(© Vadim Sadovski/Shutterstock)

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Ai tempi del Covid-19 una riflessione sul libro “Questa terra unica“ di Rudi Supek (1913-1993). Un pensatore di rara sensibilità, che invoca la terza rivoluzione, quella ecologica

05/05/2020 -  Božidar Stanišić

Uno degli effetti collaterali del disperdersi di due milioni di ex-jugoslavi ai quattro angoli della terra è anche l’attuale scambio “internazionale” di messaggi tra me e i miei amici e conoscenti sul tema Covid-19.

Uno scambio elettronico, naturalmente.

Così mi arrivano, non più le cartoline come un tempo, bensì brevi messaggi, ma anche vere e proprie lettere. Alcuni di quelli che mi scrivono non si facevano vivi da tempo, e lo fanno adesso che mezzo pianeta è diventato una grande quarantena, in cui tutti condividiamo gli stessi timori e le stesse paure che, guarda caso, non conoscono confini nazionali (a prescindere dal fatto che siano segnati da filo spinato o meno). Rispondo ai messaggi in modo laconico: le cose sono come sono. Perché dovrei spaventare qualcuno?

In un messaggio arrivatomi dall’Olanda ho sottolineato la seguente frase: "Ora la cosa più importante è salvarsi dal Covid-19". In un altro dagli Stati Uniti: "Confidiamo nella scienza e nell’aiuto del Signore". In un altro ancora, dall’Australia: "Finirà mai questa cosa?". Potrei continuare ad elencare i messaggi ricevuti od jutra do sutra, come si dice in Bosnia [espressione che significa all’infinito]. Ma mi limito a citarne solo un altro, arrivatomi da Londra, da Predrag Finci: "Forse questa crisi aiuterà le persone a rendersi conto della propria mortalità, della necessità di essere solidali e di rispettare la natura, di cui abbiamo abusato senza pietà…", scrive.

Quel “forse” mi persegue da giorni come un’ombra. E mi fa ritornare nel periodo immediatamente precedente l’inizio della nostra jugo-tragedia, quando, al pari di alcune persone a me care, mi chiedevo se avrebbe vinto la ragione oppure… Mi fa anche ritornare a quel giorno lontano in cui, in un articolo, mi domandai cosa avrebbe detto Andrić se fosse vissuto abbastanza a lungo per assistere a quella tragedia.

A legare il mio passato al mio presente è anche lo sguardo alla mia libreria. Tra i libri che risvegliano in me l’idea di una Biblioteca come scudo contro la Catastrofe, c’è anche Ova jedina zemlja [Questa terra unica] di Rudi Supek. Ho trovato il senso del monito di Supek nel recente messaggio di Papa Francesco in cui ha affermato che oggi, forse più che mai…

Siamo tutti sulla stessa barca

Il libro Ova jedina zemlja del sociologo e filosofo croato e jugoslavo Rudi Supek è uno dei pochi studi ecologici e sociologici che hanno avuto tre edizioni , in ex Jugoslavia: la prima risale al 1973; la terza, ampliata, al 1989, in cui Supek si è occupato anche di disastri ambientali come quello di Bhopal in India, Chernobyl, l’inquinamento del fiume Reno. (Abbiate pazienza! Tra poco vi dirò qualcosa su questo straordinario sociologo e filosofo, principale esponente della Scuola di Curzola/Korčula e del gruppo riunito intorno alla rivista Praxis). Ah, se Supek avesse insegnato presso una delle università mondiali, chissà quante traduzioni avrebbe avuto il libro Ova jedina zemlja!

Nell’introduzione a questo libro, il cui sottotitolo recita: “Idemo li u katastrofu ili u Treću revoluciju?” [Andiamo verso una catastrofe o verso la Terza rivoluzione?], l’autore spiega di aver scritto questa opera in occasione della prima conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano, tenutasi a Stoccolma dal 5 al 16 giugno 1972. La conferenza di Stoccolma fu organizzata in risposta ad un appello lanciato durante una conferenza internazionale, tenutasi a Mentone nel maggio 1971, da un gruppo di esperti ambientali (ecologi, biologi, urbanisti) e sottoscritto da 2200 scienziati di tutto il mondo. "Quell’appello metteva in guardia dalla situazione molto grave in cui versava l’umanità riguardo all’espansione demografica, la rottura dell’equilibrio tra uomo e biosfera e l’inquinamento ambientale. L’autore di questo libro ha avuto l’opportunità di partecipare a una conferenza indipendente organizzata dall’organizzazione pacifista Dai Dong, il cui compito era quello di presentare, indipendentemente dall’ingerenza delle politiche ufficiali dei singoli stati e basandosi sulle opinioni degli esperti, una risoluzione alla conferenza delle Nazioni Unite. Questa conferenza [indipendente] si è tenuta poco prima della conferenza delle Nazioni Unite di Stoccolma e ha visto la partecipazione di studiosi provenienti da diversi paesi e continenti…". 

