Uno scandalo di corruzione coinvolge il presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, un poliziotto e uomo d’affari. L’ennesimo episodio del malfunzionamento dello stato in Bosnia Erzegovina e i tentativi per insabbiarlo
Sarebbe sbagliato affermare che la Bosnia Erzegovina sia scossa da uno scandalo di corruzione che vede protagonista il presidente del Consiglio Superiore della Magistratura Milan Tegeltija. Perché una società non può rimanere veramente scossa se non c’è un’opinione pubblica (sensibilizzata), ovvero se non succede quel Qualcosa che dovrebbe succedere quando trapela un video che mostra il presidente del più alto organo giudiziario del paese mentre discute – in presenza di un ispettore di polizia che funge da tramite – con un uomo che chiede che un procedimento penale ormai da tempo avviato nei suoi confronti davanti al tribunale di Sarajevo venga velocizzato, cioè concluso.
Dunque, nel video in questione, pubblicato sul portale Žurnal, compaiono un uomo d’affari, Nermin Alešević, e un ispettore di polizia, Marko Pandža. Il poliziotto porta l’uomo d’affari da un giudice di Banja Luka, Milan Tegeltija. Quest’ultimo ascolta l’uomo d’affari, chiede il numero di ruolo del procedimento, e poi chiede che tale numero venga riferito al poliziotto che ha organizzato l’incontro. Una volta andato via il giudice, l’uomo d’affari conta 2000 euro e li dà al poliziotto, il quale gli promette che il giudice, tramite una sua collega a Sarajevo, “risolverà” il problema.
Solo nove giorni dopo la pubblicazione del video, l’Agenzia per la sicurezza nazionale (SIPA) ha sospeso temporaneamente, fino alla conclusione delle indagini, l’ispettore di polizia, uno dei tre protagonisti di questo scandalo denominato “Potkivanje” [Ferratura]. Il giorno successivo, la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha avviato un procedimento disciplinare contro il giudice Tegeltija.
All’indomani dell’avvio del procedimento disciplinare nei suoi confronti, Tegeltija ha reso noto che “se ne va in ferie”, aggiungendo che ritiene di non aver commesso alcuna infrazione disciplinare e che non si sente responsabile in alcun modo. Alcuni giorni prima, durante una seduta straordinaria del Consiglio Superiore della Magistratura, Tegeltija aveva esposto l’intero caso agli altri 13 componenti del Consiglio.
Nonostante abbia ricevuto il sostegno unanime dei colleghi, Tegeltija non ha compiuto alcuna azione concreta, né tanto meno ha cercato di mettere in moto il procedimento di cui sopra. La procura – in linea con il suo ruolo di complice nello smantellamento della giustizia in Bosnia Erzegovina – ha continuato a rimandare qualsiasi intervento e ha fatto (e continua a fare) di tutto per insabbiare lo scandalo, come già avvenuto molte volte in passato.
E come avviene quasi sempre: si chiude un occhio di fronte a una palese criminalità e ci si aspetta che i giudici praticamente accusino se stessi.
Tutti i paradossi del sistema giudiziario della Bosnia Erzegovina sembrano essere racchiusi in questo caso che definitivamente non dovrebbe rimanere irrisolto, nonostante sia soltanto la punta dell’iceberg.
Il tentativo di insabbiare lo scandalo però è fallito perché i tre principali organismi internazionali presenti in Bosnia Erzegovina – la missione OSCE, l’ambasciata degli Stati Uniti e la delegazione dell’UE – hanno inviato una lettera al presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, nella quale si legge, tra l’altro, che “si ha l’impressione che il Consiglio, nel prendere le sue decisioni, sia guidato da ragioni politiche o di altro tipo”.
Tale tono diplomatico è quasi sempre accompagnato da una quantità insopportabile di eufemismi, ma dal momento che tutte e tre le istituzioni internazionali hanno firmato suddetta lettera, ci si può aspettare che il presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, una volta rientrato dalle “ferie”, non torni al suo lavoro (molto ben pagato) bensì venga sottoposto a indagini.
Ma solo se su questa vicenda dovesse insistere la comunità internazionale. Perché la magistratura bosniaco-erzegovese, impigritasi nella posizione ideale di chi gode dei massimi diritti con i minimi doveri, da sola non risolverà alcun caso importante. Almeno finché “funzionerà” la corruzione, che al momento funziona molto meglio dello stato, perché si è insinuata nelle più alte istituzioni statali.
Proprio come dice Bakir Izetbegović, leader del più grande partito dei musulmani bosniaci (il Partito di azione democratica, SDA), la cui ottusità è superata solo dal suo cinismo. Come se non avesse contribuito in alcun modo all’attuale situazione e come se essa non lo riguardasse affatto, Izetbegović sostiene: “Tutti in Bosnia Erzegovina concordano sul fatto che il sistema giudiziario non goda di buona salute e che per questo l’Unione europea debba intervenire”.
Se non fosse tragico, sarebbe comico. Il leader del più grande partito del paese dice che il paese non funziona e che lui non c’entra nulla.
Nel frattempo, l’entità della Republika Srpska, con l’aiuto della Russia e della Serbia, si sta preparando per diventare uno stato indipendente. A giocare a suo favore sono le trasformazioni globali, tali per cui quello che vale oggi domani non varrà più (come ad esempio la folle politica estera di Trump), nonché il fatto che l’attuale leadership bosgnacca, se dovesse trovarsi ad affrontare il rischio della dissoluzione della Bosnia Erzegovina, cercherebbe di salvare se stessa anziché il paese. O meglio, esorterebbe alla difesa del paese, ma al contempo cercherebbe disperatamente di preservare il capitale accumulato rubando durante (e dopo) la guerra.
È in questa chiave che bisogna leggere l’attuale situazione in Bosnia Erzegovina: ci si aspetta che la comunità internazionale risolva tutti i problemi interni.
Ciò non è mai accaduto nella storia dell’umanità. E non accadrà nemmeno adesso in Bosnia Erzegovina.