L'impegno delle organizzazioni non governative croate nella delicata questione del rientro dei profughi. Un esame delle difficoltà dei rientri, uno sguardo alla situazione attuale e alle attività delle ong presenti sul territorio.
Il problema del ritorno dei profughi nelle zone che fino al 1995 si chiamavano Krajina è uno dei problemi centrali che preoccupa la comunità internazionale. Come è noto i territori dove i serbi rappresentavano, secondo i dati del censimento del 1991 (ma anche secondo dati storici) la maggioranza, dopo l'indipendenza della Croazia proclamarono la Repubblica serba di Krajina. Grazie alla politica dei governi d'orientamento di destra radicale, questi territori vennero più o meno etnicamente purificati tra il '91 e il '95 dove, eccetto pochissime eccezioni, tutti i non serbi furono costretti ad andarsene. Durante le operazioni militari croate "Bljesak" e "Oluja" (le famose azioni Lampo e Tempesta avvenute tra maggio e agosto '95) i territori della Krajina si svuotarono anche della popolazione serba. La maggior parte della popolazione scelse l'esilio - nella Repubblica Serba di Bosnia Erzegovina e in Serbia - nonostante l'invito ripetuto del presidente Tudjman a restare a casa. Questo invito fu valutato, a ragione, espressione di una profonda ipocrisia. Difatti gran parte degli anziani che raccolsero le garanzie date da Tudjman, vennero assassinati nei giorni seguenti alle azioni militari. Subito dopo la fine dell'operazione Tempesta, Tudjman stesso definì il senso dell'azione dicendo che la Croazia aveva "finalmente risolto il problema doloroso dell'elemento di disturbo", cioè il problema serbo. Secondo la testimonianza di uno studente della Facoltà di ingegneria di Fiume, Kresimir Djakulovic, uno dei comandanti delle unità croate che parteciparono all'azione - Vjekoslav Marinac, residente a Fiume - alla domanda su cosa sarebbe successo nel caso in cui la maggioranza della popolazione locale fosse restata nelle proprie case, rispose "Nessuno sarebbe sopravvissuto".
Sottoposto alla pressione della comunità internazionale, il governo di Tudjman accolse un programma di ritorno di profughi. Ma durante il periodo in cui governò l'HDZ, la realizzazione di questo programma incontrò moltissimi ostacoli. Il ritorno veniva praticamente impedito dalle procedure burocratiche, sempre molto complesse. Alcune migliaia (in primo luogo persone anziane) sono riuscite nonostante tutto a ritornare a vivere nei propri villaggi. Molte volte non ottenendo però il possesso delle proprie case (la cui proprietà era indiscutibile essendo private) perché occupate da profughi croati di Bosnia, ma anche provenienti dal Kosovo. Nonostante la legge sull'amnistia, quasi tutti gli uomini giovani che rientravano venivano processati come criminali di guerra e così il numero di giovani disposti a ritornare era tutt'altro che significantivo. Le persone anziane, spesso senza possibilità di lavorare e assicurarsi i mezzi necessari per la sopravvivenza, rappresentavano un problema sociale enorme del quale non si curavano né gli organi statali né le autorità locale, in principio sotto il controllo del partito di maggioranza o anche della destra estrema.
Qui inizia la storia dell'impegno - si può dire senz'altro eroico - delle organizzazioni non governative croate che dal primo momento erano presenti sui territori del ritorno portando aiuti umanitari, assistenza legale e sostegno di questa popolazione povera ed impotente. Questa storia potrebbe rappresentare un importante argomento d'inchiesta, ma che richiederebbe molto spazio e analisi differenti. Hanno operato anche alcune agenzie internazionali e ONG estere, che si sono impegnate nella raccolta e nella distribuzione dell'aiuto umanitario, tra le quali anche differenti organizzazioni italiane. E a questo proposito sono da registrare esempi di grande ed efficiente impegno, ma purtroppo anche alcuni esempi negativi di abusi, manipolazioni delle ONG locali, ecc.
