Le associazioni LGBT della Bosnia Erzegovina hanno annunciato che il prossimo 8 settembre si terrà a Sarajevo il primo Gay Pride della storia del paese. Le reazioni di disappunto non hanno tardato ad arrivare

10/04/2019 -  Ahmed Burić Sarajevo

La maturità di una società si misura dalla sua capacità di accettare la diversità. Le reazioni al recente annuncio che il prossimo 8 settembre a Sarajevo si terrà il primo Gay Pride nella storia della Bosnia Erzegovina dimostrano che la società bosniaco-erzegovese non progredisce affatto sul fronte dei diritti umani e delle libertà civili.

Subito dopo che le associazioni LGBT hanno annunciato il Gay Pride, diversi individui e organizzazioni di destra si sono scagliati contro di loro, ricorrendo al consueto repertorio di insulti e accuse. Le reazioni più dure sono arrivate dal Partito di azione democratica (SDA, il principale partito dei musulmani bosniaci), che percepisce il Gay Pride come un tentativo di “provocare scontri tra i cittadini della capitale della Bosnia Erzegovina”.

Gli esponenti dell’SDA affermano, tra l’altro, che: “Il diritto a una vita libera, il diritto alla proprietà, il diritto all’assistenza sanitaria, il diritto all’istruzione e il diritto al lavoro devono essere garantiti a ogni individuo, indipendentemente dall’orientamento sessuale. Tuttavia, riteniamo che in una società come la nostra, che coltiva valori fondamentali e, di fronte alle sempre più grandi sfide dell’età contemporanea, sta cercando di salvaguardare la famiglia, le parate e sfilate delle persone LGBT non dovrebbero avere luogo, perché contribuirebbero solo ad approfondire il divario tra persone di idee diverse, e la tutela dei diritti umani non ne uscirebbe rafforzata”.

È curioso notare come quelli che pretendono di difendere “la purezza” (etnica) e “i valori tradizionali”, non si rendano mai conto dei danni provocati dalle politiche imperniate su queste nozioni, scagliandosi esclusivamente contro il diverso.

Stando alle stime ufficiali, negli ultimi cinque anni 173.011 persone hanno lasciato la Bosnia Erzegovina. Le stime non ufficiali parlano invece di oltre 200mila persone, ma è impossibile stabilire il numero esatto degli espatriati perché molti cittadini bosniaco-erzegovesi possiedono anche la cittadinanza serba o croata.

Per capire la portata del fenomeno, basti pensare che il numero di cittadini bosniaco-erzegovesi che hanno lasciato il paese negli ultimi anni, in cui l’SDA governava quasi ininterrottamente a tutti i livelli, equivale a circa la metà della popolazione di Sarajevo, ovvero alla popolazione di quattro città più piccole, come Sanski Most o Jajce. “I custodi della tradizione” non percepiscono l’emigrazione di massa come un problema, e continuano a diffondere messaggi discriminatori nei confronti delle persone LGBT.

A spingersi più in là di tutti nell’attaccare la comunità LGBT è stata Indira Ćosović Hajdarević, deputata del parlamento del cantone di Sarajevo (proveniente, naturalmente, dalle fila dell’SDA), che in un post pubblicato sui social network ha affermato che “lo scopo della cosiddetta parata dell’orgoglio è quello di distruggere il paese e il popolo”.

La deputata dell’SDA pensa che “queste persone debbano isolarsi e andare il più lontano possibile dai nostri figli e dalla nostra società. Che vadano da qualche altra parte per costruire la propria città, il proprio stato, le leggi e i diritti che nessuno contesterà loro. Ma qui - NO”.

Di esempi di questo tipo di discorso d’odio ve ne sono tanti nella storia. Ogni volta che veniva usato un simile linguaggio nei confronti dell’altro e del diverso le conseguenze sono state catastrofiche. Oggi, per fortuna, è poco probabile che questa retorica sfoci in persecuzioni e stermini di massa (anche se non si può mai essere certi di nulla), ma per quanto riguarda la situazione in Bosnia Erzegovina una cosa è chiara. Quelli che si oppongono alle manifestazioni come il Gay Pride, si comportano con le persone che considerano “normali” esattamente nello stesso modo in cui si comportano nei confronti delle persone LGBT: li cacciano via dal loro paese, dalla loro città, e chiedono loro di andarsene “da qualche altra parte per costruire la propria città, lo stato, le leggi e i diritti”. È una situazione assurda, ma è la nostra realtà e dobbiamo affrontarla.

Mentre le istituzioni dell’Unione europea, come al solito, “esprimono preoccupazione” (che è sempre un alibi per nascondere l’incapacità di compiere azioni concrete) e dichiaratamente “appoggiano” la comunità LGBT in Bosnia Erzegovina, le ambasciate di Svezia, Gran Bretagna e di altri paesi occidentali a Sarajevo, come atteso, hanno apertamente espresso il loro sostegno agli organizzatori del Gay Pride.

A quanto pare, il buon esito del primo Gay Pride a Sarajevo, che dovrebbe tenersi il prossimo 8 settembre, dipenderà innanzitutto dall’atteggiamento della maggioranza della popolazione, al momento perlopiù silenziosa, nei confronti di questo evento.

A dire il vero, i sondaggi dell’opinione pubblica suggeriscono che i cittadini che non hanno nulla contro il Gay Pride sono più numerosi di quelli che vorrebbero “isolare” le persone LGBT, ma non si sa mai cosa possa accadere durante eventi di questo tipo. Perché ci sono sempre dei provocatori, spesso mandati da quelle stesse persone che emettono comunicati in cui dichiaratamente sostengono il diritto a una vita libera ma, come dire, non vogliono che ci siano disordini.

Molti cittadini guardano con preoccupazione all’intera vicenda perché ricordano ancora l’episodio avvenuto nel 2008 durante la serata inaugurale della prima edizione del Queer Festival di Sarajevo, quando gli organizzatori e i partecipanti all’evento furono brutalmente picchiati.

Non resta che sperare che Sarajevo, che un tempo andava fiera delle proprie diversità, riesca a vincere questa sfida. Come hanno già fatto Belgrado, Zagabria e alcune città del Montenegro dove le persone LGBT, nonostante attacchi e proteste dei gruppi di destra, hanno sfilato per le strade della città, dimostrando di esistere e di non rappresentare alcuna minaccia per la società.

La vera minaccia viene da quelli che vorrebbero bandire l’omosessualità. Una società che percepisce le persone LGBT come un pericolo non ha alcun potenziale democratico. Ed è improbabile che possa sopravvivere a lungo. Questa è la prima cosa che quelli che si oppongono al Gay Pride devono capire.