Mostar, la Aluminiji

Dopo l'accordo tra governo federale e sindacati sembra avviarsi verso il lieto fine la lunga e travagliata vicenda della Aluminij di Mostar. La storia della fabbrica, e dei suoi operai, nel resoconto del nostro corrispondente

13/11/2006 -  Dario Terzić Mostar

Sarà finalmente portata a termine la lunga storia della Aluminij, la fabbrica di Mostar che lavora il minerale di ferro. In questi giorni se ne è parlato anche nel parlamento federale, e finalmente anche questa fabbrica verrà privatizzata. Quando? Non si sa ancora con precisione, ma tutti ci auguriamo che la soluzione avvenga prima di Natale.

Perchè è lunga la storia della Aluminij... E complicata.

Prima di entrare nei dettagli, dobbiamo dire che in un certo senso la Aluminij era già stata privatizzata, ma ci sono stati moltissimi "equivoci". Poi ci sono state anche altre questioni, sempre interessanti, come il fatto che la fabbrica si trova nella parte croata di questa città sempre divisa, e che quasi nessuno dei bosniaco musulmani che vi lavoravano prima della guerra è mai potuto tornare al lavoro. Per anni i sindacati bosniaci hanno cercato di far reintegrare la gente nel posto di lavoro, oppure di fargli ottenere un risarcimento, ma finora senza risultato.

La Aluminij, insieme alla SOKO (fabbrica di aerei), era il punto di riferimento per lo sviluppo industriale in questa zona prima della guerra. Alla Aluminij lavoravano circa 3.500 persone. La fabbrica si occupava quindi direttamente di più di 12.000 abitanti (le famiglie dei dipendenti), e indirettamente di molti di più se prendiamo in considerazione altri fattori come i trasporti, l'elettricità e altri servizi.

La bauxite, il minerale di ferro, fu scoperta nei pressi di Mostar (nell'Erzegovina occidentale tra Citluk e Siroki Brijeg) già negli anni venti del Novecento. Ma solo dopo la seconda guerra mondiale si avviò lo scavo e poi pian piano anche la lavorazione del minerale.

Nel 1975 a Mostar fu fondata la ditta Boksitni rudnici (Miniere di bauxite) e, in collaborazione con la ditta francese Pechiney, nel 1977 la ditta divenne "Aluminij". Dal 1981 si chiama ufficialmente Fabrika Aluminij.

Come abbiamo già detto, negli anni prima delle guerra bosniaca la Aluminij era una grande produttrice di alluminio, un grande soggetto industriale e asse portante dello sviluppo della zona. Grazie alla collaborazione con i francesi e a una rete commerciale ben avviata, i prodotti della Aluminij di Mostar andavano in tutto il mondo. Il direttore della fabbrica era Jole Musa, un pezzo da novanta, e grazie a lui e alle sue conoscenze la Aluminij diventò il paradiso per quelli che potevano lavorarvi. Gli stipendi erano altissimi. Mentre la gente che lavorava in un'altra fabbrica doveva aspettare 20 o 30 anni per poter avere il proprio appartamento, i dipendenti della Aluminij riuscivano a farlo in soli cinque anni. E se eri amico del direttore, anche prima. Il complesso della Aluminij aveva il proprio ambulatorio, ristorante, giardini pieni di fiori. Sembrava più una struttura turistica che una fabbrica. L'unica cosa che li tradiva erano i camini (fumaioli) altissimi. A parte il lavoro faticoso nelle cosiddette cellule, la produzione diretta di blocchi di alluminio, lavorare lì era un prestigio.

Tutto andava bene, come in una favola. E poi, e poi e poi... E poi c'è stata la guerra.

Nei documenti è scritto che alle sette di mattina del 23 aprile 1992, dopo ore di bombardamenti, la produzione della Aluminij si è fermata. La gente è tornata a casa. E poi, un anno dopo, molti di loro hanno lasciato anche la casa perchè hanno dovuto lasciare Mostar. Per finire in Canada, America, Scandinavia... Gran parte di loro (quasi tutti) erano musulmani.

Finita la guerra, la fabbrica era sempre chiusa. I danni ammontavano a circa 130 milioni di euro. L'ultimo management del periodo di prima della guerra, guidato da Iijo Brajkovic (successore di Jole Musa), decise di riavviare la produzione. Con l'aiuto della fabbrica di metalli leggeri TLM di Sibenik (Sibenico), il 15 marzo del 1997 la Aluminij riapre. Su tutti i documenti scritti che siamo riusciti a trovare si parla solo della TML. Invece, il vostro giornalista si ricorda anche delle delegazioni spagnole che venivano a Mostar con aiuti diretti (finanziari) per la Aluminij.