Dopo le elezioni del 3 gennaio del 2000, che ha visto la coalizione di centrosinistra arrivare al governo, l'interesse per il ritorno è più che raddoppiato. Ma le vecchie strutture statali hanno continuato a frenare progressi di rilievo. Così, alle organizzazioni locali è restato l'obbligo di continuare le attività di pura assistenza ed aiuto umanitario. Le condizioni sono naturalmente cambiate: la polizia ha smesso di guardare a vista i soggetti impegnati in questo lavoro umanitario, come esponenti "invisi" al potere. Nonostante ciò l'ostruzione è continuata, portata avanti dalle strutture politiche del vecchio potere sopravvissute al passaggio elettorale, anche grazie alla politica di "non revanscismo" del nuovo governo di centrosinistra.
La situazione è oggi parzialmente cambiata grazie alle pressioni della comunità internazionale, ma soprattutto grazie all'impegno dell'Unione Europea. I cambiamenti sono diventati decisamente evidenti quest'anno, specialmente negli ultimi mesi. Come testimonia Mirjana Galo di Pola, presidente dell'organizzazione non governativa per la Protezione dei diritti umani "HOMO" (cha opera nella zona di Lika dal 1995), subito dopo le elezioni del 3 gennaio l'atteggiamento della polizia locale è totalmente cambiato, tanto da arrivare a dei livelli di cooperazione quasi eccellenti. Ma nei ultimi mesi si registrano anche nuovi atteggiamenti da parte delle autorità locali - inclusi anche i comuni dove l'HDZ possiede tutt'oggi la maggioranza . Sotto la pressione del Governo centrale, in risposta alle pressioni internazionali, il livello di cooperazione
in materia di ritorno è diventato più o meno soddisfacente, se non persino buono, e il numero dei rientranti diventa ogni giorno più rilevante. Così, in alcuni comuni si è di nuovo raggiunta la composizione a maggioranza serba che esisteva prima della guerra. In alcuni luoghi anche la struttura del potere locale rispecchia questa nuova realtà: più di 200 consiglieri comunali di nazionalità serba, alcuni comuni sotto controllo dei partiti di denominazione serba, ecc.
Sussistono però ancora moltissimi problemi.
Da un lato infatti si registra l'avvio di numerosi procedimenti giuridici contro persone rientranti, basate su denunce spesso false (ma in alcuni casi anche fondate su fatti reali) di aver commesso crimini di guerra nel periodo della Repubblica serba di Krajina. Tutti i procedimenti si trovano fin dall'inizio sotto il controllo della Missione ONU per i diritti umani di Zagabria. Come testimonia la funzionaria della Missione impegnata nella sorveglianza dei procedimenti giuridici - Branka Sesto (che da pochi giorni è stata trasferita a Baku, prendendo l'incarico di capo della Missione ONU in Azerbajdjan) - molti processi si sono dimostrati una chiara montatura. Nonostante il fatto che la giustizia infine trionfa, anche se esistono purtroppo eccezioni quando si tratta di procedimenti contro ex-profughi serbi, è evidente che questa prassi non favorisce il processo di ritorno di uomini giovani o che durante la guerra erano in età di servizio militare da "riservista".
Il secondo problema è connesso ai profughi bosniaco-croati, che hanno occupato proprietà private nelle zone del ritorno. Molti di loro non hanno alcun interesse a ritornare in Bosnia Erzegovina, specialmente se provengono da aree che oggi ricadono nell'entità della Repubblica Srpska. Qui, ancora oggi non emerge alcuna volontà politica di garantire il processo di rientro dei profughi, in primo luogo per responsabilità del Partito democratico serbo, che continua a perseguire le idee del suo fondatore ed ex-presidente - Radovan Karadzic. Il Governo croato si è quindi impegnato, dopo la svolta politica e specialmente negli ultimi mesi, nel lavoro di sistemazione di queste persone in abitazioni costruite ad hoc. Ma non c'è posto per tutti e negli ultimi mesi, attraverso procedure legali, si è intensificata la tendenza a scacciare questi profughi dalle abitazioni occupate per assicurare ai rientranti serbi di riottenerne il possesso.
