La Croazia è membro Ue, la Serbia inizia ad aprire i primi capitoli negoziali. E la Bosnia Erzegovina? A vent'anni dalla fine della guerra è ancora troppo indietro nel suo percorso europeo
ll 14 dicembre di 20 anni fa, a Parigi, si firmavano gli accordi di Dayton che mettevano fine alla guerra in Bosnia Erzegovina. Vent'anni dopo, mentre la Croazia è ormai membro dell'Unione europea e la Serbia a breve aprirà i primi capitoli dei negoziati d'adesione, Sarajevo è rimasta indietro. Un nuovo avvio è venuto, da un anno a questa parte, con un rinnovato approccio UE, ma la strada da percorrere resta ancora lunga.
Venerdì 11 dicembre, a Bruxelles, la Bosnia Erzegovina e l'UE hanno celebrato la prima sessione del Consiglio d'Associazione - l'organo formale di gestione dell'Accordo di Stabilizzazione e Associazione, entrato in vigore lo scorso 1° giugno dopo la decisione UE di ri-sequenziare la propria condizionalità e lasciare ad un secondo momento le questioni di riforma costituzionale a favore di un impegno su quelle sociali ed economiche. Nel corso del 2015 le istituzioni bosniache si sono impegnate, almeno a parole, a seguire il percorso tracciato dall'UE per la riforma dell'economia, della giustizia e della pubblica amministrazione nel paese. "I passi avanti fatti dalla Bosnia Erzegovina nel 2015 sono stati continui e incoraggianti," hanno commentato il Commissario UE all'allargamento Johannes Hahn e l'Alto rappresentante per la politica estera UE Federica Mogherini. "E' importante ora non mettere a repentaglio quanto fatto finora", continuano i due, "e allo stesso tempo procedere verso un futuro migliore in cammino verso l'Unione europea. I cittadini della Bosnia ed Erzegovina hanno bisogno di sperimentare risultati positivi dall'Agenda di Riforma".
La Bosnia Erzegovina vorrebbe ora depositare una domanda formale di adesione all'UE entro fine anno - ma i rappresentanti di Bruxelles tendono a raffreddare gli animi. Se i progressi del 2015 sono infatti stati quasi tutti portati dalla nuova spinta dell'UE, si ragiona, è ora tempo che istituzioni e politici bosniaci dimostrino qualche risultato concreto. E gli esempi non mancano: si va dall'adattamento delle quote commerciali contenute nell'Accordo d'associazione (negoziato ormai dieci anni fa) per tener conto dell'adesione della Croazia all'UE - una questione finora tenuta in ostaggio da interessi politici particolari - fino all'attuazione delle riforme del lavoro e della giustizia. Ma saranno soprattutto le vicende politiche all'interno delle due entità e nelle relazioni tra queste e lo stato centrale a determinare il futuro dell'integrazione europea della Bosnia Erzegovina.
"La questione croata sarà risolta entro la prima metà del 2016", ha annunciato sempre a Bruxelles il membro bosgnacco della Presidenza, Bakir Izetbegović. Un annuncio che potrebbe indicare che i principali partiti dei bosgnacchi e dei croati, SDA e HDZ, sono pronti a dividersi le spoglie di una delle due entità che compongono il paese, la Federazione di Bosnia Erzegovina (FBiH), per garantire ai croato-bosniaci un collegio elettorale riservato. Nonostante l'UE abbia deciso di passare oltre alle questioni costituzionali, croati e croato-bosniaci restano saldamente ancorati all'idea di un collegio elettorale proprio, quando non di una terza entità, per ottenere una “eguaglianza de iure e de facto” tra i tre popoli costitutivi del paese, da raggiungere possibilmente prima che i risultati del censimento del 2013 releghino definitivamente i croati a piccola minoranza in un paese maggioritariamente bosgnacco e serbo. Alla questione potrebbe essere legata anche la risoluzione dello statuto della città di Mostar - dove potrebbero essere spostati i ministeri della Federazione - che nella prossima primavera dovrebbe andare finalmente ad elezioni dopo aver saltato quelle del 2012.
Intanto, nell'altra metà del paese, la Republika Srpska (RS), le relazioni con Sarajevo e con Bruxelles vanno sempre peggio. Il referendum annunciato dal presidente Milorad Dodik sul sistema giurisdizionale statale dopo molti rinvii non si è ancora tenuto, ma venerdì scorso la RS ha comunque annunciato la fine della cooperazione con i servizi segreti (la SIPA) e il procuratore statale, dopo l'arresto di cinque serbo-bosniaci sospettati di crimini di guerra commessi nel 1992 a Bosanski Novi. Una decisione che “potrebbe mettere a repentaglio il funzionamento del sistema della giustizia", secondo la Delegazione UE. E una crisi che non è una questione inter-etnica quanto un conflitto politico tra diversi livelli di governo in Bosnia Erzegovina, come ricorda l'analista dell'ESI Adnan Cerimagic: "il ministro statale per la sicurezza e il direttore della SIPA sono serbo-bosniaci tanto quanto il primo ministro e il presidente della RS."
L'Alto Rappresentante internazionale (OHR) ha riaffermato che "le entità hanno un obbligo costituzionale di conformarsi alle decisioni delle istituzioni [statali]". L'OHR Valentin Inzko ha inoltre ricordato che "il referendum in RS potrebbe portare all'uso dei 'poteri di Bonn' come in passato", facendo riferimento alla propria facoltà di annullare leggi e rimuovere politici e funzionari che agiscano in violazione dell'ordine costituzionale di Dayton. Una possibilità considerata oggi remota – non ultimo per i suoi risvolti anti-democratici – ma che potrebbe riproporsi se il partito di governo a Banja Luka, oggi assente dalla coalizione statale, davvero intendesse rompere ogni rapporto con le istituzioni di Sarajevo. Ma l'allarme potrebbe anche presto rientrare: un nuovo accordo tra SIPA e RS, annunciato martedì mattina, potrebbe abbassare la tensione.
Proprio la forte decentralizzazione della Bosnia Erzegovina prodotta dagli accordi di Dayton resta uno dei nodi principali da risolvere sulla strada del paese verso l'Unione europea. L'Agenda di Riforma economica proposta dall'UE, nel rispetto della ripartizione delle competenze tra stato, entità e cantoni decisa a Dayton, è volta proprio a far lavorare insieme i politici di vari livelli amministrativi per creare un mercato unico all'interno della Bosnia Erzegovina. “E' un compito tedioso, ma si tratta di integrare la Bosnia Erzegovina mentre procediamo alla sua integrazione nell'Unione europea”, sintetizza l'ambasciatore UE nel paese, Lars-Gunnar Wigemark.