Nel suo ultimo romanzo intitolato "Alma" Federica Manzon ci porta all'interno dell'anima sfaccettata, lacerata e profonda di Trieste, sospesa tra confini sottili che uniscono e dividono mondi diversi ed intrecciati, grazie ad una narrazione articolata e complessa
Alma è un nome femminile che si rifà, come termine poetico, alla parola anima. E c’è tanta anima in Alma, la protagonista che dà il titolo all’ultimo, omonimo romanzo di Federica Manzon, edito da Feltrinelli.
Un romanzo nel quale l’anima triestina dell’autrice emerge potente, anche se la sappiamo nata a Pordenone. Ma Trieste, dove ha studiato e si è laureata, le è entrata tanto dentro non solo da desiderare di tornarci spesso, e ci ritorna da Milano dove vive e lavora, ma da coinvolgere appunto la sua anima tanto da riflettersi nel nome della protagonista.
Alma di Trieste, con tutto ciò che questa città rappresenta, porta aperta sui Balcani dai quali, allentatisi i legami con il mondo mitteleuropeo che l’hanno permeata negli anni dell’Impero Austroungarico, oggi prende linfa.
E già nella persona di Alma convivono queste influenze: i nonni legati alle tradizioni e alla cultura (e anche alla lingua) austriaca, il padre proveniente “di là”, dove a Trieste s’intende d’oltre confine. E quel confine era, dopo la fine dell’impero austroungarico, la Jugoslavia, con tutto ciò che questo paese ormai “ex” significa nella storia della Trieste del Novecento e di questo nuovo millennio.
Significa il confronto con il mondo slavo, innanzitutto, con le sue luci, ma soprattutto con le sue ombre, cominciate quando il fascismo, dagli anni Venti in poi, avrebbe fatto della popolazione che viveva alle spalle del confine orientale una “razza inferiore e barbara”, producendo un conflitto, poi esacerbato negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale da revanscismi che, per dirla con Claudio Magris, seguivano la volontà politica di “azzerare l’impronta secolare di civiltà urbane o rurali ritenute aliene, nell’intento di cancellare radicalmente, col ferro e col fuoco, culture e tradizioni diverse dalle proprie”.
Conflitto che si sarebbe trascinato in pratica per tutto il secolo e oltre, almeno fino all’incontro a Basovizza, mano nella mano dei presidenti italiano e sloveno, Mattarella e Pahor.
Ma Trieste, per la sua vicinanza al confine, anzi, ormai, con il crollo della Jugoslavia e del comunismo, diventati i confini, non ha mai smesso di essere quella porta aperta sui Balcani, da avvertirne i contraccolpi. Un
o fra tutti, quello della guerra interetnica che per quasi cinque anni ha sconvolto l’assetto creato con il nuovo ordine mondiale seguito alla seconda guerra mondiale.
Ecco, “Alma”, il romanzo di Federica Manzon, racconta tutto questo attraversandone la storia, si può dire dall’interno, con alcune figure importanti tra cui l’amato nonno, con il quale è cresciuta. e ma soprattutto il padre, a cui da il ruolo addirittura di un collaboratore stretto di Tito, e che va e viene da Trieste e non di rado la porta, lei bambina, sull’isola di Brioni, nella residenza privatissima e non certo socialista di Tito, che incontra nel suo vestito bianco e “i suoi occhi di vipera”.
C’è poi Vili, un ragazzo di Belgrado che il padre in pratica adotta, salvandolo dalla brutta fine che sicuramente avrebbe fatto dopo essere caduto in disgrazia di fronte a Tito e che crescerà con lei, e di cui lei diventerà amica, sorella, amante, oltre che simbolo – da adulto - del crollo jugoslavo, conducendoci dentro la guerra fratricida, tra i gruppi paramilitari di Arkan e i cadaveri dei nuovi nemici gettati nella Drina.
Il padre da una parte, Vili dall’altra, saranno quindi i testimoni dall’interno di un cinquantennio emblematico che la cinquantatreenne Alma triestina, qui nei due significati, di nome della protagonista e di anima, rappresenta in questo intenso romanzo.
Non mancano altri inserimenti triestini importanti in questo intreccio di storie e di Storia come, ad esempio, la figura di Franco Basaglia e le sue battaglie, a cui si accosta grazie alla figura della madre, collaboratrice e sostenitrice del grande riformatore, per tutto ciò che egli rappresenta nella storia della città.
Così come i tradizionali bagni sulla riviera triestina, tra quelli, liberi di Barcola e quelli storici, che della vita quotidiana triestina fanno parte, oppure la centrale chiesa serbo-ortodossa di San Spiridione, che avrà la sua importanza nel finale, quando l’ultimo incontro con Vili, fattosi latore, dopo la morte del padre di lei, di un suo lascito testamentario, avverrà qui nel giorno della Pasqua serbo-ortodossa.
Con “Alma” Federica Manzon ci ha regalato l’opera della sua maturità di scrittrice, dando mostra di grandi doti nel sapere districarsi, con una narrazione articolata e complessa, nel magma dei tanti materiali che la alimentano.