Nessun film nella selezione ufficiale proveniente dai Balcani. C'è però "Fallen - Cadendo", della regista austriaca Barbara Albert, che ha molto a che fare con l'Europa del Sudest
Di Nicola Falcinella e Francesca Felletti
Balcani assenti come non mai dalla 63° Mostra del cinema di Venezia da poco conclusa con la vittoria del simbolico "Still Life" del cinese Jia ZhangKe. Nessun film nella selezione ufficiale, se si esclude un'animazione ungherese ("Levelek - Lettere" di Ferenc Cako che senza parole suggerisce l'allontanamento di una coppia) nel concorso cortometraggi.
Solo la 21 ° "Settimana della critica", sezione parallela curata dal Sindacato critici cinematografici italiani, ha selezionato, fra 7 opere prime provenienti da tutto il mondo (Cina, Argentina, Polonia, Usa, Francia e Canada) l'ungherese "Egyetleneim - Le mie uniche e sole" di Gyula Nemes. Un film d'esordio realizzato da un giovane cineasta che ha studiato alla prestigiosa Famu di Praga e ambientato in una Budapest riconoscibilissima, fra l'isola Magherita, i ponti sul Danubio, la stazione, Pest... Un film libero, con momenti di virtuosismo tecnico con piani sequenza incredibili e un montaggio dal ritmo travolgente, senza un filo narrativo se non un amore al capolinea e le "imprese" sentimental-sessuali del protagonista, alla conquista di tutte le ragazze che incontra. Il tutto sostenuto da una musica elettronica anche eccessivamente presente. Però il giovane regista riesce ad andare oltre l'esercizio stilistico e catturare in diversi momenti lo spettatore.
Ha molto a che fare con l'Europa del Sudest pur essendo austriaca, Barbara Albert. In Bosnia ha girato più di un documentario, ma soprattutto ha coprodotto "Grbavica" di Jasmila Zbanic e ha fatto da consulente per "Das Fräulein" di Andrea Staka. La regista austriaca (con Danièle Huillet e Giovanna Gagliardo, le uniche registe donne a Venezia 63) racconta in "Fallen - Cadendo", già nelle sale italiane, una storia declinata interamente al femminile. L'attrice, la detenuta in libertà vigilata, l'ammalata, l'idealista, la donna incinta.
Come nel "Grande freddo", cinque ex compagne di classe si ritrovano al funerale del loro professore di fisica. Inizialmente i rapporti fra loro sono arrugginiti ma la voglia di ritrovarsi le spinge a trascorrere 24 ore insieme. Tornano a vedere la loro scuola, capitano alla festa di matrimonio dell'ex di una di loro, vanno a ballare in discoteca, dormono qualche ora sotto lo stesso tetto, iniziano mano nella mano il nuovo giorno che le porterà, forse, a separarsi di nuovo. Predominano l'amarezza, la delusione, la solitudine. Il nero degli abiti funebri inghiotte il bianco del velo della sposa, presto bruciato su un falò.
Ognuna ha un bagaglio di dolore inguaribile, di ferite ancora aperte: la relazione con il professore, un figlio senza padre, una figlia allontanata dal tribunale, un rapporto lesbico quasi dimenticato, un grande amore mai dimenticato. Solo nel vento della radura dove da ragazzine sognavano di costruire una casa-comune, possono sentirsi libere di abbandonarsi a un attimo di serenità. "Fallen" è un film che non lascia spazio a illusioni, a ruffianerie o a un happy ending che conquistino il pubblico. Le situazioni non sono mai spiegate ma suggerite, eppure tutto vive di una verità in cui è difficile non immedesimarsi. Forse aveva ragione Fabrizio De André cantando "dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori" perché il coraggio e la voglia di continuare ad andare avanti, nonostante tutto, di queste cinque donne fa pensare.