La Croazia è uno degli snodi della rotta balcanica. In particolare al confine con la Bosnia Erzegovina, i respingimenti e le violenze a danno dei migranti sono stati ampiamente documentati grazie anche al lavoro degli attori della società civile. Intervista a Maddalena Avon, del Centre for Peace Studies di Zagabria
(Pubblicato originariamente da Snapshots from the Borders il 30 marzo 2021)
La Croazia continua a rappresentare uno snodo fondamentale lungo la Rotta balcanica: da anni, in particolare al confine con la Bosnia Erzegovina, i respingimenti illegali e le violenze a danno dei migranti sono stati ampiamente documentati grazie anche al lavoro degli attori della società civile.
Tra questi c’è il Centre for Peace Studies (Centar za Mirovne Studije ) di Zagabria. “Il centro è nato nel 1994, in Slavonia, nella Croazia orientale, da un’iniziativa dal basso di volontari. Negli anni, a seconda del contesto storico – politico regionale e croato, le attività sono cambiate; oggi ci occupiamo di percorsi di educazione alla non violenza e di combattere il razzismo, in particolare il nostro lavoro rispetto alle migrazioni è legato all’assistenza legale e burocratica ai migranti, alla ricerca di un lavoro, all’integrazione, all’insegnamento della lingua, oltre a presentare proposte. L’approccio è importante, non vogliamo solo offrire servizi ai migranti, ma operiamo come un collettivo di esseri umani che, tra pari, contribuiscono a una concezione di comunità. In particolare lavoriamo sul diritto all’asilo e sulla sua negazione, sulle violenze ai danni dei migranti, denunciando quello che accade a differenti livelli, nazionali e internazionali. E anche partecipando a progetti come Snapshots From The Borders , per il quale abbiamo organizzato degli eventi realizzati a Zagabria con una mostra artistica e spettacoli di strada, ma anche con tavole rotonde con le ambasciate della capitale croata per chiarire le nostre posizioni politiche sul tema della protezione internazionale.”
A raccontare le attività del centro e la situazione in Croazia è Maddalena Avon, project coordinator del Centre for Peace Studies di Zagabria, originaria di Trieste, che dal 2015 – un anno particolare – è arrivata in Croazia, continuando a lavorare su frontiere e migrazioni. “Sei anni fa il clima era differente, nel 2015 c’era un corridoio aperto. Bisogna tener conto che la Croazia è un membro giovane dell’Ue, avendo aderito solo nel 2013, che ha una storia molto differente di migrazioni da quelle di paesi come l’Italia. In Croazia la prima legge sull’asilo risale solo al 2004 e nel 2015 scoprii con stupore che esistevano due parole differenti per i rifugiati della regione e per quelli che arrivavano da lontano”, racconta Avon.
“Il 2015 è stato un anno molto intenso: la narrazione pubblica era indirizzata da quelle dei paesi più rappresentativi, come la Germania. Basti pensare che a settembre del 2015, il sindaco di Zagabria, del centrodestra, parlava di ‘aprire le porte delle case a chi fugge dalle guerre’, ma già pochi mesi dopo, la presidente della Repubblica Kolinda Grabar Kitarović parlava di ‘mandare l’esercito al confine ’: si cambiava linea come la cambiavano paesi come la Germania e l’Austria. Le violazioni dei diritti umani e le violenze sui migranti sono iniziate già nel 2016, con vere e proprie ‘profilazioni razziali’, ma è dal 2017 che sono diventate sistemiche: mentre altrove si costruivano muri e barriere, in Croazia si schierava al confine un ingente spiegamento di forze dell’ordine che fisicamente limitavano l’accesso al paese e alla richiesta di asilo, come ampiamente documentato dai nostri report e da quelli di altri, in particolare della rete Border Violence Monitoring Network del quale il centro è parte. La Croazia è in trattativa con l’Ue per l’accesso allo spazio Schengen; Austria e Germania hanno lodato il contenimento dei flussi alle frontiere esterne, rendendosi di fatto complici delle violazioni della Croazia, che sono connesse alle politiche di esternalizzazione delle frontiere Ue, che sono le reali responsabili di queste violazioni.”
Un atteggiamento dell’Unione europea che ha contribuito all’impunità di molte violazioni ai confini della Croazia. “Il ministero degli Interni, dal 2017, continua a definire false tutte le denunce di torture e violenze che vengono documentate da ong, da attivisti, da giornalisti locali e internazionali e addirittura dal garante nazionale dei diritti. Tutti mentono e la Croazia si limita a difendere i confini esterni dell’Ue, sostiene il ministero – spiega Avon – ma questo non è un problema solo della Croazia: Italia, Slovenia, Grecia, passando per l’agenzia Frontex. Sono tanti e sistematici i casi che dovrebbero imbarazzare l’Europa, perché sono da anni impunite una serie di azioni che sono legate alle politiche europee.”
