Sembra una domanda del tutto retorica, eppure in Bosnia Erzegovina una domanda del genere può essere tremendamente seria e complicata. A maggior ragione se una delle due entità che compongono il paese decide di disporre di alcune proprietà dello stato
La questione della proprietà statale – la prima grande sfida che si trova ad affrontare il nuovo governo centrale entrato in carica a gennaio di quest’anno – è tornata in auge dopo la decisione degli esponenti della leadership della Republika Srpska (RS) [una delle due entità costitutive della Bosnia Erzegovina] di registrare alcune proprietà dello stato come proprietà della RS, ignorando quanto stabilito dalla Corte costituzionale della BiH. In alcune sentenze emesse negli ultimi anni, la Corte ha infatti precisato che la questione delle proprietà dello stato è prerogativa delle autorità statali, nello specifico dell’Assemblea parlamentare della BiH.
Descrivendo il concetto di patrimonio dello stato, la Corte ha spiegato che le proprietà statali non comprendono solo i beni destinati all’utilizzo da parte delle autorità pubbliche, ma anche “i beni di interesse pubblico”, ossia i beni demaniali (le acque e i fondali marini, le acque e i letti dei fiumi, i laghi, le montagne e altre risorse naturali, le infrastrutture pubbliche e di trasporto) primariamente destinati al soddisfacimento dei bisogni della collettività.
Lo scorso 19 aprile gli esponenti dei cosiddetti partiti filo-bosniaci (alcuni attualmente al governo, altri all’opposizione) hanno firmato una dichiarazione congiunta, chiedendo alle élite politiche della BiH di abbandonare la politica distruttiva e di accettare le decisioni della Corte costituzionale. La dichiarazione ha incontrato una forte disapprovazione dei membri della Camera dei rappresentanti dell’Assemblea parlamentare della BiH provenienti dalla Republika Srpska, che hanno reagito duramente minacciando di boicottare le istituzioni statali – una prassi diventata ormai consueta tra i rappresentati della RS che agitano lo spettro del boicottaggio ogni volta che percepiscono un’iniziativa come un attacco alla loro entità.
Qualche settimana fa l’Assemblea popolare della RS ha invitato i giudici della Corte costituzionale appartenenti al popolo serbo a dimettersi, invito che molti attori politici locali e internazionali hanno interpretato come un’azione di pressione sulla magistratura.
Milorad Dodik, presidente della Republika Srpska e leader dell’Unione dei socialdemocratici indipendenti (SNSD), ha dichiarato che “la RS ribadisce fermamente che la questione del patrimonio dello stato non verrà discussa in seno alla Camera dei rappresentanti della BiH poiché significherebbe che è una questione di competenza della BiH, quando in realtà non è così”.
Dodik – attualmente sottoposto a sanzioni da Washington e Londra per le sue azioni corruttive e destabilizzanti e i tentativi di minare gli Accordi di pace di Dayton – ha sottolineato che la RS continuerà a portare avanti il processo di “ripristino delle competenze” trasferite dalle entità alle istituzioni statali dopo la firma degli Accordi di Dayton che hanno posto fine alla guerra del 1992-1995 in Bosnia Erzegovina.
Da tempo ormai il presidente della RS minaccia di abbandonare alcune istituzioni statali, pur sapendo che, se dovesse effettivamente intraprendere tale azione, violerebbe la Costituzione della BiH.
Lunedì 15 maggio l’ambasciata degli Stati Uniti a Sarajevo ha emesso un comunicato in cui si afferma che i beni statali appartengono allo stato e che serve adottare una legge nazionale che regolamenti la questione. “Non è una questione di opinioni, bensì una questione costituzionale e giuridica”, si sottolinea nel comunicato che cita anche gli Accordi di Dayton.
Un nuovo intervento dell’Alto rappresentante?
