L’anno scorso a Visoko è stata pubblicata una monografia dedicata a Srđan Praljak Šjor, un omaggio al grande giocatore e allenatore di pallamano bosniaco-erzegovese e jugoslavo, ricordato dai suoi allievi come un maestro raffinato e creativo
Al libro di Zdenko Antović [1] dedicato al mitico Srđan Praljak Šjor potremmo tranquillamente, senza rischiare di sembrare patetici, aggiungere il sottotitolo “molto più di un ricordo”.
La prima presentazione del libro, con cui l’autore ha cercato di ripagare il suo debito di gratitudine nei confronti del grande maestro, si è tenuta nell’agosto dello scorso anno a Doboj, nell’ambito del Torneo internazionale di pallamano. All’evento hanno partecipato molti ex giocatori di pallamano dell’epoca jugoslava, tra cui alcuni membri della generazione che aveva vinto il campionato mondiale del 1986: Jasmin Mrkonja (autore di una recensione della monografia), Jovica Cvetković, Zlatan Arnautović, Joszef Holpert, Momir Rnić, Muhamed Memić, il commissario tecnico Zoran Živković. Con la loro presenza hanno voluto rendere omaggio a Šjor, uomo, giocatore ed educatore sportivo. (In un’occasione, alla domanda quale fosse la sua nazionalità, Šjor rispose: “Quella della pallamano”. Quando poi venne incalzato sull’appartenenza religiosa, affermò: “Quanto alla religione, solitamente pratico la 3:2:1 e la 6:0”.)
Šjor parlava di sé poco e raramente, incarnando quell’espressione “riječ-dukat” [parola-ducato] utilizzata per descrivere persone taciturne, le cui parole però valgono oro. A Zdenko Antović, appassionato cronista della storia dello sport a Visoko e in BiH, ci sono voluti circa dieci anni per completare la monografia dedicata a Šjor. Un libro di 232 pagine, arricchito da numerose fotografie che ripercorrono la vita di quello che è stato probabilmente il giocatore e allenatore di pallamano più longevo della storia, con una carriera lunga sessant’anni.
I miei ricordi di Šjor? La prima volta che sentii quel soprannome fu nel lontano 1961, quando, come giocatore in prestito del Mlada Bosna di Sarajevo, si unì alla squadra di pallamano Bosna di Visoko nella sua prima partita internazionale contro la squadra dell’Università di Lille. Fu una mia cara cugina a portarmi a vedere quella partita, che si giocò su un campo in terra battuta, vicino alla scuola elementare “Ognjen Prica” (dal 1992 “Kulin ban”). Non avevo mai visto prima così tanta gente in un unico posto. Il pubblico urlava: “Bosna, Bosna!”.
Successivamente, per me Šjor era il marito di zia Jasna, una collega di mio padre nell’Ufficio di contabilità pubblica di Visoko. Quando poi, nel 1973, iniziai ad allenarmi nella squadra giovanile del club Bosna, in seguito ribattezzato Vitex, il nome di Šjor era ancora presente nei pensieri e nei cuori dei suoi allievi. Sì, un po’ li invidiavo.
Di Šjor si diceva che fosse un “ipnotizzatore”: bastava che posasse gli occhi su qualcuno – si sosteneva, non senza ragione – per spingere quella persona a dedicarsi alla pallamano per il resto della sua vita. Zdenko Antović ne è la prova vivente.
Ora lascio la parola a chi molto meglio di me conosceva Šjor, noto anche in Europa e nel resto del mondo, soprattutto nel periodo in cui non si viveva di sport, bensì per lo sport, c’era più cameratismo ed essere entusiasti era una cosa positiva. Per chi conosce il serbo-croato, ecco un video in cui due allievi di Šjor, Rene Okanović e Nenad Maksimović, ricordano il loro maestro.
