La campagna elettorale per il voto del 3 ottobre in Bosnia Erzegovina: le divisioni in campo bosgnacco, le polemiche sul candidato croato alla presidenza, la mossa di Dodik. Slogan e candidati, il rischio astensione. La posta in gioco
In Bosnia Erzegovina, con le prime campanelle di scuola e le fresche mattine di settembre che annunciano l'autunno, è iniziata ufficialmente la campagna per le elezioni politiche 2010: 39 partiti, 11 coalizioni e 13 candidati indipendenti cercheranno di convincere i cittadini di aver fatto bene il loro lavoro, e che proprio loro saranno in grado di far uscire il Paese dalla crisi.
Venerdì 3 settembre, tutte le principali città della Bosnia Erzegovina si sono risvegliate con i manifesti dei partiti appesi sui muri, raffiguranti volti più o meno noti, con frasi più o meno originali che cercano di convincere a votare per loro e a mettere nelle loro mani il Paese per i prossimi quattro anni.
Gli slogan dei principali partiti sono “Il popolo sa” (Partito di azione democratica, SDA); “Srpska per sempre” (Alleanza dei socialdemocratici indipendenti, SNSD); “La forza in cui credo” (Unione democratica croata, HDZ); “Il Paese al servizio del cittadino” (Partito socialdemocratico, SDP).
Il Partito di azione democratica, principale partito bosgnacco, al governo, ha candidato alla presidenza del Paese Bakir Izetbegović, figlio dell’ex primo presidente bosniaco, Alija Izetbegović.
Sulejman Tihić, l’attuale presidente del partito, non si è infatti candidato dopo l'acceso scontro che lo aveva opposto a Bakir, durante l'ultimo congresso del partito, su chi dei due avrebbe guidato l’SDA. Tihić ne era uscito vincitore, ma la rivalità tra i due politici aveva portato ad una divisione nel partito. Ora, secondo gli osservatori più attenti, Tihić consegnerebbe Izetbegović ad una potenziale sconfitta da parte dell'avversario più accanito in campo bosgnacco, Haris Silajdžić.
Silajdžić, presidente del Partito per la Bosnia Erzegovina, un tempo il più stretto collaboratore di Alija Izetbegović, alle elezioni del 2006 sconfisse Tihić nella lotta per la presidenza del Paese, e da quattro anni è uno dei tre presidenti della Bosnia Erzegovina.
Oggi Silajdžić si ricandida e, secondo i sondaggi, potrebbe ottenere la maggioranza dei voti.
Il suo partito è nato da una scissione interna al Partito di azione democratica. Alle elezioni del 2006 ottenne un buon risultato promettendo ai cittadini riforme che avrebbero portato a una maggiore centralizzazione dello Stato e alla eliminazione delle entità.
Queste promesse non sono state mantenute, e la condotta di governo di questo partito è stata segnata da scandali su permessi illegali assegnati per la costruzione di nuovi impianti elettro-energetici. Il caso ha avuto un epilogo giudiziario. Silajdžić, inoltre, nel 2006 aveva promesso ai cittadini che si sarebbe personalmente adoperato per portare ad un aumento degli investimenti esteri in Bosnia Erzegovina, in particolare da parte dei Paesi islamici. Anche questo non è avvenuto.
Nello spazio politico bosgnacco si presenta però anche un nuovo candidato. Si tratta di Fahrudin Radončić, fondatore di Dnevni Avaz, il principale quotidiano bosniaco. Radončić ha fondato un proprio partito, l'Alleanza per un futuro migliore (SBB), e si è candidato alla presidenza per il popolo bosgnacco. Essendo il proprietario di uno dei maggiori media del Paese, e avendo scelto il momento migliore per l’ingresso nella scena politica – la divisione tra gli elettori bosgnacchi – il suo partito, secondo i pronostici, otterrà un sicuro numero di voti. Nel suo programma si parla soprattutto di economia e lotta alla povertà. Senza un miglioramento della situazione economica, secondo Radončić, non sono da escludere nuovi conflitti che potrebbero portare alla distruzione del Paese.
Come rappresentante croato alla presidenza, per la prima volta, l'Unione democratica croata (HDZ) presenta una donna, Borjana Krišto. La Krišto è attualmente presidentessa della Federazione bosniaca, una delle due entità in cui è diviso il Paese. Secondo i sondaggi, il suo rivale più forte è Željko Komšić, attuale membro dell'ufficio di presidenza.
Komšić, del Partito socialdemocratico della Bosnia Erzegovina (SDP), si era candidato alla presidenza nel 2006 come rappresentante croato, aggiudicandosi una solida vittoria. Oggi si ricandida alla stessa carica e, secondo i sondaggi, è in vantaggio.
Va ricordato che, secondo i rappresentanti dei partiti croati, Komšić non sarebbe un legittimo rappresentante del popolo croato, in quanto i suoi voti proverrebbero soprattutto dagli elettori bosgnacchi. Komšić, che è un sarajevese, gode di grande popolarità nella capitale, in cui ha vissuto anche durante la guerra, ricevendo una delle più alte onorificenze per aver combattuto nell’esercito bosniaco. Secondo i sondaggi, come ricordato, Komšić gode di un ampio vantaggio rispetto agli altri candidati croati.