Nel 2020, in un quadro già molto complesso, è arrivata anche la pandemia a complicare le cose. Quanto ha impattato, in Croazia, il nuovo sistema di misure restrittive? “Le misure restrittive per il Covid-19 hanno cambiato molto le vite di tutti, e anche le dinamiche migratorie, per quanto molti aspetti sono rimasti gli stessi – spiega Avon – respingimenti e violenze sono uguali, mentre all’inizio della pandemia c’è stato un silenzio su questi temi, perché tutti guardavano altrove. Le limitazioni messe in atto per contenere la pandemia hanno aggravato certe violazioni, ma le persone non hanno mai smesso di muoversi e per molti di loro il dramma resta quello della sopravvivenza: nei centri non hanno acqua, non hanno scarpe adatte alla neve, non hanno abbastanza cibo. Inoltre, impediti negli spostamenti, nella prima fase gli osservatori non erano in grado di monitorare sul campo le violazioni, riuscendo poi però a cambiare le modalità di approccio e di raccolta di testimonianze.”
Proprio quel lavoro di monitoraggio e solidarietà che dal confine italo–francese, fino al Mediterraneo, passando per Trieste, anche lungo la Rotta balcanica non è risparmiato da quel processo di criminalizzazione della solidarietà. Maddalena Avon, come altri, ha vissuto questo clima.
“Nel caso del nostro centro, o per Are You Syrious? , un’altra organizzazione che ha sede in Croazia, molto attivi nella denuncia, assistiamo a una costante disabilitazione sistematica del nostro lavoro. Dipendenti e volontari sono stati intimiditi dalla polizia, in particolare nel 2017, mentre supportavamo chi voleva chiedere asilo nelle stazioni di polizia. Così come sono stati intimiditi altri attori, per esempio l’avvocata della famiglia di Madina, bimba afgana di sei anni che ha perso la vita – investita da un treno – dopo che la sua famiglia era stata respinta in Croazia. Nella realtà mancano atti reali, come inchieste e indagini ufficiali, ma informalmente questo processo è reale e presente, come nelle dichiarazioni del ministero degli Interni di Zagabria che ci accusa di passare denaro, numeri telefonici e istruzioni per entrare illegalmente nel Paese. Lo stesso ministero non ha rinnovato l’accordo che permetteva a noi e ad altri di accedere ai centri per migranti per prestare assistenza legale. Nel 2018, proprio in coincidenza della conferenza stampa per il caso di Madina, mentre la sua famiglia era in detenzione in Croazia, la polizia si è presentata a casa di molti degli attori della società civile coinvolti nella vicenda della denuncia di quanto accaduto. Ad oggi c’è ancora un volontario di Are You Syrious? sotto processo per ‘favoreggiamento dell’immigrazione clandestina’, colpevole solo di essersi trovato nella stessa zona di una famiglia di migranti in difficoltà. Racconto sempre la storia di una signora della Dalmazia, che alla domanda di un giornalista che le chiedeva se avesse visto passare dei migranti, rispondeva che se anche li avesse visti non lo avrebbe detto né a lui né alla polizia. Le persone hanno paura delle conseguenze, vogliono aiutare e spesso lo fanno, ma temendo le conseguenze di questo clima intimidatorio.”
Il centro di Zagabria lavora anche alla proposta di soluzioni, che però non sono semplici in questo contesto. “E’ oramai evidente che il sistema degli hotspot e il principio dei fondi per accordi bilaterali come quelli con Libia e Turchia, o alla Bosnia Erzegovina per costruire i campi, non funzionano. Eppure si insiste su quella linea: esternalizzare la gestione delle persone che arrivano in Europa per chiedere asilo. Il 2015 ha dimostrato che un’alternativa è possibile – conclude Avon – le conseguenze di questa gestione mortale dei confini sono gravi: vittime, dispersi, violazioni dei diritti umani, violenze. Bisogna porre fine a queste politiche. Quello che accade in Bosnia Erzegovina è generato da queste politiche. E il nuovo Patto sulle migrazioni, nonostante una proposta esistente nel patto che prevederebbe il monitoraggio delle violazioni dei diritti umani ai confini, mantiene lo stesso impianto che ha fallito e continuerà a farlo.”