Kolinda Grabar Kitarović (foto © Alexandros Michailidis/Shutterstock)

Kolinda Grabar Kitarović (foto © Alexandros Michailidis/Shutterstock)

Le controverse dichiarazioni pubbliche della presidente croata Kolinda Grabar Kitarović, i rapporti tra Croazia e Bosnia Erzegovina, un passato che non passa

20/08/2019 -  Ahmed Burić Sarajevo

Chi ascolta regolarmente i discorsi pubblici della presidente croata Kolinda Grabar Kitarović sa che c’è sempre la possibilità che, con le sue dichiarazioni, scateni uno scandalo. Proprio come è accaduto qualche settimana fa quando, durante una visita ufficiale in Israele, la presidente croata avrebbe dichiarato – secondo quando riportato da un quotidiano locale – che la Bosnia Erzegovina “è sottomessa a un Islam militante che determina in buona parte l’agenda politica del paese”.

La controversa affermazione della Kitarović è stata riportata in un articolo pubblicato dal Jerusalem Post, ma qualche giorno più tardi è stata cancellata dal sito web del quotidiano. Interpellata da alcuni media croati, la giornalista che ha firmato l’articolo in questione, Greer Fay Cashman, ha dichiarato che la presidente croata, parlando di legami tra la Bosnia Erzegovina e l’Iran, “non ha mai menzionato il governo della Bosnia Erzegovina”, come invece riportato nell’articolo. A suscitare ulteriori polemiche vi sono state poi alcune affermazioni della Kitarović sulla crisi dei rifugiati, riportate nello stesso articolo.

La presidente croata è nota per le sue uscite infelici. L’anno scorso ha smentito di aver dichiarato, in un’intervista rilasciata a un quotidiano austriaco, che i musulmani croati hanno paura dei migranti e che questi ultimi non sono in grado di integrarsi. Sempre nel 2018, durante una visita ufficiale in Argentina, ha dichiarato che dopo la Seconda guerra mondiale molti croati hanno trovato in Argentina uno spazio di libertà, mentre in Canada si è fatta fotografare con alcuni membri della diaspora croata che tengono in mano un ritratto di Ante Pavelić, fondatore dello Stato Indipendente di Croazia, stato fantoccio filofascista esistito durante la Seconda guerra mondiale.

Non è del tutto chiaro da quali fonti si informi la presidente croata, ma è più che evidente che non è molto abile nell’esprimersi in pubblico. Indubbiamente sempre più nervosa con l’approssimarsi delle elezioni presidenziali in Croazia, perché non è per niente sicuro che venga rieletta per un secondo mandato, la Kitarović ricorre spesso a una retorica simile a quella di Donald Trump: linguaggio populista e uso di luoghi comuni, il tutto accompagnato da una buona dose di ignoranza. Sono queste le principali caratteristiche delle sue uscite pubbliche.

Cresciuta politicamente in un partito ormai privo di idee, ma con una buona strategia di marketing, capace di cavalcare l’onda del populismo di destra, la presidente croata si è trovata in una situazione tragicomica: cerca sempre di dire quello che crede che gli altri si aspettino da lei. Con le sue infelici dichiarazioni la presidente croata danneggia innanzitutto se stessa, e lo stato croato.

Nel complicato labirinto dei rapporti bilaterali tra Croazia e Bosnia Erzegovina, quest’ultima ha certamente le sue colpe. La principale colpa della BiH, e soprattutto dei leader politici bosgnacchi, consiste in un atteggiamento condiscendente nei confronti dell’Unione democratica croata (HDZ), che ha sempre perseguito una politica di sottomissione e destabilizzazione della Bosnia Erzegovina.

Negli anni Novanta Alija Izetbegović aveva cercato un alleato in Tuđman, primo presidente della Croazia indipendente, il quale però era sempre ossessionato dal desiderio di dividere la Bosnia Erzegovina. La prima scelta e il partner “ideale” di Tuđman fu in tal senso Slobodan Milošević. Tuđman aveva preparato il terreno per Kolinda Grabar Kitarović, gettando le fondamenta della Croazia di oggi, considerata un “avamposto” della cristianità; un paese circondato dal filo spinato dove i musulmani sono i benvenuti purché si impegnino a diventare veri croati.