Scrivere di Šjor è facile e molto difficile allo stesso tempo. Molti potrebbero vedere in lui un semplice amante di pallamano per via del suo modo di vivere, vestirsi e comportarsi con nonchalance. Dietro a questa disinvoltura e leggerezza nei comportamenti si celavano però riflessioni profonde sulla pallamano, e non solo. Non era una persona facile da capire, soprattutto quando si trattava della sua filosofia della pallamano e dello sport in generale. Quelli che sono riusciti a coglierne l’essenza, hanno scalato le vette della pallamano. Parlava spesso in codice, tirava fuori rompicapo aspettandosi che l’interlocutore li risolvesse subito. Dietro a questi apparenti scherzi si celavano la genialità, l’originalità e tutto ciò che lo rendeva speciale e diverso dagli altri. Un allenatore extraterrestre! Spesso incompreso, ha sempre seguito la sua strada, rimanendo se stesso senza piegarsi alle mode e ai dettami dell’ambiente che lo circondava. I frutti del suo impegno sono tangibili in tutti i luoghi in cui ha lavorato. Ha fatto rialzare città, squadre, pubblico, creando una serie di giocatori fantastici. Il miglior interprete della filosofia di Šjor è proprio Zdenko Antović, uomo ed esperto che ha assorbito tutti i valori di Šjor, anche il peculiare humor del grande allenatore. (Jasmin Mrkonja)
Ricordo la finale del Campionato giovanile jugoslavo a Belgrado nel 1971 tra il mio Vitex di Visoko e il RK Rovinj. Quelli della Croazia tutti giganti e noi, di Visoko, piccoli e magri. Ad un osservatore esterno sembravamo veri e propri outsider, però Šjor ci aveva insegnato a GIOCARE. Ricordo ancora le sue domande, ci chiedeva quale fosse la cosa più veloce al mondo. Dopo aver riflettuto, io e i miei compagni di squadra rispondemmo: luce. No, disse, Šjor, la cosa più veloce è il pensiero. Ecco perché il mezzo contropiede è l'apice del gioco della pallamano. Tutto si fa correndo e il pensiero deve essere veloce. Inoltre, non devono esserci errori, altrimenti il mezzo contropiede fallisce. Il punto è che bisogna pensare e prendere la decisione giusta in un attimo. Šjor rifletteva anche sulla possibilità di applicare il pressing su tutto il campo. È difficile anche solo immaginare la preparazione fisica necessaria per tale gioco! Poi il coordinamento della squadra nei movimenti collettivi offensivi e difensivi su tutto il campo. Sapeva come superare anche queste sfide. La pallamano era sempre nei suoi pensieri. (Rene Okanović)
Pur essendo stati avversari e rivali accaniti, tra il Bosna e il Mlada Bosna di Sarajevo regnava sempre un’atmosfera di amicizia, nonostante la competizione cavalleresca in tutti i tornei, ufficiali e non ufficiali. Penso innanzitutto a questi ultimi nel periodo in cui erano più di un gioco, dove l’affetto era un premio più prezioso di una coppa. L’affetto del pubblico che stava in piedi sotto la pioggia e il vento, talvolta anche sotto la neve, sulle tribune traballanti che riuscivano a malapena a sopportarlo, mentre tutt’intorno gruppi di tifosi si arrampicavano su edifici, tetti e alberi, creando un’arena indimenticabile che rinasce ogni volta che la domenica mattina qualcuno, tra quelli che coltivano ancora quell’amore, passa accanto al Centro sportivo di Sarajevo, si ferma e con malinconia infila le dita nella recinzione di metallo, iniziando a tessere silenziosamente i fili dei racconti a lungo dimenticati sulle leggende della pallamano, cogliendo col pensiero lo scroscio di grida e urla fragorose che si confonde con il battito dei piedi sugli spalti in legno, per poi disperdersi lontano nell’universo. Quel periodo aveva i suoi eroi in ogni ambito, ma poche discipline sportive vantavano un maestro, uomo e bohémien come Šjor. Non mi azzardo ad affibbiargli qualsiasi appellativo o a paragonarlo a personalità famose del mondo dello sport, del cinema e dei media di quella o di qualsiasi altra epoca. Ne uscirebbe fuori un’immagine scarna e incompleta. (Pego Debevec)
Concludo riportando le parole di Zdenko Antović in ricordo di Šjor.