E siccome gli ex dipendenti della Aluminj di nazionalità bosniaco musulmana erano lontanissimo dalla città, i nuovi dipendenti erano esclusivamente croati. Poi, col tempo, furono assunti anche alcuni (pochi) serbi e musulmani che erano rimasti (raccomandazioni speciali). Contemporaneamente però, nella parte orientale della città, c'erano anche circa 350 musulmani ex lavoratori della fabbrica che erano rimasti senza nessuna possibilità di tornare a lavorare. Questi hanno provato di tutto. Lettere di protesta, tribunali, ricorsi, lotta sindacale, ma niente.

Nel frattempo, la Aluminij cresce. Si ristabiliscono alcuni legami. La produzione va avanti. Si guadagna bene. Ogni tanto il management della fabbrica si lamenta. Dicono che le bollette dell'elettricità sono altissime, e che per questo la fabbrica rischia di chiudere. Però non chiude. Va avanti.

Oggi ci sono 970 dipendenti. Ogni giorno si producono 700 tonnellate di annodi e 330 tonnellate di alluminio liquido. L'esportazione annua viaggia oltre i 150 milioni di euro.

Grazie alla produzione, compresi gli altri servizi, la Aluminij si "prende cura" di piu di 30.000 persone. E non solo di Mostar. Il 60% del ricavo del porto di Ploce, in Croazia, è guadagnato con i trasporti della Aluminij. Poi ci sono la ferrovia federale, l'elettricità ecc.

Mentre una parte era soddisfatta e sottolineava sempre il fatto che "si era riusciti a ricostruire la nuova fabbrica dalla cenere", l'altra parte, quella bosniaco musulmana, parlava della violazione dei diritti delle persone e del divieto della possibilità di lavorare. I giornali bosniaci scrivevano delle manipolazioni del direttore Brajkovic e di una privatizzazione poco onesta.

Un anno fa, la Aluminij ha inviato un appello agli ex dipendenti (cioé ai musulmani) perchè presentassero la documentazione per ottenere un possibile risarcimento, tipo buona uscita, con il pagamento dei contributi per tutto il periodo dopo il 1992. La gente non vedeva l'ora di vedere quei soldi, ma questa volta i primi a reagire sono stati i sindacati. Hanno detto che la Aluminij non può fare niente finchè la privatizzazione della fabbrica non viene apporvata dal parlamento federale.

Si comincia a parlare, a trattare.

Due mesi fa la Aluminij pubblica un altro appello. Sembra che questa volta la cosa sia stata approvata dai sindacalisti. La documentazione, però, deve essere consegnata di persona. E così gli ex lavoratori della Aluminij cominciano ad arrivare dal Canada, dall'America, dalla Norvegia, con la speranza di - come dicono loro - "collegare i contributi non pagati". Altri, rimasti a Mostar, a parte questi contributi, sperano di poter tornare a lavorare. Perchè quei 350, di cui parlavamo, non hanno un lavoro fisso. Fanno qualcosa ogni tanto, ma si tratta di lavoro nero e sempre pagato poco.

Finalmente, la settimana scorsa, sono arrivati i primi risultati "ufficiali". Il governo federale ha deciso di cercare di fare un accordo con la Aluminij. Sulla base dei documenti, è stata stabilita la struttura della proprietà: il 44% è dello Stato, il 44% è il cosiddetto capitale non nominato, che comprende le ricompense e i contributi finora non pagati, e il 12% è capitale straniero.

Sarà stabilita una commissione che dovrà preparare la documentazione per la vendita della Aluminij. Certo, tutto avverrà in collaborazione tra il Governo federale, il Comitato direttivo della Aluminij e gli esperti stranieri.

Conclusione. Se da un lato una privatizzazione della Aluminji è già stata fatta, una revisione porterà i chiaramenti a lungo attesi. La gente che aveva perso il diritto di lavorare in fabbrica avrà i contributi pagati, e poi un risarcimento per gli stipendi "che avrebbero potuto guadagnare". Alcuni di loro forse torneranno a lavorare. Ancora non si sa chi potrà comprare la fabbrica. Ma sembra che Mijo Brajkovic, l'attuale manager, sarà ben coinvolto. Per quanto riguarda la struttura nazionale dei dipendenti, infine, è quasi certo che i croati rimarranno la maggioranza.

Però, finalmente, un sospiro di sollievo per i mostarini. La fine di un braccio di ferro tra la Aluminji e i sindacalisti che durava da anni. Un braccio che adesso, anche per motivi politici, deve sembrare un abbraccio. Il ferro poi, almeno qui, rimarrà sempre la materia prima...