Le autorità croate ricorrono a diverse strategie per limitare il numero degli stranieri, compresi i cittadini bosniaco-erzegovesi, in Croazia, tra cui una legge che prevede che i cittadini stranieri proprietari di un immobile in Croazia possano soggiornare nel paese per un periodo massimo di 90 giorni consecutivi nell’arco di un anno e, al pari dei turisti, debbano pagare l’imposta di soggiorno per ogni giorno trascorso in Croazia. L’atteggiamento delle autorità croate nei confronti dei cittadini bosniaco-erzegovesi, un atteggiamento sostanzialmente dispotico, deriva perlopiù dal fatto che la maggior parte dei croati non ha mai accettato che la Croazia sia stata invasore, ovvero aggressore in Bosnia Erzegovina.

La maggior parte dei cittadini croati si rifiuta di accettare il fatto che il Tribunale dell’Aja abbia condannato i leader politici e militari dell’entità parastatale dell’Herceg Bosna per un totale di 111 anni di reclusione, riconoscendoli colpevoli di impresa criminale congiunta. Lo sanno tutti, lo sa l’Europa cristiana, lo sa ogni semplice cittadino croato, in fin dei conti lo sa anche Kolinda Grabar Kitarović. Ma come ammettere che la politica dei fondatori dello stato croato moderno sia sfociata nella creazione dei campi di concentramento in Erzegovina, ovvero in un’impresa criminale congiunta?

Negli ultimi anni le relazioni tra Croazia e Bosnia Erzegovina si sono ulteriormente deteriorate. Se un giorno la Croazia inizierà a chiedersi sinceramente: che cosa diavolo abbiamo fatto in quella guerra contro la Bosnia Erzegovina?, forse allora sarà possibile compiere un passo avanti nei rapporti tra i due paesi. Ipotesi che, al momento, sembra poco probabile. Tale catarsi e autoriflessione richiede una società matura. Anche se la Croazia dovesse avviare un processo di riflessione, ciò non basterà a soddisfare le aspettative dei semplici cittadini. Perché fin dalla dissoluzione della Jugoslavia, la Croazia, ovvero il più grande partito croato (l’Unione democratica croata, HDZ) ha una propria filiale in Bosnia Erzegovina, l'HDZ BiH, che negli ultimi 25 anni ha quasi sempre governato il paese. E quasi sempre ha condotto una politica che andava a vantaggio della Croazia e a svantaggio della Bosnia Erzegovina.

È anche grazie a questa lobby “erzegovese” che Kolinda Grabar Kitarović ha vinto le elezioni presidenziali, motivo per cui ora la presidente croata deve inventarsi storie su “diverse migliaia di guerrieri islamici che dalla Siria tornano in Bosnia Erzegovina”. Al contempo, in Israele si è sentita un po’ in imbarazzo quando qualcuno le ha chiesto: “Chi aveva commesso crimini contro gli ebrei nello Stato Indipendente di Croazia, a causa dei quali ora volete erigere a Zagabria un monumento dedicato all’Olocausto, senza però citare i nomi dei responsabili di quei crimini?”. Domande di questo tipo possono essere molto imbarazzanti, soprattutto per chi, come la presidente croata, cerca di accattivarsi le simpatie delle autorità di Tel Aviv, dove i vertici dello stato croato vanno anche per acquistare aerei israeliani, ovviamente con i soldi dei contribuenti.

A prescindere da come evolverà la situazione, ci sono due cose importanti da tenere a mente: primo, alla vigilia della guerra in ex Jugoslavia, il voto di Bogić Bogićević, allora membro bosniaco della Presidenza della SFRJ, è stato determinante per la decisione di non muovere subito la JNA (Armata popolare jugoslava). Così la Slovenia e la Croazia hanno guadagnato tempo. E di conseguenza il conflitto più feroce si è combattuto in Bosnia. Secondo, la leadership dello HDZ BiH è responsabile del fatto che la popolazione croata della Bosnia Erzegovina si è praticamente dimezzata. Nonostante i croato-bosniaci stiano lasciando in massa il paese, l'HDZ BiH continua, insieme a Milorad Dodik, leader dei serbo-bosniaci, a condurre una politica che porta alla distruzione della Bosnia Erzegovina.

La terza parte, quella bosgnacca, guidata da Bakir Izetbegović, finora non ha mai dimostrato di essere in grado di contrastare, con una politica responsabile e convincente, le tendenze distruttive dei suoi presunti avversari, con i quali però regolarmente entra in coalizione e governa il paese. Un paese dove non funziona nulla. A prescindere da quello che dicono i presidenti dei paesi vicini quando parlano di Bosnia Erzegovina. E spesso dicono sciocchezze.