Tifosi a Zagabria dopo la vittoria della nazionale croata ai Mondiali 2018 (foto G. Vale)

Tifosi a Zagabria dopo la vittoria della nazionale croata ai Mondiali 2018 (foto G. Vale)

I meritati festeggiamenti della Croazia per il secondo posto ai Mondiali di calcio in Russia, hanno però messo in evidenza una forte dose di retorica nazionalista. Polemiche per la presenza del cantante Marko Perković Thompson

23/07/2018 -  Ahmed Burić Sarajevo

La "fuga dai Balcani", che in Croazia viene continuamente riproposta, fin dalla dichiarazione di indipendenza dalla Jugoslavia, come la chiave del progresso del paese, non è altro che un’illusione. Era da molto tempo che non si vedeva una festa così “balcanica” come quella con cui la Croazia ha celebrato il secondo posto della nazionale di calcio ai mondiali in Russia. Una festa destinata a proseguire, che vede tra i protagonisti un cantante noto per le sue posizioni fasciste e un cacciatore di nazisti.

E mentre in Croazia continua l’euforia per la conquista della medaglia d’argento al campionato mondiale appena concluso, le controversie legate ai festeggiamenti si susseguono l’una dopo l’altra. Ricordiamo che, al suo ritorno a Zagabria, lunedì 16 luglio, la nazionale croata di calcio è stata accolta da diverse centinaia di migliaia di persone riversatesi per le strade della città: una grande festa per celebrare un successo meritato.

Ciò che tuttavia ha suscitato la disapprovazione di una (piccola) parte dell’opinione pubblica locale, attirando l’attenzione di molti media internazionali, è stato il coinvolgimento del cantante Marko Perković Thompson nei festeggiamenti. Thompson è stato invitato ad accompagnare i giocatori della nazionale nella loro sfilata per le strade di Zagabria su un pullman scoperto, e poi a salire insieme a loro sul palco in piazza Ban Jelačić, dove ha cantato una canzone in cui viene menzionata l’Herceg-Bosna, entità parastatale croata costituita nel territorio della Bosnia Erzegovina durante la guerra degli anni Novanta.

Il Tribunale dell’Aja ha condannato sei ispiratori e creatori dell’Herceg-Bosna per un totale di 111 anni di reclusione. Dopo la lettura della sentenza, uno dei condannati, il generale Slobodan Praljak, si è suicidato davanti alle telecamere.

La decisione di coinvolgere nei festeggiamenti un cantante noto per le sue posizioni di estrema destra e per l’esaltazione, durante i concerti, del regime filo-fascista di Ante Pavelić ha gettato un’ombra sul successo della nazionale croata, evidenziando due cose. La prima è che, nonostante tutti gli sforzi della destra populista croata, e di alcuni leader politici europei, di mostrare che la Croazia non appartiene più ai Balcani, la popolarità di un personaggio come Thompson – i cui comportamenti vengono largamente, e quasi senza riserve, approvati dalla società croata – dimostra l’esatto contrario.

Nell’ottica di chi percepisce i Balcani con connotazioni negative e sprezzanti – come spesso accade in Occidente – , come una regione abitata da tribù che costantemente combattono tra loro o si apprestano a farlo, Thompson e la retorica che lo circonda sono una prova innegabile dell’impulso “balcanico” del nazionalismo croato.

La seconda cosa riguarda l’immagine della società croata emersa durante i festeggiamenti: quella di lunedì scorso è stata una festa di cittadini impoveriti e sempre meno tutelati, che lavorano per stipendi molto bassi, tra i più bassi nell’Ue e che, di fronte alla tentazione di emigrare, trovano il loro unico punto d’appoggio nell’ideologia nazionalista. In quel fantasma del XIX secolo incarnato, seppur in maniere diverse, dal cantante Marko Perković Thompson, dal presidente della Federcalcio croata Davor Šuker e dalla “madre della nazione”, la presidente Kolinda Grabar Kitarović.

Ma non finisce qui. A gettare ulteriore benzina sul fuoco ci ha pensato Efraim Zuroff, noto cacciatore di nazisti e direttore del Centro Simon Wiesental che, in un comunicato stampa, ha affermato: “Thompson non dovrebbe essere invitato come ospite d’onore a nessun evento, tanto meno a una delle più grandi feste nella storia della Croazia indipendente, organizzata per celebrare un grandioso risultato sportivo. Luka Modrić forse si è meritato il premio di miglior giocatore del mondiale, ma per aver invitato Thompson a cantare merita il cartellino rosso”.

Viviamo in un mondo in cui ognuno si sente legittimato non solo a esprimere le proprie idee politiche, ma anche a commentare quanto accade nel mondo del calcio. Non possiamo tuttavia ignorare le parole di Zlatko Dalić, commissario tecnico della nazionale croata che, alla domanda rivoltagli da un giornalista della tv N1 sul perché Thompson abbia cantato alla festa, ha risposto, evidentemente infastidito: “Non chiedetemi cose del genere. Che cosa ha fatto, quale cantante? […] La sua domanda è fuori luogo […] Ha cantato il cantante che è l’autore del nostro inno”.

Il commissario tecnico, che evidentemente non vuole privare i tifosi della possibilità di festeggiare con le loro canzoni preferite, sarà omaggiato anche dalla sua città natale, in Bosnia Erzegovina, dove il prossimo 24 luglio si terrà una festa in suo onore che vedrà tra i protagonisti Marko Perković Thompson, al quale è stato vietato di tenere concerti in molti paesi dell’Ue. Ciò che nell’Ue è vietato, in Bosnia Erzegovina è permesso, e questo stato di cose, a quanto pare, durerà ancora a lungo.

Così il cerchio si chiuderà là dove tutto è cominciato, a Livno, in Bosnia Erzegovina, in quell’Herceg-Bosna “cuore orgoglioso” di cui canta Thompson, nella città la cui popolazione oggi risulta quasi dimezzata rispetto al periodo immediatamente precedente la guerra. Ma dove nessuno, e nemmeno il suo cittadino più onorevole, sembra avere alcuna intenzione di rinunciare a quella “filosofia” che provoca povertà ed emigrazione; a quella concezione tribale della società che permea gran parte della quotidianità politica croata. Mentre il popolo continua a festeggiare con le canzoni di Marko Perković Thompson.