Sul lungo periodo però questa non rappresenta certo la soluzione del problema, insostenibile senza un sentito cambiamento politico in Republika Srpska di Bosnia Erzegovina, dove si dovrà cominciare a mettere in pratica le leggi che tutelano i rientranti croati e musulmani. Sembra che la comunità internazionale non sia disposta ad accettare la necessità di imporre misure dure contro gli esponenti dell'idea di una entità Serba etnicamente purificata per l'eterno. Negli ultimi mesi la giurisprudenza croata ha mostrato d'altra parte un netto miglioramento nella tutela della proprietà privata, ma anche rispetto al diritto di ritornare in possesso delle abitazioni statali: molte persone nelle zone urbane come Knin o Petrinja hanno ottenuto infatti il diritto all'alloggio.
Nei confronti del lavoro realizzato dalle organizzazioni non governative locali impegnate nell'assistenza legale ed umanitaria nelle zone di rientro, è unanime la valutazione eccellente che ne viene fatta. In questo senso gode della stessa fama una sola organizzazione straniera, l' "Aiuto umanitario" norvegese con sede a Sisak, che si occupa di rientri nella zona di Banija. Sempre a Banija, ma anche a Kordune e specialmente in Slavonia occidentale, è alquanto attiva anche un'organizzazione di supporto alle persone di nazionalità serba - il "Forum democratico serbo" - con sede a Zagabria. Questa organizzazione deve i suoi risultati anche al fatto di avere sedi a Banja Luka (in Republika Srpska) e a Belgrado, attraverso le quali è in grado di offrire assistenza legale ai profughi esiliati ancora in quei paesi.
Le altre organizzazioni sono in prevalenza croate, ma molte di loro mostrano una struttura etnica mista tra gli attivisti. Il lavoro di rientro viene comunque gestito soprattutto da ong locali: l'organizzazione "HOMO" di Pola come già detto è molto attiva nella Lika, il "Comitato per i diritti umani" di Karlovac è impegnato nel Kordun, dove opera con un certo rilievo anche il "Comitato civico per i diritti umani" con sede a Zagabria e il cui presidente è Zoran Pusic. La zona di Knin è coperta soprattutto dal "Comitato dalmata per i diritti umani" e dal "Comitato dalmata di solidarietà", ambedue con sede a Spalato. Il noto "Comitato di Helsinki per i diritti umani" è impegnato in diverse aree, ma specialmente in Dalmazia, mentre il "Comitato per i diritti umani e la nonviolenza" di Osijek copre la regione della Slavonia incluse le zone di Vukovar e della Baranja. Va sottolineato che lì la situazione è un po' differente, perché il lavoro principale non è per il rientro dei serbi, che almeno parzialmente sono rimasti nelle loro abitazioni dopo la reintegrazione pacifica della Slavonia realizzata sotto il controllo delle truppe ONU, ma di assistenza legale ed umanitaria della popolazione che ha scelto di restare. Nell'area esistono altre organizzazioni che si occupano di assicurare il rientro dei profughi croati, soprattutto a Vukovar, Ilok, Baranja, che altrettanto meritano una nota di merito per il lavoro fin qui fatto.
Molte delle persone impegnate nelle attività menzionate ripetono sempre le stesse parole: il problema centrale è quello di natura economica. Nelle zone di ritorno non esistono attività produttive di rilievo, non sono stati fatti investimenti in questo senso, e non esiste alcuna prospettiva per le giovani generazioni. Per cui ad oggi, nonostante la svolta e i miglioramenti visibili, le zone di rientro sembrano destinate a rimanere terre semideserte.