Per quanto riguarda i candidati per il popolo serbo, non ci sono grandi sorprese. Nebojša Radmanović, dell'Alleanza dei socialdemocratici indipendenti (SNSD), attuale membro della presidenza, si è ricandidato. Secondo i sondaggi, Radmanović sarebbe in vantaggio rispetto agli altri candidati serbi.
La novità nello scenario politico della Republika Srpska è rappresentata dalla candidatura dell’attuale premier, Milorad Dodik, a presidente dell’entità serba. Questa posizione solitamente comporta un potere più simbolico che reale nelle decisioni politiche dell’entità. I mandati di Dodik come premier sono stati segnati dagli affari delle privatizzazioni, dalle controversie sulla costruzione della sede del governo a Banja Luka, in generale da un linguaggio politico greve, attacchi ai giornalisti e continue minacce di referendum per la secessione. La sua attuale mossa può essere interpretata come una frenata, impressa dallo stesso premier. Il suo partito continua in ogni caso a registrare il maggior consenso elettorale nella Republika Srpska.
Il settore non governativo bosniaco descrive l’attuale atmosfera elettorale come un qualcosa di già visto.
Sanel Huskić, presidente di ACIPS (una ong di Sarajevo esperta nelle tematiche legate all'integrazione europea, alla democrazia e ai diritti umani) afferma che questa campagna elettorale non è molto diversa dalla precedente.
Infatti, secondo Huskić, al centro della campagna non ci sono temi fondamentali per i cittadini come l'occupazione e la lotta alla corruzione, ma da un lato la lotta per un maggiore potere della Republika Srpska rispetto alla Bosnia Erzegovina, e dall’altro lo scontro sulla legittimità del rappresentante croato ad essere eletto alla presidenza del Paese.
“Abbiamo notato un lieve cambiamento nei partiti con prevalenza di voti da parte bosgnacca, in particolare l’SDP, che ha presentato ai cittadini cinque proposte chiave che offrono possibili risposte a problemi reali della società. Questa è una delle sole novità rispetto al 2006”, sostiene Huskić.
Momir Dejanović, del Centro per una politica umana di Doboj, condivide il pensiero di Huskić: “I programmi elettorali sono fatti di promesse già sentite e non mantenute, manipolazioni dell’interesse monoetnico e corruzione degli elettori. I programmi dei partiti, in Bosnia Erzegovina, non hanno un'influenza decisiva sui risultati elettorali. I principali partiti ottengono voti soprattutto basandosi sugli interessi della propria nazione di riferimento e, ultimamente, corrompendo gli elettori tramite promesse di impiego nel settore pubblico, di soluzione di problemi locali e offrendo vantaggi personali. Le spese reali della campagna elettorale di quest’anno ammontano a circa 100 milioni di KM (51 milioni di € circa), di cui solo il 20% verrà rendicontato in modo legale”, commenta Dejanović.
Un elemento che caratterizza questa campagna elettorale è la mancanza di attività da parte del settore non governativo, in passato impegnato nel persuadere i cittadini ad andare a votare.
Huskić ritiene che questo sia un errore, e che sia indispensabile motivare gli elettori bosniaco-erzegovesi a recarci alle urne: “Non abbiamo organizzato molte iniziative di questo tipo per queste elezioni. E' un errore, perché i partiti al governo faranno di tutto per spingere chi è tentato dall'astensione a non recarsi alle urne, mobilitando al contempo i propri elettori, che puntualmente vanno a votare”.
Secondo Huskić, proprio quei cittadini che non vanno a votare danno il tacito consenso a tutto ciò che succede nel Paese, ma sono loro la potenziale forza che porterebbe a radicali cambiamenti nella società.
Dejanović ritiene che l’astensionismo alle urne sia comprensibile, ma non giustificabile: “A metà luglio abbiamo condotto un sondaggio, i cui risultati mostrano che alle elezioni di ottobre si recherà meno del 50% degli elettori. La campagna elettorale dei partiti e l'intervento delle organizzazioni non governative può far crescere tale percentuale. Lo scenario politico bosniaco è decisamente ingarbugliato, e l’assenza di un’alternativa credibile è un fattore che allontana i cittadini dalle urne”.
Una cosa, almeno, è sicura: per quanto riguarda la Federazione bosniaca, nessun partito potrà formare un governo da solo. Alle elezioni seguiranno dunque lunghe e sofferte trattative volte a formare una coalizione.
Agli occhi dei cittadini bosniaci, tuttavia, deve essere chiaro che nei prossimi quattro anni non vivranno meglio di come hanno vissuto finora. L'indebitamento del Paese, l’alto tasso di disoccupazione, la crescente corruzione sono questioni imprescindibili. Le tanto agognate riforme del sistema, gli emendamenti alla costituzione e lo status di Paese candidato all’Unione europea sono le sfide che attendono i politici bosniaci dopo questo autunno e il circo elettorale.