto che può essere scritto anche lontano dai menù vegani, assaggiando quei ćevapčići dall’aspetto poco invitante, accompagnati da qualche bicchierino di quella maledetta bevanda alcolica ottenuta dalla distillazione di prugne… com’è che si chiama? E ovviamente con una tazza di kafa/kava/kahva: i libro contiene anche alcuni dettagli, ormai fin troppo noti, su questa magica bevanda “balcanica”.
Post scriptum
Era da tanto tempo che non mi capitava di leggere un libro in cui riecheggia così fortemente l’idea di orientalismo, inteso da Edward Said come proiezione dell’autoaffermazione dell’identità europea in contrapposizione a quella dei popoli colonizzati, come una conferma non solo del bisogno di dominare l’altro ma anche di dimostrare la propria presunta superiorità.
Le autrici, come affermano loro stesse, hanno cercato l’Altro, ma credo che scrivendo questa opera pseudoletteraria abbiano trovato solo se stesse. Pur sentendomi derubato – il tempo speso per leggere questo libro potevo impiegarlo a scrivere qualche pagina del romanzo su cui sto lavorando al momento (dopotutto, sto cercando di scrivere opere letterarie) – , ho fatto bene a leggere questo “libro di viaggio”. L’incontro con questo libro mi ha aiutato a capire meglio perché finora nessun editore italiano ha mai voluto accettare la mia proposta di pubblicare almeno alcuni dei racconti di viaggio, meravigliosamente belli e profondi, di Zuko Džumhur. (Le opere dell’anima non vendono abbastanza).
Quindi, rettifico quanto detto prima: “Dove iniziano i Balcani” è un libro che dovrebbe essere letto, perché dimostra ancora una volta che noi, che (pro)veniamo da lì, non dobbiamo dare la colpa agli autori dei “libri” come questo. Loro arrivano quando tutto è ormai finito, scrivono libri su di noi e poi se ne vanno altrove, a piedi o in bicicletta. Le loro opere sono solo una delle numerose conseguenze di quanto accaduto in ex Jugoslavia. La colpa è nostra, siamo noi i veri colpevoli non solo del trionfo del nazionalismo e della retorica della guerra, ma anche del trionfo dell’ottusità sociale e politica che continua a caratterizzare le divisioni tra i paesi ex jugoslavi. Di questi trionfi dovrebbero scrivere i migliori scrittori europei, se non altro perché molti cittadini europei ancora ritengono impensabile che i fenomeni di cui sopra possano accadere nel Vecchio continente.
La replica delle autrici del libro
Francesca Cosi e Alessandra Repossi hanno replicato alla recensione di Božidar Stanišić