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L'impegno delle organizzazioni non governative croate nella delicata questione del rientro dei profughi. Un esame delle difficoltà dei rientri, uno sguardo alla situazione attuale e alle attività delle ong presenti sul territorio.
Il problema del ritorno dei profughi nelle zone che fino al 1995 si chiamavano Krajina è uno dei problemi centrali che preoccupa la comunità internazionale. Come è noto i territori dove i serbi rappresentavano, secondo i dati del censimento del 1991 (ma anche secondo dati storici) la maggioranza, dopo l'indipendenza della Croazia proclamarono la Repubblica serba di Krajina. Grazie alla politica dei governi d'orientamento di destra radicale, questi territori vennero più o meno etnicamente purificati tra il '91 e il '95 dove, eccetto pochissime eccezioni, tutti i non serbi furono costretti ad andarsene. Durante le operazioni militari croate "Bljesak" e "Oluja" (le famose azioni Lampo e Tempesta avvenute tra maggio e agosto '95) i territori della Krajina si svuotarono anche della popolazione serba. La maggior parte della popolazione scelse l'esilio - nella Repubblica Serba di Bosnia Erzegovina e in Serbia - nonostante l'invito ripetuto del presidente Tudjman a restare a casa. Questo invito fu valutato, a ragione, espressione di una profonda ipocrisia. Difatti gran parte degli anziani che raccolsero le garanzie date da Tudjman, vennero assassinati nei giorni seguenti alle azioni militari. Subito dopo la fine dell'operazione Tempesta, Tudjman stesso definì il senso dell'azione dicendo che la Croazia aveva "finalmente risolto il problema doloroso dell'elemento di disturbo", cioè il problema serbo. Secondo la testimonianza di uno studente della Facoltà di ingegneria di Fiume, Kresimir Djakulovic, uno dei comandanti delle unità croate che parteciparono all'azione - Vjekoslav Marinac, residente a Fiume - alla domanda su cosa sarebbe successo nel caso in cui la maggioranza della popolazione locale fosse restata nelle proprie case, rispose "Nessuno sarebbe sopravvissuto".
Sottoposto alla pressione della comunità internazionale, il governo di Tudjman accolse un programma di ritorno di profughi. Ma durante il periodo in cui governò l'HDZ, la realizzazione di questo programma incontrò moltissimi ostacoli. Il ritorno veniva praticamente impedito dalle procedure burocratiche, sempre molto complesse. Alcune migliaia (in primo luogo persone anziane) sono riuscite nonostante tutto a ritornare a vivere nei propri villaggi. Molte volte non ottenendo però il possesso delle proprie case (la cui proprietà era indiscutibile essendo private) perché occupate da profughi croati di Bosnia, ma anche provenienti dal Kosovo. Nonostante la legge sull'amnistia, quasi tutti gli uomini giovani che rientravano venivano processati come criminali di guerra e così il numero di giovani disposti a ritornare era tutt'altro che significantivo. Le persone anziane, spesso senza possibilità di lavorare e assicurarsi i mezzi necessari per la sopravvivenza, rappresentavano un problema sociale enorme del quale non si curavano né gli organi statali né le autorità locale, in principio sotto il controllo del partito di maggioranza o anche della destra estrema.
Qui inizia la storia dell'impegno - si può dire senz'altro eroico - delle organizzazioni non governative croate che dal primo momento erano presenti sui territori del ritorno portando aiuti umanitari, assistenza legale e sostegno di questa popolazione povera ed impotente. Questa storia potrebbe rappresentare un importante argomento d'inchiesta, ma che richiederebbe molto spazio e analisi differenti. Hanno operato anche alcune agenzie internazionali e ONG estere, che si sono impegnate nella raccolta e nella distribuzione dell'aiuto umanitario, tra le quali anche differenti organizzazioni italiane. E a questo proposito sono da registrare esempi di grande ed efficiente impegno, ma purtroppo anche alcuni esempi negativi di abusi, manipolazioni delle ONG locali, ecc.