Un giorno d’autunno del 2006 a Visoko giunse una cartolina di Šjor. Era a Londra con la nazionale del Qatar, dovevano restarvi due giorni in attesa di un volo. Come al solito, alloggiarono in un albergo di lusso. Di questi tempi è raro ricevere una cartolina, e il testo sul retro, a sinistra del francobollo con l’immagine della regina Elisabetta, era particolarmente interessante: “Un caro saluto dalla Londra mondana. A dire il vero, a me questa città non piace, non perché piove di continuo, ma perché non c’è pallamano. Šjor”.
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[1] Antović aveva giocato per il Vitex di Visoko per diciassette anni, disputando anche 120 partite con la nazionale jugoslava di pallamano giovanile e 23 con quella senior. Al campionato mondiale di pallamano under-21 in Svezia, la nazionale jugoslava, capeggiata da Antović, aveva conquistato la medaglia di bronzo. Alla fine degli anni ’80 si unì all’Handball club Prato prima come giocatore, poi come allenatore. Negli anni ’90 fu allenatore di diverse squadre di pallamano italiane, tra cui Pallamano Scarperia Firenze, HC Tiger Palermo, HC Messina, HC Massara del Valle. È autore di numerosi saggi sulla storia culturale di Visoko e sulle personalità del mondo dello sport.
Srđan Praljak Šjor nacque nel 1937 a Bugojno. Rimasto senza padre nel 1941, trascorse gli anni di guerra con la madre e i fratelli a Kaštel Štafilić (Castel Stafileo). Giunto a Sarajevo per frequentare il ginnasio, nel 1953-54 Srđan venne incluso nella squadra di pallamano grazie al coordinatore del settore giovanile Teufik Alić Braco, il quale lo soprannominò Šjor a causa del suo modo di parlare caratterizzato dalla cadenza dalmata. Soprannome che divenne sinonimo di pallamano bosniaco-erzegovese. A quel tempo a Sarajevo il cosiddetto mini-handball era ancora ai suoi albori. Risale proprio al 1953 la decisione di introdurre la pallamano non solo nelle scuole e nella società sportiva “Partizan”, ma anche nell’Esercito popolare jugoslavo (JNA). Su proposta di Šjor, la prima squadra di pallamano di Sarajevo fu denominata Mlada Bosna. Dopo Bugojno (1936-1941), Kaštel (1942-1953), Sarajevo (1953-1958), Belgrado (1958) e Otočac (dove nel 1963, dopo un secondo soggiorno a Sarajevo, prestò servizio militare), Visoko divenne la sesta casa di Šjor. Nel settembre del 1964 si stabilì definitivamente in questa città con la sua famiglia (In un primo tempo viveva con i quattro fratelli Sirčo. Erano in cinque in una stanza, tutti atleti). Fondatore e ideatore della scuola di pallamano di Visoko, Šjor in breve tempo riuscì a far entrare la squadra locale – il Bosna, uno dei miracoli della pallamano jugoslava – in serie A, vincendo il campionato bosniaco-erzegovese nel 1965. Proseguì la sua carriera di giocatore e allenatore di pallamano a Zenica (1971-1974), Sarajevo (1975-1986), Tuzla (1986-1991), per poi tornare a Visoko nell’agosto del 1991. Dopo aver soggiornato a Spalato (1992) e Murska Sobota (1993), si trasferì definitivamente a Fiume. Per quattro anni fu allenatore della squadra slovena Škofja Loka, per poi guidare la nazionale dell’Arabia Saudita e quella del Qatar, con le quali raggiunse risultati notevoli ai campionati asiatici e mondiali (Egitto, 1999; Portogallo, 2003). Più di ogni altra cosa amava lavorare con le squadre giovanili bosniaco-erzegovese e jugoslava (con quest’ultima vinse il bronzo ai mondiali in Svezia), un impegno che proseguì anche all’estero, partecipando ai campionati in Qatar (1999), Svizzera (2001) e Brasile (2003). Morì nel 2021 a Fiume.