Il capo di Stato serbo Aleksandar Vučić ha incontrato ieri a Zagabria la sua omologa croata Kolinda Grabar-Kitarović. Molte le promesse, permangono le divergenze
«Siamo in disaccordo su molte cose, ma abbiamo avvicinato alcune nostre posizioni ed è estremamente importante che continuiamo a dialogare». La prima giornata di visita del presidente serbo Aleksandar Vučić, ieri a Zagabria, si è chiusa con questo commento della sua omologa croata Kolinda Grabar-Kitarović, lasciando immaginare un cammino ancora in salita per le relazioni bilaterali serbo-croate. Dal tête-à-tête tenutosi nella residenza presidenziale di Pantovčak su iniziativa della capo di Stato croata, sono comunque emersi alcuni primi risultati e questo, malgrado il clima della vigilia che, con dichiarazioni infuocate da ambo i lati, lasciava immaginare il peggio.
Il caso degli scomparsi e della frontiera danubiana
Il leader serbo Aleksandar Vučić ha promesso alla sua controparte croata tutto il supporto necessario a risolvere il caso delle persone tuttora considerate come «scomparse» durante il conflitto degli anni Novanta. Durante la conferenza stampa che ha seguito ieri l’incontro tra Vučić e Grabar-Kitarović, il presidente serbo ha infatti annunciato di aver portato a Zagabria tutti i dati riguardanti tre persone finora considerate scomparse, senza però indicare pubblicamente i nomi, il luogo di uccisione o l’etnia delle persone coinvolte. Al tempo stesso, Vučić ha anche consegnato alla Croazia dei documenti provenienti dalla cittadina croata di Dvor na Uni, al confine con la Bosnia Erzegovina.
I registri portati dal presidente serbo riguardano la comunità serba che viveva in quella località fino all’operazione Tempesta (Oluja) del 1995 e dovrebbero quindi aiutare a chiarire quanto avvenuto in seguito. Secondo il ministero dei Veterani di guerra di Zagabria , infatti, 1131 persone risultano scomparse a partire dal 1991–1992 e di queste l’85–90% sono croate, mentre 814 persone mancano dal 1995, il 95% delle quali sono di etnia serba.
Croazia e Serbia, inoltre, si sono impegnate a risolvere entro due anni la questione della frontiera sul Danubio, tuttora contesa dal 1991. Si tratta ovviamente di una raccomandazione che i due presidenti hanno rivolto pubblicamente ai rispettivi governi, convenendo che, se entro la fine del biennio una soluzione bilaterale non sarà raggiunta, il caso sarà allora trasmesso ad una corte arbitrale internazionale (come avvenuto per il conflitto croato-sloveno di Pirano, ma senza gran successo).
Il confine sul Danubio ha buone possibilità di diventare un altro caso di scuola nel diritto internazionale, avendo già permesso la «nascita» del Liberland, uno «Stato» auto-proclamatosi indipendente nel 2015. L’isolotto su cui è sorta la pseudo-repubblica non è infatti «di proprietà di nessuno» come ama ripetere il fondatore del Liberland, lo slovacco Vit Jedlicka, dato che né Serbia né Croazia ne rivendicano la proprietà. Il punto di partenza della discussione, ad ogni modo, è questo: per Zagabria, la frontiera deve seguire le mappe catastali e quindi zig-zagare più volte il corso del Danubio; per Belgrado si dovrebbe semplicemente utilizzare il fiume come linea divisoria.
Le proteste e le tensioni della vigilia
Durante la giornata di ieri, inoltre, una piccola manifestazione di protesta si è tenuta a piazza Ban Jelačić a Zagabria, con un migliaio di veterani di guerra e di vedove di ex-combattenti croati che hanno sfilato contro la visita di Aleksandar Vučić. Accusando la Croazia di «tradimento» per aver invitato il leader serbo, i manifestanti hanno chiesto alla Serbia di «rispondere per il genocidio di Vukovar» e «pagare le riparazioni di guerra». «Siamo qui per dirglielo chiaro e tondo: sappiamo chi sei e quanto veleno hai sparso su questo paese», ha affermato la presidente dell’associazione delle Vedove di guerra Rozalija Bartolić rivolta ad Aleksandar Vučić. Tra i cartelli e vessilli sventolati in piazza, scrive l’agenzia croata Hina, è spuntata anche la bandiera delle Forze di difesa croate (HOS), con lo slogan ustascia “Per la patria, pronti!” (Za dom spremni) che tanto ha avvelenato le relazioni serbo-croate negli ultimi mesi.
Prima dell’arrivo di Vučić a Zagabria, infatti, l’annunciato incontro tra i due presidenti aveva suscitato più di qualche polemica da ambo le parti. In Croazia, lo stesso governo di Andrej Plenković si era smarcato dall’iniziativa della presidente, probabilmente anche per ragioni di politica interna (ovvero per limitare l’azione della capo di Stato in politica estera). Il premier Plenković aveva detto che Vučić è il benvenuto in Croazia ma a patto che si discuta delle riparazioni di guerra, mentre da Belgrado il ministro della Difesa Aleksandar Vulin aveva messo in guardia il proprio capo di Stato contro un eventuale attacco fisico, come a Srebrenica nel 2015. «Gli ustascia scenderanno in strada per protestare contro la sua visita», aveva dichiarato Vulin attirandosi le critiche di diversi politici croati, nella maggioranza come all’opposizione. Lo stesso ex ministro dei Veterani, Predrag Matić, in carica ai tempi del governo socialdemocratico, aveva detto alla televisione N1 di non aspettarsi molto dalla visita del presidente serbo.
Moratoria sugli insulti
Nonostante questo clima teso, la giornata di ieri si è dunque svolta senza incidenti, come avvenuto nel giugno del 2016 quando Kolinda Grabar-Kitarović e Aleksandar Vučić si erano incontrati a Vukovar per smorzare un po’ le tensioni. Anche allora, tuttavia, non si era andati molto più in là di alcune formali dichiarazioni distensive. Ieri, il capo di Stato serbo ha comunque incontrato il Primo ministro croato e discusso con lui delle riparazioni di guerra, così come degli altri dossier aperti (cooperazione giudiziaria, persone scomparse, protezione delle minoranze, frontiera danubiana…) elencati dal premier croato su Twitter.
In quanto alle riparazioni, Vučić si è tuttavia limitato a commentare che su quel punto «le posizioni croate e serbe divergono». In serata, poi, il leader serbo ha incontrato anche il cardinale Josip Bozanić, arcivescovo di Zagabria, in presenza della presidente Kolinda Grabar-Kitarović. La questione di Alojzije Stepinac (1898–1960), il defunto cardinale che divide regolarmente la Chiesa cattolica croata e quella ortodossa serba, non è stato affrontato.
Infine, un’ultima conseguenza concreta dell’incontro è il monito lanciato da Aleksandar Vučić ai «suoi» ministri. Stando a quanto annunciato dal presidente e riportato dalla stampa locale, gli ufficiali serbi «avranno l’obbligo» di astenersi dall’insultare i loro corrispettivi croati per i prossimi 100 giorni, anche nel caso in cui i croati inizino per primi…