Lo scorso 24 aprile l’Ufficio dell’Alto rappresentante (OHR) ha fatto sapere che nell’ambito delle consultazioni sulla questione del patrimonio dello stato, con il sostegno del Consiglio per l’implementazione della pace (PIC), è stato creato un gruppo di lavoro con il compito di raccogliere opinioni di esperti e informazioni che possano essere d’aiuto all’Assemblea parlamentare della BiH nell’affrontare questa problematica. Ci si aspetta che il gruppo di lavoro presenti le proprie proposte – il cui contenuto è ancora avvolto da ipotesi e speculazioni – all’Assemblea parlamentare entro la fine dell’estate o all’inizio dell’autunno. In una recente intervista rilasciata ad un’emittente locale, il capo della delegazione dell’UE in BiH ha dichiarato che, oltre agli esperti bosniaco-erzegovesi, nel gruppo di lavoro sono coinvolti anche alcuni esperti provenienti da Germania, Italia e Turchia, senza però rivelare i loro nomi.
Ogni annuncio e dibattito su una possibile soluzione del problema del patrimonio statale proposta dalla comunità internazionale, attraverso l’Ufficio dell’Alto rappresentante, può portare all’acuirsi della crisi politica in BiH, soprattutto considerando la retorica che attualmente regna nel paese.
La leadership della Republika Srpska rifiuta categoricamente di discutere della questione del patrimonio dello stato in seno alle istituzioni centrali, sostenendo che la soluzione della questione deriva dagli stessi Accordi di Dayton, equiparando così il diritto al territorio al diritto di proprietà. Secondo gli Accordi di Dayton, il 49% del territorio della BiH appartiene alla Republika Srpska.
Nel 2005 l’allora Alto rappresentante della BiH Paddy Ashdown aveva imposto una legge per vietare di usufruire dei beni statali fino all’adozione di una nuova legge nazionale che stabilisse chiaramente quali beni appartengono a determinati livelli di governo. Ad oggi tale legge non è ancora stata adottata a causa del mancato raggiungimento di un compromesso politico. Anche la Corte costituzionale della BiH ha a più riprese sottolineato la necessità di risolvere questa questione, ma i rappresentanti della Republika Srpska continuano a contestare le decisioni della Corte, sostenendo che vadano a svantaggio della RS.
La prassi ha dimostrato che quando gli attori politici locali non riescono a raggiungere un accordo, si apre uno spazio di manovra per l’Alto rappresentante. Se l’Alto rappresentante dovesse imporre una soluzione della questione delle proprietà statali, la BiH potrebbe trovarsi sconvolta da una nuova crisi politica, considerato che le decisioni dell’Alto rappresentante di solito vengono accolte con forte disapprovazione da alcune, se non tutte le forze politiche del paese.
Il destino dei grandi progetti
Dodik e i suoi partner di coalizione in Republika Srpska insistono su una soluzione definitiva della questione dei beni statali per almeno due motivi. Il primo motivo risiede nel fatto che la proprietà di molti beni statali di fatto è già cambiata. Il secondo riguarda alcuni grandi progetti annunciati o avviati negli ultimi anni, tra cui l’aeroporto di Trebinje, l’idrocentrale Buk Bijela sul fiume Drina e un gasdotto verso la Serbia denominato “Nuova interconnessione orientale”. A bloccare la realizzazione di questi progetti è la legge che vieta di usufruire dei beni statali. Dodik ha annunciato che continuerà a ostacolare alcuni processi decisionali a livello statale fino a quando non sarà resa possibile la realizzazione dei progetti di cui sopra.
Due anni fa la Serbia e la Republika Srpska hanno lanciato il progetto “Nuova interconnessione orientale” con lo scopo di costruire un nuovo gasdotto lungo 335 chilometri, per un valore complessivo di 120 milioni di euro. Il gasdotto, che fornirebbe alla RS un miliardo di metri cubi di gas all’anno, dovrebbe essere finanziato dal colosso russo Gazprom. Nel frattempo però questo progetto ha acquisito anche una dimensione politica poiché implica l’ingresso di capitale, e quindi anche l’influenza, della Russia in un paese candidato all’adesione all’UE. Ed è un progetto che si sovrappone a quello del cosiddetto gasdotto di interconnessione meridionale che permetterebbe alla BiH di diversificare le fonti energetiche.
