Conclusesi le giornate dell'European Social Forum di Firenze è tempo di qualche considerazione, in particolare in merito alle iniziative specifiche sui Balcani. Significative ma non senza qualche lato debole.
L' European Social Forum è stato un successo oltre ogni più rosea aspettativa, la manifestazione del sabato gioiosa, diversa e pacifica; le giornate di incontri nella Fortezza dal Basso intense e seguite da molti, tra i quali tanti i giovani e giovanissimi. Ma riposti slogan e striscioni, ed amareggiati dal recente arresto di 20 disobbedienti, è tempo di fare qualche considerazione. In particolare sul nostro campo specifico, e cioè su come i Balcani sono stati presenti a Firenze, anche e soprattutto partendo dalle iniziative promosse in prima persona dall'Osservatorio.
Innanzitutto un successo. L'arrivo del pullman di attivisti dai Balcani non era per niente scontato. Eppure soprattutto grazie all'ingente sforzo organizzativo dell'ICS tutto si è svolto senza problemi nonostante lunghe soste alle frontiere, in particolare a quella italiana, durante le quali i passeggeri del pullman sono stati controllati uno ad uno mentre al loro fianco passavano rapidamente i pullman che effettuavano un "normale" trasporto passeggeri.
Salvo alcune eccezioni - rappresentate ad esempio da alcuni collaboratori dell'Osservatorio stesso, presenti in Italia per un incontro di lavoro della redazione, e dall'arrivo a Firenze di un'ampia delegazione greca - il gruppo del "Balkan bus" era tra le poche presenze organizzate provenienti dai Balcani.
Durante i giorni di lavoro della Fortezza dal Basso i "passeggeri" si sono poi "disciolti" nella folla che visitava gli stand, che seguiva le conferenze, che partecipava ai dibattiti. E' stata quindi una presenza significativa ma poco visibile. Soprattutto utile per gli stimoli che ciascuno dei presenti ha potuto riportare nelle propria realtà.
I momenti nei quali il confronto tra queste persone da privato - all'interno del pullman durante il viaggio, nella scuola del comune di Pontassieve, dove quasi tutti alloggiavano - sarebbe potuto divenire pubblico, sono stati però carenti. In parte per la tipologia di organizzazione che caratterizzava tutti gli incontri alla Fortezza dal Basso: aule molto affollate, numerosi i relatori, ciascuno con a disposizione pochi minuti e spesso con la necessità di traduzioni in più lingue. In parte anche per l'incapacità stessa dei promotori degli incontri specifici sui Balcani da una parte di far emergere contenuti nuovi, dall'altra di abbandonare un approccio che rischia, nonostante gli sforzi che sono stati fatti per camminare nella direzione contraria, di limitarsi alla nostra "visione in Italia di come sono i Balcani".
La prima questione ha, salvo poche eccezioni, caratterizzato il primo incontro tenutosi il giovedì pomeriggio dal titolo "Balcani specchio dell'Europa: guerra-pace, nazionalismi-frontiere". Alcuni interventi sono stati interessanti. Tra questi quello della giornalista di Le Monde Diplomatique Catherine Samary che ha fornito uno sguardo sui Balcani se non del tutto originale sicuramente attento ed approfondito. Molti degli altri relatori sono invece finiti nella rete di argomentazioni retoriche vecchie e prigionieri della teoria di una crisi che sarebbe stata "importata" nei Balcani dall'esterno, teoria che purtroppo è stata un cavallo di battaglia dello stesso Milosevic ...
Ma anche l'incontro del giorno successivo, che voleva essere un secondo momento, dopo quello di Sarajevo, nel quale promuovere in modo energico l'idea di una rete eurobalcanica a sostegno di un' "Europa dal basso" declinandola tra l'altro in modo concreto attraverso il sostegno di una campagna già partita nei Balcani contro i visti per i cittadini del sud est Europa, è purtroppo stato carente sotto alcuni punti di vista. Innanzitutto era abbastanza evidente la scarsa partecipazione proprio di rappresentanti di associazioni e gruppi provenienti dai Balcani. Questo se da una parte è dovuto ad una limitata presenza al movimento dei Social Forum dei gruppi e delle associazioni del sud est Europa è forse anche da addebitarsi ad un'idea di "Europe from Below" nata e sviluppatisi prima ancora che nei Balcani in Italia e poi a non sufficienti sforzi per condividere il progetto al di là dell'Adriatico.
Scarsa partecipazione che è ancor più grave se si considera che le tematiche affrontate sono senza dubbio care a molti, sia in Italia che nel sud est Europa. Tra queste quella della piena integrazione dei Balcani in Europa, dalla quale, anche se se ne inizia a parlare, si rimane ancora molto lontani. Se si esclude infatti la Slovenia, e per alcuni aspetti la Croazia, gli altri Paesi della ex-Jugoslavia sono a tutt'oggi lontanissimi dall'Unione europea. Basti pensare che per un bosniaco, per un macedone o per un serbo il visto Schengen è quasi un miraggio. Mentre non lo è più per un polacco, un bulgaro o un rumeno.
L'interesse attorno a queste iniziative è molto. E' significativo che molti comuni ed enti locali, seppur impossibilitati a mandare i loro rappresentanti alla conferenza a Firenze, hanno comunque inviato all'Osservatorio lettere di adesione all'iniziativa. Tra questi il Comune di Venezia, che lo ha fatto direttamente per voce del suo sindaco Paolo Costa, il Comune di Trento e la Provincia di Lodi. Proprio per questo motivo "Europe from Below", alla luce di quanto emerso all'European Social forum, ha bisogno di ripensarsi immediatamente. Non perché si stia percorrendo la strada sbagliata ma forse perché la si sta percorrendo nel modo sbagliato.
Proprio per sfruttare appieno la risorsa in termini di stimolo del dibattito interno al mondo della società civile che lavora e collabora con i Balcani, che l'Osservatorio cerca di rappresentare, vi invitiamo ad inviare eventuali contributi critici in merito all'iniziativa "Europe from Below".