Parole scritte tanto tempo fa, talmente tanto tempo fa che oggi mi sembra che tutti quei moniti riecheggino versi biblici.

Ova jedina zemlja, un libro inattuale?

Può darsi che qualcuno lo ritenga inattuale, ma io no. Soprattutto oggi quando siamo tutti sulla stessa barca. (A dire il vero, resta aperta la domanda sul rapporto tra il capitano e l’equipaggio, perché quelli che hanno comandato la barca finora non si sono dimostrati particolarmente bravi in niente, tranne che nell’uso della demagogia!) In quei lontani anni Ottanta, l’incontro con il libro di Supek mi aveva aperto gli occhi sul problema dell’ambiente umano, che a quel tempo molti consideravano come un problema tecnico, focalizzandosi ad esempio su come proteggere la natura e le città dall’inquinamento.

Secondo Supek – che, da scienziato e marxista di vedute antidogmatiche, nel libro Ova jedina zemlja aveva sintetizzato le osservazioni e ricerche dei più importanti pensatori di quell’epoca dedicati allo studio del problema del futuro del pianeta – , l’ecologia non può essere separata dalla sociologia, dall’antropologia, dalla filosofia e dalla storia. In parole povere, il professor Supek riteneva che il problema dell’ambiente umano fosse legato a tutte "le questioni importanti che riguardano l’esistenza umana in generale: la crescita demografica e la sovrappopolazione, l’esaurimento delle risorse naturali, la civiltà industriale, lo sfruttamento capitalistico della natura e dell’uomo, il rapporto tra paesi sviluppati e paesi sottosviluppati…".

Torno al sottotitolo del libro di Supek: il senso della sua nozione di catastrofe è chiaro come il giorno, ma perché “la terza rivoluzione”? Secondo Supek, la prima rivoluzione fu quella agricola, la seconda quella industriale, mentre la terza rivoluzione (se mai accadrà) dovrà essere una rivoluzione ecologica, come unico modo possibile per salvare “questa terra unica”. O, se vogliamo, una seconda rivoluzione copernicana, che capovolgerebbe le vedute di tutti gli abitanti della Terra sulla sostenibilità della vita sul nostro pianeta.

Rudi Supek oggi, forse

Oggi, in questi lunghi giorni di quarantena, mentre tutto quello che sta accadendo come conseguenza del Covid-19 sfugge alla percezione non solo dei semplici mortali, ma anche dei “capitani” della barca chiamata Pianeta Terra, chiediamoci cosa direbbe Rudi Supek se fosse ancora vivo. Immaginiamo che sia di nuovo qui con noi. Lui, pensatore e uomo, studente alla Sorbona, membro della Resistenza francese, uno degli organizzatori della rivolta dei prigionieri del famigerato campo di concentramento di Buchenwald, professore e uno dei pionieri degli studi sociologici in ex Jugoslavia, autore di numerosi libri, alcuni dei quali, come Grad po mjeri čovjeka [Una città a misura d’uomo] e anche Ova jedina zemlja, assomigliano ad appassionanti romanzi documentari.

Tralasciamo ora il triste e deplorevole fatto che Supek, pensatore e antifascista, è stato – come afferma Miljenko Jergović – “strategicamente dimenticato”. Nella Croazia democratica non c’è nessuna strada intitolata a Supek, né tanto meno una scuola o un parco che porta il suo nome. La voce dedicata a Supek su Wikipedia in lingua croata – che consiste di appena una decina di righe – è scritta come se si trattasse di uno scribacchino locale. L’unico punto luminoso in questa rimozione della memoria, a cui ha contribuito soprattutto la politica, è il premio “Rudi Supek” istituito nel 2004 dall’Associazione croata di sociologia, nonché la cerimonia di celebrazione del centenario della nascita di Supek, tenutasi nel 2013.

Quindi, cosa direbbe oggi il vecchio Rudi, professore senza cravatta, che sorrideva ironicamente anche al proprio titolo di dottore di ricerca? Che tutto quello che finora pensavamo riguardo allo sviluppo economico – considerato ovviamente in una luce positiva – si è rivelato sbagliato? Che non è più tempo di moniti – i moniti del passato si sono già concretizzati! – , è tempo per un’azione globale per cambiare il nostro atteggiamento nei confronti di quelli che consideriamo – per dirla con Ibsen – pilastri della società? Che una volta tolte le mascherine anti Covid-19, dobbiamo renderci conto con quante altre maschere dell’arroganza e dell’ignoranza abbiamo vissuto e viviamo ancora, illudendoci che l’età dell’abbondanza non finirà mai e che la sostenibilità dell’attuale sistema economico sia un punto fermo? Che dopo il Covid-19 potrebbe colpirci un altro virus, il virus della Ragione e del Bene, che farebbe bene a tutte le persone e al Pianeta? Forse ci colpirà anche un virus che risveglierà in noi la necessità di una revisione copernicana di tutte le illusioni sull’ordine che vige sulla Terra, dove in realtà regna il caos?

