La crisi dei rifugiati ha colpito anche la Croazia, che dopo soli due giorni dall'arrivo dei primi profughi ha chiuso la frontiera con la Serbia, prolungando così la loro agonia nel loro viaggio verso Austria, Germania e altre destinazioni dell’Europa settentrionale
La crisi dei rifugiati che negli ultimi mesi ha colpito l’Europa e in particolare in Balcani non cessa, ha solo cambiato direzione. L’ondata di rifugiati che perlopiù sono entrati in Ungheria da Grecia, Macedonia e Serbia, ha cambiato corso quando l’Ungheria all’inizio della scorsa settimana ha completato il muro di filo spinato al confine con la Serbia, confine che poi ha chiuso del tutto.
I rifugiati hanno iniziato ad arrivare in Croazia mercoledì mattina 16 settembre, perlopiù attraverso il passaggio di frontiera di Tovarnik, al confine con la Serbia. Tra mercoledì e giovedì circa 13.000 profughi hanno attraversato la frontiera in vari punti del confine con la Serbia. Il governo croato ha trasportato le persone in alcuni luoghi dove esistevano centri di accoglienza e dove sono stati allestititi campi temporanei: Zagabria, Ježevo, Sisak, Kutina, Beli Manastir, Čepin.
I rifugiati sono stati trasferiti con autobus e treni organizzati dal governo croato. Dopo la registrazione, praticamente nessuno dei rifugiati ha chiesto asilo in Croazia, tutti desideravano proseguire il loro viaggio verso Austria, Germania e altre destinazioni dell’Europa settentrionale. Dal momento che la Slovenia giovedì scorso non ha consentito il passaggio di nessuna persona provenite dalla Croazia, le autorità croate hanno cambiato atteggiamento ripestto alle iniziali aperture.
La Croazia chiude i confini
Giovedì scorso, poco dopo le 23.00, la Croazia ha completamente chiuso tutti i suoi passaggi di frontiera con la Serbia. Nonostante i valichi chiusi, i rifugiati hanno passato la frontiera illegalmente in alcuni punti. La critica nazionale ed internazionale si è fatta subito sentire, tanto che il capo del governo Zoran Milanovć ha indetto una conferenza stampa straordinaria venerdì pomeriggio. Durante la conferenza Milanović ha precisato che le frontiere sono state chiuse in modo temporaneo, perché la Croazia ha mostrato “di avere cuore, ma anche cervello”. Il premier ha detto che non vuole che la Croazia diventi un cosiddetto “Hot spot per i rifugiati nell'Unione europea”.
Milanović ha spiegato che la Croazia ha mezzi e capacità a sufficienza per accogliere e lasciar passare molti altri rifugiati, ma non vuole che la questione dei rifugiati venga risolta in modo che alcuni paesi debbano accoglierli e pensare a loro, mentre altri chiudono le loro frontiere. Per questo Milanović ha annunciato un “Piano B” della soluzione della crisi e ha spiegato che la Croazia trasferirà i rifugiati fino alla frontiera più vicina, soprattutto quella con l’Ungheria, al nord del paese. Gli è stato chiesto se questa misura potesse in qualche modo scatenare una nuova ondata di violenza alla frontiera con l’Ungheria, come è accaduto in precedenza al passaggio di confine con la Serbia, a Horgos 1, ma Milanović ha risposto che se l'Ungheria intendeva avere quell'approccio doveva farlo davanti alle telecamere dei media internazionali.
Dopo che i primi autobus e treni hanno portato venerdì scorso i rifugiati al confine con l’Ungheria, questi sono stati portati oltre frontiera, dove il governo ungherese ha garantito loro un passaggio in autobus fino al confine con l’Austria. Così è andata avanti per tutto sabato e domenica, con accuse mosse dall’Ungheria nei confronti della Croazia, che “ha tradito l’UE e l’Ungheria” ed ha "infranto la sovranità ungherese”. Più tardi la maggior parte dei rifugiati è stata trasferita al punto di confine di Goričan, al nord della Croazia, perché meglio collegato con il confine austriaco.
