La giustizia austriaca ha respinto la richiesta di estradizione presentata dalla Serbia per Jovan Divjak, trattenuto a Vienna dal 3 marzo scorso. L'ex generale dell'esercito bosniaco ha potuto fare ritorno a casa, accolto da una Sarajevo in festa
Jovan Divjak è stato liberato dopo cinque mesi di soggiorno obbligato in Austria, e ha finalmente potuto fare ritorno a Sarajevo: la giustizia austriaca ha ritenuto irricevibile la domanda di estradizione della Serbia che aveva spiccato un mandato di cattura internazionale contro l’ex generale, ritenendolo responsabile per i fatti che il 3 maggio 1992 insanguinarono la Dobrovoljačka Ulica quando, durante uno scambio di ostaggi, diversi soldati dell'esercito jugoslavo (JNA) furono uccisi. La richiesta di Belgrado è stata giudicata viziata da valutazioni politiche e conseguentemente non le è stato dato seguito: venerdì sera, con un aereo messogli a disposizione dall’attrice bosniaca Sanela Jenkins, “zio Jovo”, come tutti lo chiamano qui, è riuscito a ritornare nella sua città.
Divjak è conosciuto per essere il generale serbo che allo scoppio della guerra scelse di difendere Sarajevo, coordinando la resistenza al più lungo assedio della storia moderna. Belgrado non gli ha mai perdonato questo presunto “tradimento”, e il 3 marzo scorso lo aveva fatto arrestare a Vienna. Dopo qualche giorno, Divjak aveva ottenuto la libertà provvisoria contro la cauzione di 500 mila euro e la proibizione di lasciare lo Stato. La buona notizia arriva al termine di cinque mesi di serrate trattative diplomatiche.
Sarajovo
Per celebrare l’avvenimento l’associazione creata da Divjak, “L’educazione costruisce la Bosnia Erzegovina”, ha preso possesso del Dom Mladih (la “Casa della gioventù” che normalmente ospita i principali eventi di Sarajevo) e preparato l’accoglienza. Alla destra del palco è stato appeso un cartello con la scritta ‘SARAJOVO’, gioco di parole tra il nome della città e quello del suo eroe, la stessa che campeggia sulle magliette di tanti giovani venuti qui per lui.
Divjak è atteso per le sei e mezza, ma il suo arrivo avviene con un’ora di anticipo e coglie di sorpresa le persone che lo aspettano: circondato da fotografi e giornalisti, appare visibilmente felice e in più occasioni si commuove. Nella breve intervista che ci concede si dichiara molto soddisfatto della decisione della giustizia austriaca che, dice, “è una vittoria non solo personale, ma di tutta la Bosnia”. “Sono finalmente un uomo libero e sono felice di essere ritornato”, dichiara scherzando a proposito delle scritte che recitano “Dobrodošli ćika Jovo”, bentornato zio Jovo. “La storia degli ultimi cinque mesi e di quanto è accaduto l’anno scorso a Londra [quando Ejup Ganić era stato trattenuto sulla base della stessa accusa e poi rilasciato, nda] costituisce una risposta forte a chi vorrebbe mettere sullo stesso piano gli aggressori e chi ha combattuto per difendere il nostro Paese. Gli avvenimenti di via Dobrovoljačka non costituiscono un crimine di guerra. Abbiamo vinto noi, ed abbiamo vinto insieme”.
Caffè bosniaco
Il generale si concede volentieri, qui tutti lo stimano e riconoscono la sua grande umanità: “Divjak è un gentiluomo”, si sente ripetere ovunque, perfino dai bambini di otto anni. Scherza con chi gli porta un caffè espresso: “Non lo bevo - si schernisce - non è caffè bosniaco”. Esibisce il proprio passaporto aperto sul timbro della dogana austriaca del giorno in cui è stato arrestato, qualcuno gli mette in mano la vecchia bandiera nazionale bosgnacca del tempo di guerra. Sul palco Divjak chiama accanto a sé i ragazzi dell’associazione, per condividere con loro la sua gioia e ringraziare tutti per l’appoggio ricevuto in una vittoria che non è soltanto sua: “E' il vostro sostegno, amici, che mi ha permesso di ritornare libero. Da domani ritornerò alla vita che facevo prima di essere arrestato: camminerò per queste strade, incontrerò gli abitanti di Sarajevo, ricomincerò a bere il caffè”. “E’ questa la Bosnia”, conclude, prima di scendere.
La notizia della liberazione dell’ex-generale ha diviso una volta di più l’opinione pubblica in Bosnia Erzegovina. Ejup Ganić è raggiante: “Le istituzioni straniere hanno compreso le dinamiche degli eventi meglio di quanto abbia mai fatto il nostro governo. Questi tentativi della Serbia di emettere mandati di cattura contro cittadini della Bosnia Erzegovina sono paragonabili al terrorismo”. Sulla stessa linea Zaim Bačković, ex comandante della milizia territoriale: “Non ci poteva essere altro epilogo. Purtroppo la Serbia non abbandonerà questi atteggiamenti, perché i suoi cittadini non sono capaci di guardarsi negli occhi ed accettare gli orrori degli anni di Slobodan Milošević”. Per Haris Silajdžić, ex membro bosniaco della presidenza, “questa è l’ennesima débacle della giustizia serba. Per evitare che ciò si ripeta ancora, dobbiamo spiegare a Belgrado che non si può parlare di relazioni di buon vicinato e contemporaneamente portare avanti politiche come questa”.
Le reazioni sui media della RS
Dopo la scarcerazione di Divjak, i principali imputati per la strage di via Dobrovoljačka sono stati tutti rilasciati e, di fatto, non ci saranno colpevoli: uno smacco per tutti coloro che si sono battuti per tenerne viva la memoria, dalle personalità politiche della Republika Srpska ai familiari e amici delle vittime. I leader politici serbi hanno apparentemente preferito la linea del silenzio, non rilasciando dichiarazioni. Il tono dei media della Republika Srpska, quando non è d’indifferenza, è di aperta ostilità per una decisione che è vissuta come l’ennesima prova della parzialità della giustizia internazionale e uno schiaffo alle vittime serbe del conflitto. Vladimir Vukčević, procuratore serbo per i crimini di guerra, ha stigmatizzato l’accaduto al quotidiano Glas Srpske di Banja Luka: “La decisione della Corte austriaca è dettata da valutazioni politiche. Se Divjak è innocente, ci chiediamo chi sia responsabile per questo crimine”. Indignazione anche da parte dei comitati dei parenti delle vittime: “La libertà di Jovan Divjak è una vergogna per l’umanità”, dice la madre di uno dei ragazzi uccisi negli scontri del 2 maggio. Staša Košarac, capo della Commissione per i crimini di guerra e le persone scomparse in Republika Srpska, condanna questo “enorme errore che polarizza l’opinione pubblica in Bosnia Erzegovina. Se a Sarajevo la popolazione sarà raggiante, è chiaro che i cittadini della Republika Srpska non potranno che rattristarsene”.
La notizia della liberazione di Jovan Divjak ha infatti contribuito ad eccitare una città già in festa per il Film Festival conclusosi sabato, un appuntamento al quale l’ex generale è molto affezionato: solo qualche giorno prima della sua liberazione l’organizzazione gli aveva rivolto un messaggio di sostegno, ricordando un uomo “nato a Belgrado, ma sarajevese nel cuore”. E concludendo con un “coraggio, zio Jovo”.