La recente decisione del Consiglio dei ministri della BiH di avviare la realizzazione dei due gasdotti di cui sopra ora deve essere approvata dalla Presidenza tripartita della BiH, nonché da entrambe le camere del parlamento, un iter che potrebbe protrarsi per sei mesi. Il sostegno della Presidenza resta incerto, considerando che due dei suoi membri, Željko Komšić e Denis Bećirović, insistono sull’adozione di una legge sul gas a livello statale capace di fornire un’adeguata cornice per simili progetti. Inoltre, come sottolineano alcuni esperti, prima dell’avvio di suddetti progetti bisognerebbe risolvere alcune questioni giuridiche legate alla proprietà dei terreni soggetti al vincolo d'uso.
Anche il progetto dell’idrocentrale Buk Bijela è basato su un accordo tra Belgrado e Banja Luka. Nel 2021, subito dopo la cerimonia della posa della prima pietra, i deputati della Federazione BiH hanno protestato, sostenendo che spettasse alle istituzioni centrali della BiH decidere sulla concessione per la costruzione, trattandosi di un progetto bilaterale. Anche la Corte costituzionale ha stabilito che i fiumi rientrano tra i beni demaniali dello stato ed è quindi lo stato che dovrebbe sottoscrivere l’accordo per la realizzazione del progetto in questione. La Republika Srpska sostiene invece che lo stato non sia competente in materia, e che il tratto del fiume Drina coinvolto dal progetto ricade nel territorio della RS.
Da anni ormai le ong ambientaliste si oppongono alla costruzione dell’idrocentrale Buk Bijela, temendo possibili conseguenze devastanti per l’area protetta del canyon più profondo d’Europa. Anche in Montenegro si è discusso di questa centrale idroelettrica e del suo impatto negativo sui fiumi Tara e Piva.
Il progetto dell’aeroporto di Trebinje, anch’esso lanciato da Belgrado e Banja Luka, è finanziato dalla Serbia, la quale dovrebbe anche gestire l’intera struttura. Questo progetto risulta controverso perché, come sostengono alcuni esperti, i terreni agricoli e boschivi su cui dovrebbe essere realizzato rientrano tra i beni statali che, secondo quanto previsto dalla legge del 2005, non possono essere utilizzati prima dell’approvazione di una nuova normativa in materia. Inoltre, con una sentenza del febbraio 2020, la Corte costituzionale della BiH ha stabilito che tutti i terreni pubblici ad uso agricolo in Republika Srpska sono di proprietà dello stato, e non della RS, come invece previsto da una legge approvata nel 2019 dall’Assemblea popolare della RS.
L’opinione pubblica ritiene che il principale problema dei progetti su cui Dodik insiste riguarda il tentativo delle autorità della Republika Srpska di creare infrastrutture parallele tra la RS e la Serbia, fornendo così ulteriori presupposti per una maggiore indipendenza della RS, assecondando le aspirazioni secessioniste.
La lotta politica per i diritti di proprietà dei beni statali si protrae ormai da quasi ventotto anni. La gestione dei beni pubblici è uno dei cinque obiettivi definiti ancora nel 2008 dal Consiglio per l'implementazione della pace come una delle precondizioni necessarie per la chiusura dell'Ufficio dell'Alto rappresentante, ed è una condizione per l'adesione della Bosnia Erzegovina alla NATO e all'UE. Negli ultimi anni la Commissione per i beni statali ha avanzato varie proposte riguardanti la modalità di registrazione dei beni di proprietà dello stato e di quelli appartenenti a livelli inferiori di governo. Ad oggi però nessuna di queste proposte è stata accolta positivamente da tutte le forze politiche della BiH.