Il viaggio di un convoglio umanitario attraverso la ex Jugoslavia in fiamme che si sviluppa in una trama sempre più dinamica. Una recensione a "Check Point", romanzo dello scrittore e diplomatico Jean-Christophe Rufin
Sebbene ci separino ormai vent’anni dalla fine della guerra nell'ex Jugoslavia, continuano ad uscire romanzi che ancora ne parlano, in particolare da parte di autori non appartenenti al gruppo di paesi coinvolti nel conflitto (forse per una forma di rimozione di quelli locali). Basta ricordare, tra i più recenti, lo struggente e interessantissimo romanzo “La figlia” della spagnola Clara Uson, edito da Sellerio, oppure “Schegge” del, sì, bosniaco, ma trapiantato negli Stati Uniti e ormai di lingua inglese, Ismet Prcić, edito da Bompiani.
Ora è la volta del francese Jean-Christophe Rufin, che ha scritto “Check Point”, uno tra i maggiori successi dell’anno appena trascorso nel suo paese, da noi edito da e/o (pag. 298, €. 18,00) e tradotto da Alberto Bracci Testasecca. Rufin non è uno qualunque: è il fondatore di Medici senza frontiere, scrittore ma anche diplomatico (oggi è ambasciatore francese in Senegal), vincitore, tra l’altro, del Premio Goncourt del 2001 con “Rosso Brasile”, in Italia edito un paio di anni dopo da Robin.
Non ho idea di quale sia stata, se c’è stata, la sua esperienza nella guerra nei Balcani, tanto da dedicare ad essa il suo ultimo romanzo. La biografia parla di sue missioni in Brasile e in Africa, tali da valergli alcune onorificenze. Ma, grazie al suo ruolo, sicuramente avrà avuto, per quanto riguarda la ex Jugoslavia, le sue fonti di informazioni da parte di volontari che hanno lì partecipato ad azioni umanitarie in quegli anni cruciali.
“Check point” ci racconta una di queste, o presunte tali, stando alla trama che nasconde altri intenti al suo interno: un complesso viaggio di un convoglio di due camion carichi di medicinali e quant’altro verso la Bosnia in fiamme, tra posti di blocco armati o militari di croati, serbi o di caschi blu. A farne parte sono una donna, Maud, e quattro uomini: Marc, Lionel, Alex e, il capo spedizione, Vauthier. Si pensa a un viaggio umanitario in aiuto a popolazioni devastate dalla guerra e, quindi, animato da reciproci sentimenti di bontà e solidarietà, invece ne emerge una vicenda infiltrata di rivalità che scaturiranno in un odio mortale. Anche se non mancheranno pagine d’amore e di complicità, aspetti che trascinano dietro di sé tradimenti, gelosie, opportunismi, oltre che immancabili momenti di paura e di coraggio.
Lasciata Trieste e inoltratosi il convoglio in una Slovenia, e soprattutto in una Croazia che via via che ci si avvicinava alla Krajina si trasformava in un territorio cosparso di trappole e pericoli di ogni genere, costituiti da bande armate non troppo rassicuranti e sospettose, oltre che avide di bottini vari, si assiste alla crescita di una tensione che il narratore sapientemente modula nel corso del racconto che trova almeno tre momenti di svolta capaci di coinvolgere sempre più il lettore: il primo quando il lettore stesso, l’unico ad essere al corrente di tutto ciò che accade ai rispettivi personaggi e di ciò che alberga nelle loro teste e cuori, viene a sapere che uno dei due camion – quello guidato da Marc ed Alex, il primo in particolare di severa educazione militare – trasporta, all’oscuro degli altri, non solo medicinali, ma anche dinamite; il secondo quando gli altri vengono a sapere questa verità e Vauthier, capo spedizione, cosciente dei rischi che corrono se scoperti, dà inizio a un conflitto con Marc, che però avrà dalla sua, oltre che Alex, già al corrente della cosa, anche la bella Maud, che nel frattempo si è innamorata del tenebroso ex militare; il terzo, quando Maud, contrariamente alla sua posizione critica per clandestino trasporto di armi, decide per amore di Marc di sfilarsi nottetempo con lui dal resto del convoglio, mentre gli altri dormono, dando così inizio a un inseguimento velenoso, dagli aspetti quasi western, tra le foreste e i monti innevati e fangosi della Krajina.
Una Krajina evidentemente ancora divisa tra serbi e croati, i quali ultimi aspirano – e ci riusciranno con l’Operazione Tempesta nelle 32 ore scattate il 4 agosto del 1995 – a riprendersi quei territori che i serbi avevano precedentemente occupato (a riguardo l’autore parteggia chiaramente per i croati, che troveranno nella figura saggia e autorevole del generale Filipović il protagonista di un finale alla “arrivano i nostri” a salvare Maud e il suo Marc, che s’era speso in un sanguinario duello con il sempre più cattivo e antipatico Vauthier).
Il romanzo è avvincente. Lo diventa via via che il racconto approfondisce gli intrigati rapporti tra i cinque protagonisti, caratterizzati non solo dalle diverse motivazioni che li hanno spinti a partecipare a quella azione umanitaria, ma anche dai sentimenti più intimi e personali che nel corso del viaggio si sviluppano. L’autore ha saputo ben calibrare i diversi aspetti che solo nel corso della prima parte risultano essere un po’ statici in ragione forse della presentazione dei personaggi, per poi spiccare il volo quando i diversi nodi prendono a sciogliersi in misura di una trama che nel finale si fa sempre più dinamica.