Viene inoltre da chiedersi se Supek fosse uno di quegli utopisti che non si limitavano a riflettere solo sui temi relativi al proprio settore scientifico. Se la risposta è affermativa, Supek finirà per condividere lo stesso destino di quei sognatori le cui opere sono come una lettera in una bottiglia gettata nell’Oceano dell’indifferenza e dell’egoismo? Questo non lo so. La risposta alla domanda su quest’uomo e pensatore di rara sensibilità, che possedeva un senso di appartenenza alla fratellanza tra tutte le persone, dobbiamo darla tutti insieme.

Per concludere, vi propongo due frammenti tratti dal libro Ova jedina zemlja. Perdonatemi questa scelta, perdonatemi anche per non avervi offerto alcuna consolazione, come ad esempio “andrà meglio”.

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È necessario dire che le fonti naturali, organiche e minerali, che sono la condizione necessaria per la nostra esistenza, si stanno esaurendo in modo sempre più intensivo e, con il sempre maggior sovrappopolamento, si avvicinano alla propria fine. Essendo tali fonti il risultato di migliaia di milioni di anni di evoluzione biologica e della lunghissima attività della Terra stessa, non esiste una soluzione tecnica per sostituire tale lunghissima attività della Terra con dei procedimenti abbreviati.

È necessario dire che la Terra è in grado di supportare una popolazione ben più numerosa di quella attuale, ma solo a detrimento delle altre specie animali e vegetali, a detrimento dei prati intatti e delle foreste vergini, a detrimento della solitudine umana e del contatto con la natura. Non c’è una soluzione tecnica che consenta di salvaguardare davvero la vita umana e la vita naturale dell’uomo, se, invece di tre miliardi, saremo in dieci o quaranta miliardi, il numero che i nostri nipoti e pronipoti raggiungeranno.

Mentirei se dicessi che non c’è una soluzione per quaranta miliardi di uomini su questo pianeta. La possibilità c’è. Ma che valore avrà la mia vita se dovrò vivere al 536esimo piano di un grattacielo di una megalopoli, dopo che avranno già abbattuto tutte le piccole case di periferia? Se dovrò respirare ossigeno e bere acqua da certi dispositivi ai piani più bassi o più alti di quel casermone? Se dovrò nutrirmi con certe pillole proteiniche saporite e profumate, ricavate da alghe marine e da microbatteri che vivono dei miei rifiuti organici? A che mi servirà la vita, se dovrò limitarla a una circolazione di sostanze che, attraverso me, circoleranno in questo spazio dove vivo un’esistenza da cosmonauta? Del resto, ammettendo pure che una tale vita possa essere accettabile, che ne sarà dei miei discendenti, quando invece di dieci saranno ottanta miliardi?! In effetti, per questa situazione nessuno finora ha offerto una “soluzione tecnica”.

La realtà è che per questa evoluzione le “soluzioni tecniche”non ci sono, ma esistono in compenso soluzioni sociali. Soluzioni sociali che implicano cambiamenti radicali nel rapporto dell’uomo verso la produzione, lo stile di vita, la conservazione dell’esistenza e della riproduzione biologica, il sistema di valori comunitari e, infine, l’organizzazione sociale; aggiungo che questi cambiamenti non possono avvenire solo a livello locale o nazionale, ma devono essere planetari, poiché le questioni che riguardano la sopravvivenza umana sono imprescindibili, come la stessa Terra sulla quale viviamo.

(….)

La rivoluzione industriale iniziò con slancio prometeico, e ai romantici parve che, con la sua capacità di creare, l’uomo avesse assunto il ruolo di Dio nella natura, — per cui la “fucina del mondo”, nel primo ardore dell’assalto umano alla conquista della natura, con i potenti mezzi messi a disposizione dalla scienza e dall’industria, sembrava sterminata, così come l’impegno umano appariva inesauribile, davvero divino.

Tuttavia, dopo appena un secolo di questo sviluppo, fino allora inaudito nella storia, ecco che l’uomo si è scontrato con i limiti della stessa natura da cui dipende, e con i limiti della sua “capacità di produzione”. Tale “rivoluzione copernicana”, che già alcuni secoli fa lo aveva reso consapevole di vivere su un pianeta periferico di un sistema sconfinato, ora gli ha dimostrato che questo pianeta, in quanto oggetto della sua vitale attività produttiva, è anche limitato, ed è fornito di quantità definite e non inesauribili delle varie materie prime e sostanze nutritive, allo stesso modo di qualsiasi altra navicella spaziale su cui si sia imbarcato per un viaggio eterno. E anzi, che le riserve con le quali si è accinto a quel viaggio si avvicinano all’esaurimento.

Traduzione dal croato dei due frammenti: Alice Parmeggiani Dri