"...Facciamo l'attacco? La tromba suona la carica, io faccio 1, 2, 3, 4 all'attacco! E finiamo il concerto? Sì? Ok!.."
Bregovic conclude il suo concerto al Teatro Smeraldo di Milano con l'ennesimo coupe de teatre della serata. Attacca e ripete nei bis il suo classico "Kalashnikov" e trasporta con sé l'intera sala in un delirio balcanico difficile da ripetere.
La serata è tutta all'insegna della teatralità di questo gatto da palcoscenico. Si comincia con la sezione fiati della sua band che entra in scena dalla platea e al ritmo di una ballata balcanica prende posto sul palco. Concluso il pezzo introduttivo, ecco un nuovo colpo di scena: tre coriste provenienti da Bulgaria e Macedonia fanno il loro ingresso in abiti tradizionali e intonano il "Pippero", l'oramai nota canzone popolare portata al successo da Elio e le Storie Tese.
Il pubblico risponde con applausi e con sorrisi divertiti e capisce di che pasta sarà fatta la serata.
Subito dopo fa il suo ingresso Ognjen Radajevic, energumeno che si avventa immediatamente sulla grancassa posta al centro del palco e che mena fendenti come un ossesso. E' vestito di nero, ha bicipiti enormi, la testa pelata, uno sguardo truce, ma mostra una sensibilità e una voce inimitabili quando viene chiamato a cantare pezzi dal sapore arabeggiante o a duettare con Bregovic in ballate di rara malinconia.
Dopo qualche minuto di baraonda balcanica in cui fiati, percussioni, fisarmonica e coro delle voci bulgare e macedoni hanno fatto da preludio alla serata, è il momento di Goran Bregovic.
L'artista si presenta al pubblico milanese in abito bianco, timido e sornione come suo solito, saluta il pubblico, si siede al fianco di Ognjen, prende la sua chitarra e comincia il suo show. Il colpo di teatro sta nella normalità con cui Bregovic si presenta, come se fosse uno della platea e non l'artista atteso e acclamato da tutti.
Pezzi nuovi si alternano a pezzi vecchi, motivi da funerale lasciano il posto a grandi classici (perfetta l'esecuzione di Ederlezi, che ha ammutolito l'intero teatro) e a ballate matrimoniali, ma in una serata come questa non è la scaletta a far impazzire il pubblico.
Tutta l'attenzione è concentrata su di lui. Lui che alzando il suo indice dà il via alle canzoni e pare controllare la musica con sguardo e movimenti attenti, mentre ad un passo, sulla sua destra, Ognjen maltratta grancassa, percussioni e accarezza dolcemente fisarmonica e microfono; lui che con il suo vestito bianco e la sua proverbiale zazzera, dà una dimensione umana alla pelata e al vestito nero che contraddistingue il suo compagno di palco; lui che con i suoi movimenti delicati quasi femminili esalta la mascolinità e la ruvidità del percussionista.
Non si muovono mai i due, ma da fermi riescono a rendere dinamico e divertente l'intero spettacolo.
Goran e Ognjen, il bianco e il nero, il bello e il brutto, il delicato e il rude, simboli di una way of life balcanica fondata su contraddizioni palesi ed evidenti.
Le porta sul palco, Goran, le contraddizioni. E lo fa come solo la gente di quel pezzo di Europa sa fare: cucendo addosso ad ogni loro espressione una buona dose di humor. A volte nero, altre volte autoironico, ma sempre e comunque balcanico.
Parla poco con il pubblico, ma quando lo fa, da vecchio marpione del palcoscenico, ammicca e conquista. Parla italiano, ringrazia e si dichiara "felice che le canzoni piacciono".
Ad un certo punto, come un gatto sornione, guardando con gli occhietti furbi si alza in piedi e presentando la sua band dice: "Noi suoniamo ai funerali...a quelli di gente importante questo pezzo...a quelli di gente comune quest'altro...ma ai funerali siamo cari...per metà prezzo suoniamo ai matrimoni!!!".
E il suo dito indice da il via ad una nuova baraonda balcanica.
Che si conclude con l'attacco a suon di "Kalashnikov" e con Bregovic che cavalca dolcemente la sua sedia a ritmo di musica, mentre al suo fianco Ognjen devasta grancassa e piatti rullanti.
Finale perfetto per una serata di alto teatro.
di Vittorio Villa
Val all'intervista a Manu Chao in seguito ad un suo concerto a Sarajevo