Le costanti minacce portate all'ordinamento statale della Bosnia Erzegovina da Milorad Dodik, presidente della Republika Srpska, alimentano nel paese una situazione di forte tensione. Il punto di vista di Senada Šelo Šabić, dell’Istituto per lo sviluppo e le relazioni internazionali di Zagabria
(Originariamente pubblicato sul settimanale Nacional , il 9 luglio 2023)
In Bosnia Erzegovina la crisi provocata dall’incapacità delle élite politiche di trovare un accordo su una politica comune si protrae ormai da troppo tempo, permettendo al presidente della Republika Srpska Milorad Dodik di ritagliarsi uno spazio di manovra per agitare continuamente lo spettro della secessione, ma anche per compiere azioni concrete che minano l’ordinamento statale della BiH. Lo scorso 7 luglio Dodik ha promulgato una nuova legge sulla Gazzetta Ufficiale della RS, che cancella l’obbligo di pubblicare nella Gazzetta le decisioni dell’Alto rappresentante in BiH, nonché una legge sulla non applicabilità delle decisioni della Corte costituzionale della BiH sul territorio della Republika Srpska. Date queste premesse è lecito chiedersi quali passi concreti possa intraprendere la comunità internazionale per salvaguardare la pace in Bosnia Erzegovina. Il settimanale croato Nacional ne ha parlato con Senada Šelo Šabić, ricercatrice presso l’Istituto per lo sviluppo e le relazioni internazionali di Zagabria.
Ritiene che dobbiamo temere nuovi scontri in Bosnia Erzegovina a causa del radicalizzarsi della politica irragionevole di Milorad Dodik?
Chiunque segua le vicende della Bosnia Erzegovina di certo non può restare indifferente di fronte alla retorica di Milorad Dodik e alle azioni che l’accompagnano. Per quanto possiamo sforzarci di rimanere calmi, se non abbiamo il potere di agire in caso di un’eventuale escalation delle tensioni, difficilmente possiamo essere sereni. Io non dispongo di tale potere, non so nemmeno se esista un simile potere, e per me questa incognita è un’ulteriore fonte di preoccupazione.
Possiamo solo immaginare come si sentano i cittadini della Bosnia Erzegovina che quotidianamente sono costretti ad ascoltare le dichiarazioni di Milorad Dodik e di altri esponenti della leadership della Republika Srpska sull’impossibilità di una convivenza e di assistere ad azioni che minano esplicitamente le fondamenta dell’ordinamento costituzionale dello stato. E le istituzioni dello stato non sono capaci di rispondere a tali attacchi per via della natura stessa dell’ordinamento statale previsto dagli Accordi di Dayton.
Credo che i cittadini della Bosnia Erzegovina vogliano preservare la pace. Al contempo però non escludo la possibilità che ci sia una minoranza disposta a mettere a rischio la pace pur di soddisfare i propri interessi.
In questo momento cosa dovrebbe fare la comunità internazionale per salvaguardare la pace in Bosnia Erzegovina?
La NATO può e deve rafforzare la sua presenza militare [in BiH], lanciando così un segnale sulla propria determinazione nel non voler permettere a nessuno di mettere a rischio la pace. Inviando ulteriori forze a Brčko e schierando truppe in alcune altre località strategiche in BiH, la NATO metterebbe in chiaro che nessuna forma di violenza armata è tollerabile. Nonostante Milorad Dodik abbia annunciato di voler organizzare un referendum [sull’indipendenza della Republika Srpska] entro la fine di quest’anno, Washington si è detta disposta ad agire con risolutezza solo nel caso in cui il presidemte della RS dovesse effettivamente indire tale referendum. A mio avviso però, non bisogna aspettare: è sempre meglio prevenire un incendio che trovarsi costretti a spegnerlo.
Provate a immaginare una situazione in cui alcune persone stanno sistemando la nuova casa, altre stanno per affrontare il test di ammissione all’università, altre ancora si apprestano ad andare in vacanza, quindi persone che fanno cose ordinarie, poi all’improvviso tutto scompare nel vortice e nelle fiamme della guerra. La vita si ferma, crollano i sogni, dirompono le paure, il sole e il calore scompaiono lasciando il posto all’oscurità. È così che io vedo la guerra. Il solo pensare alla possibilità di vivere ancora una volta un’esperienza simile mi fa inorridire. Solidarizzo profondamente con tutti quelli che sono costretti a vivere gli orrori della guerra in qualsiasi parte del mondo. E spero sinceramente che in Republika Srpska non manchino persone ragionevoli che non vogliono un simile destino né per se stesse né per i loro vicini, e quindi sono pronte ad agire per evitare che la situazione evolva in una direzione sbagliata.
Quali sono i meccanismi a disposizione dell’Unione europea e degli Stati Uniti?
Il regime di Milorad Dodik ha fatto sprofondare la Republika Srpska in una grave crisi economica, e finalmente anche la comunità internazionale ha iniziato a tagliare i sostegni finanziari alla RS. Pur avendo indubbiamente un certo effetto, tali pressioni economiche incidono soprattutto sulla popolazione, e temo che ormai non possano spingere Dodik a cambiare la sua linea politica. Se la comunità internazionale avesse intrapreso simili misure dieci anni fa, quando Dodik aveva iniziato a minacciare la secessione e un referendum sull’indipendenza [della Republika Srpska], non saremmo arrivati a questo punto. Dodik ha ormai preso l’abitudine di minacciare e la comunità internazionale continua a fargli concessioni pur di calmarlo. La politica dell’appeasement è sempre una politica sbagliata, era sbagliata in passato, lo è anche oggi.
Considerando che [le potenze occidentali] con le loro azioni politiche hanno sempre assecondato Dodik, sono scettica sulla disponibilità degli Stati Uniti e dell’UE a cambiare radicalmente il loro atteggiamento nei confronti della politica incarnata da Dodik. Una politica fatta di insulti, insolenza e maleducazione, una politica dell’ignoranza e dell’arroganza, imperniata sulla retorica della forza con cui Dodik cerca di intimidire i suoi oppositori. E l’Occidente non reagisce con fermezza e risolutezza. Quindi, non posso escludere l’ipotesi che la situazione in Bosnia Erzegovina si complichi ulteriormente vedendo coinvolti anche altri attori.
Ritiene che l’Interpol e le agenzie di sicurezza dell’UE debbano impegnarsi maggiormente nella lotta alla corruzione in BiH?
In Bosnia Erzegovina, che resta il paese più corrotto del sud est Europa, il diffondersi della corruzione non è conseguenza dell’incapacità di percepire e indagare il fenomeno corruttivo. Il problema sta nell’esistenza di una magistratura politicizzata, ossia nella mancanza della volontà politica di avviare indagini. La procura e i tribunali non fanno il loro lavoro. Le istituzioni non funzionano come dovrebbero in un paese ordinato. Le agenzie e i servizi stranieri possono aiutare, ma ciò di cui la Bosnia Erzegovina ha bisogno è un ripensamento dell’attuale sistema politico che permetta di raggiungere un nuovo accordo politico come punto di partenza per riformare le istituzioni, instaurare lo stato di diritto e iniziare a costruire un rapporto di fiducia reciproca.