Dopo le elezioni del 3 gennaio del 2000, che ha visto la coalizione di centrosinistra arrivare al governo, l'interesse per il ritorno è più che raddoppiato. Ma le vecchie strutture statali hanno continuato a frenare progressi di rilievo. Così, alle organizzazioni locali è restato l'obbligo di continuare le attività di pura assistenza ed aiuto umanitario. Le condizioni sono naturalmente cambiate: la polizia ha smesso di guardare a vista i soggetti impegnati in questo lavoro umanitario, come esponenti "invisi" al potere. Nonostante ciò l'ostruzione è continuata, portata avanti dalle strutture politiche del vecchio potere sopravvissute al passaggio elettorale, anche grazie alla politica di "non revanscismo" del nuovo governo di centrosinistra.
La situazione è oggi parzialmente cambiata grazie alle pressioni della comunità internazionale, ma soprattutto grazie all'impegno dell'Unione Europea. I cambiamenti sono diventati decisamente evidenti quest'anno, specialmente negli ultimi mesi. Come testimonia Mirjana Galo di Pola, presidente dell'organizzazione non governativa per la Protezione dei diritti umani "HOMO" (cha opera nella zona di Lika dal 1995), subito dopo le elezioni del 3 gennaio l'atteggiamento della polizia locale è totalmente cambiato, tanto da arrivare a dei livelli di cooperazione quasi eccellenti. Ma nei ultimi mesi si registrano anche nuovi atteggiamenti da parte delle autorità locali - inclusi anche i comuni dove l'HDZ possiede tutt'oggi la maggioranza . Sotto la pressione del Governo centrale, in risposta alle pressioni internazionali, il livello di cooperazione
in materia di ritorno è diventato più o meno soddisfacente, se non persino buono, e il numero dei rientranti diventa ogni giorno più rilevante. Così, in alcuni comuni si è di nuovo raggiunta la composizione a maggioranza serba che esisteva prima della guerra. In alcuni luoghi anche la struttura del potere locale rispecchia questa nuova realtà: più di 200 consiglieri comunali di nazionalità serba, alcuni comuni sotto controllo dei partiti di denominazione serba, ecc.
Sussistono però ancora moltissimi problemi.
Da un lato infatti si registra l'avvio di numerosi procedimenti giuridici contro persone rientranti, basate su denunce spesso false (ma in alcuni casi anche fondate su fatti reali) di aver commesso crimini di guerra nel periodo della Repubblica serba di Krajina. Tutti i procedimenti si trovano fin dall'inizio sotto il controllo della Missione ONU per i diritti umani di Zagabria. Come testimonia la funzionaria della Missione impegnata nella sorveglianza dei procedimenti giuridici - Branka Sesto (che da pochi giorni è stata trasferita a Baku, prendendo l'incarico di capo della Missione ONU in Azerbajdjan) - molti processi si sono dimostrati una chiara montatura. Nonostante il fatto che la giustizia infine trionfa, anche se esistono purtroppo eccezioni quando si tratta di procedimenti contro ex-profughi serbi, è evidente che questa prassi non favorisce il processo di ritorno di uomini giovani o che durante la guerra erano in età di servizio militare da "riservista".
Il secondo problema è connesso ai profughi bosniaco-croati, che hanno occupato proprietà private nelle zone del ritorno. Molti di loro non hanno alcun interesse a ritornare in Bosnia Erzegovina, specialmente se provengono da aree che oggi ricadono nell'entità della Repubblica Srpska. Qui, ancora oggi non emerge alcuna volontà politica di garantire il processo di rientro dei profughi, in primo luogo per responsabilità del Partito democratico serbo, che continua a perseguire le idee del suo fondatore ed ex-presidente - Radovan Karadzic. Il Governo croato si è quindi impegnato, dopo la svolta politica e specialmente negli ultimi mesi, nel lavoro di sistemazione di queste persone in abitazioni costruite ad hoc. Ma non c'è posto per tutti e negli ultimi mesi, attraverso procedure legali, si è intensificata la tendenza a scacciare questi profughi dalle abitazioni occupate per assicurare ai rientranti serbi di riottenerne il possesso.