La Slovenia venerdì e sabato ha iniziato a lasciar passare i rifugiati dalla propria frontiera e fino a domenica in circa 2000 hanno fatto il loro ingresso nel paese. Quasi nessun rifugiato ha fatto domanda di asilo in Slovenia: hanno proseguito il loro viaggio verso l’Austria. Per questo motivo il ministro degli Interni austriaco Johanna Mikl-Leitner ha espresso la sua insoddisfazione per l’atteggiamento di Slovenia e Croazia. Ha accusato i due stati di non rispettare le regole dell’UE sull’asilo (protocollo Dublino 3) e ha annunciato che alcuni dei rifugiati sarebbero stati rimandati indietro verso la Croazia e la Slovenia.
Grabar Kitarović chiede l’intervento dell’esercito
In Croazia la presidente Kolinda Grabar Kitarović giovedì scorso ha espresso critiche per il modo in cui i rifugiati sono entrati in Croazia e ha chiesto che l’esercito croato venisse impiegato ai punti di frontiera per poter “difendere la sicurezza dei cittadini croati”.
Ne è seguita una seduta del Consiglio nazionale di sicurezza venerdì pomeriggio, durante il quale Milanović e Grabar Kitarović oltre al ministro della Difesa Ante Kotromanović, quello dell’Interno Ranko Ostojić e degli Esteri Vesna Pušić hanno discusso sulle modalità di soluzione della crisi. Durante la seduta si è deciso che per ora non vi era bisogno dell’esercito. Milanović ha abbandonato la seduta anzitempo per poter parlare con la cancelliera tedesca Angela Merkel.
Il quotidiano Jutarnji list riporta che la Merkel avrebbe chiesto a Milanović di tenere in Croazia per un po’ di tempo i rifugiati, prima che la Germania e gli altri paesi si organizzino per la loro accoglienza. Milanović, secondo il quotidiano di Zagabria, avrebbe rifiutato.
Già da venerdì e sabato il governo croato ha iniziato a sistemare i rifugiati nelle sale vuote della fiera di Zagabria. Fino a domenica pomeriggio circa 25.000 rifugiati sono entrati in Croazia e circa 150 all’ora continuano ad attraversarlo.
Storie di vita dei rifugiati
Le storie di vita degli stessi rifugiati sono caratterizzate più o meno dagli stessi temi: desiderio di una vita migliore, perlopiù in Germania, fuga dalla guerra e dalle uccisioni in Siria e Iraq. Non hanno interesse a rimanere in Croazia, non desiderano alcun aiuto dalla Croazia, eccetto il favorire il prima possibile il loro passaggio fino alla frontiera con la Slovenia e l’Ungheria.
Così al centro per le richieste di asilo di Dugave a Zagabria, Alaa Shahwan, diciannovenne studente di stomatologia all’Università di Homs in Siria, in uno stentato inglese, racconta che è fuggito dalla guerra e desidera arrivare il prima possibile in Germania, dove vorrebbe continuare gli studi e diventare dentista. Ha raccontato come ha viaggiato per oltre un mese, attraversando Turchia, Grecia, Macedonia e Serbia, con gommoni, autobus, taxi e a piedi.
Insieme con altre tre persone hanno pagato un taxi in Serbia: per un tragitto relativamente breve, circa 500 euro. Grazie al suo smartphone trova la strada e si fa vivo coi parenti. Durante il colloquio con noi giornalisti chiede dove può trovare un wi-fi, per chiamare la famiglia in Siria. Dopo averlo trovato, invia messaggi alla famiglia tramite il suo Whatsapp, dicendo loro dove si trova e che continuerà il suo viaggio.
L’unica cosa che chiede è di arrivare il più presto possibile al confine sloveno. Alaa ha fortuna, un gruppo di giornalisti decide di portarlo al confine con la Slovenia, insieme con altri tre amici con cui viaggia. Gli altri rifugiati oltre al trasporto organizzato dal governo, percorrono la via con l’aiuto dei cittadini di Zagabria che gratuitamente portano i rifugiati fino al confine sloveno, mentre altri si servono dei taxi.