Sul lungo periodo però questa non rappresenta certo la soluzione del problema, insostenibile senza un sentito cambiamento politico in Republika Srpska di Bosnia Erzegovina, dove si dovrà cominciare a mettere in pratica le leggi che tutelano i rientranti croati e musulmani. Sembra che la comunità internazionale non sia disposta ad accettare la necessità di imporre misure dure contro gli esponenti dell'idea di una entità Serba etnicamente purificata per l'eterno. Negli ultimi mesi la giurisprudenza croata ha mostrato d'altra parte un netto miglioramento nella tutela della proprietà privata, ma anche rispetto al diritto di ritornare in possesso delle abitazioni statali: molte persone nelle zone urbane come Knin o Petrinja hanno ottenuto infatti il diritto all'alloggio.
Nei confronti del lavoro realizzato dalle organizzazioni non governative locali impegnate nell'assistenza legale ed umanitaria nelle zone di rientro, è unanime la valutazione eccellente che ne viene fatta. In questo senso gode della stessa fama una sola organizzazione straniera, l' "Aiuto umanitario" norvegese con sede a Sisak, che si occupa di rientri nella zona di Banija. Sempre a Banija, ma anche a Kordune e specialmente in Slavonia occidentale, è alquanto attiva anche un'organizzazione di supporto alle persone di nazionalità serba - il "Forum democratico serbo" - con sede a Zagabria. Questa organizzazione deve i suoi risultati anche al fatto di avere sedi a Banja Luka (in Republika Srpska) e a Belgrado, attraverso le quali è in grado di offrire assistenza legale ai profughi esiliati ancora in quei paesi.
Le altre organizzazioni sono in prevalenza croate, ma molte di loro mostrano una struttura etnica mista tra gli attivisti. Il lavoro di rientro viene comunque gestito soprattutto da ong locali: l'organizzazione "HOMO" di Pola come già detto è molto attiva nella Lika, il "Comitato per i diritti umani" di Karlovac è impegnato nel Kordun, dove opera con un certo rilievo anche il "Comitato civico per i diritti umani" con sede a Zagabria e il cui presidente è Zoran Pusic. La zona di Knin è coperta soprattutto dal "Comitato dalmata per i diritti umani" e dal "Comitato dalmata di solidarietà", ambedue con sede a Spalato. Il noto "Comitato di Helsinki per i diritti umani" è impegnato in diverse aree, ma specialmente in Dalmazia, mentre il "Comitato per i diritti umani e la nonviolenza" di Osijek copre la regione della Slavonia incluse le zone di Vukovar e della Baranja. Va sottolineato che lì la situazione è un po' differente, perché il lavoro principale non è per il rientro dei serbi, che almeno parzialmente sono rimasti nelle loro abitazioni dopo la reintegrazione pacifica della Slavonia realizzata sotto il controllo delle truppe ONU, ma di assistenza legale ed umanitaria della popolazione che ha scelto di restare. Nell'area esistono altre organizzazioni che si occupano di assicurare il rientro dei profughi croati, soprattutto a Vukovar, Ilok, Baranja, che altrettanto meritano una nota di merito per il lavoro fin qui fatto.
Molte delle persone impegnate nelle attività menzionate ripetono sempre le stesse parole: il problema centrale è quello di natura economica. Nelle zone di ritorno non esistono attività produttive di rilievo, non sono stati fatti investimenti in questo senso, e non esiste alcuna prospettiva per le giovani generazioni. Per cui ad oggi, nonostante la svolta e i miglioramenti visibili, le zone di rientro sembrano destinate a rimanere terre semideserte.
Croazia: ancora reazioni al filmato sui crimini dell''Operazione Tempesta'
A Dubrovnik si discute di cooperazione transfrontaliera
Bosnia-Erzegovina: fra rientri e volontà di partire