Un commento, a partire dall'incidente di percorso durante la trasmissione di Bruno Vespa dedicata al Giorno del ricordo dove, in una didascalia di una foto mostrata, si sono scambiate le vittime per aguzzini. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Ha ragione chi, come Ilaria Rocchi sulla Voce del Popolo, giudica la puntata di Porta a porta dedicata all'esodo e alle foibe con la "gaffe" (gaffe?) fotografica di Bruno Vespa, un'ennesima occasione perduta per dare al Giorno del Ricordo un format più credibile, più aderente alla realtà storica, sociale, culturale e geografica di queste complesse terre.
Fermo restando che una giornata del ricordo puntata tutta sulle tragedie umane degli italiani nell'ex Jugoslavia nel dopoguerra sia da impostare come hanno fatto i suoi promotori, cioè con l'intento mal celato di associare il ricordo dell'esodo e delle foibe alla shoah e all'olocausto. E qui c'è stato sin dall'inizio un grosso, chiamiamolo pure "malinteso", che poi man mano è stato montato come la panna per far credere che anche l'Italia avesse vissuto e sofferto la propria shoah nelle terre adriatiche orientali. E che quindi l'Italia non solo avesse espiato del tutto le colpe del ventennio fascista e delle occupazioni militari volute da Mussolini, ma si fosse trasformata persino in una delle maggiori vittime delle Seconda guerra mondiale.
Mossa da furbetti che però non fa onore a chi, parlando in nome delle vittime delle persecuzioni - e queste in Istria, a Fiume e Dalmazia ci sono state, eccome! - vorrebbe che il ricordo si focalizzasse solo o prevalentemente sui drammi successivi al 1945.
Sono d'accordo con chi sostiene che un'angheria avvenuta prima non giustifica in alcun modo un'angheria nel dopo. La vendetta fa a pugni con la cultura dei diritti umani. Ma è dannoso soprattutto insistere sul "malinteso", ovvero su una manipolazione della storia viziata ideologicamente e nazionalisticamente.
Se il presidente Giorgio Napolitano ebbe qualche anno fa il coraggio e la dignità di fare un passo indietro rispetto a certe frasi infuocate sull'espansionismo slavo cui aveva risposto, con altrettanto fuoco, l'allora presidente croato Stjepan Mesić, e di riferirsi, da lì in poi, al dramma dell'esodo e delle foibe con una contestualizzazione storica più corretta, ci aspetteremmo dalla RAI e dai costruttori di memoria storica un minimo di decenza.
E qui non condivido l'opinione di chi giudica le reazioni all'uso indebito di una foto simbolo della repressione fascista solo una scontata "maretta". Non è la prima volta (e temo che non sia nemmeno l'ultima) che i diffusori di memoria storica fanno uso di manipolazioni mediatiche per confondere i cuori e le menti degli italiani già confusi nel gestire la propria memoria storica, il tricolore, l'unità nazionale e sempre più indaffarati a capire che cosa sta succedendo con il loro Paese ora.
Francamente penso che il sobrio Mario Monti non abbia bisogno di miti nazionalistici e di riletture storiche alla panna montata. Il fatto poi che Bruno Vespa, intoccabile stella del firmamento RAI, si sia permesso un errore come quello di presentare una foto, in cui soldati italiani fucilano dei civili sloveni, come prova visiva della repressione anti-italiana in Jugoslavia, denota qualcosa che va al di là della sola ignoranza e della scarsa professionalità giornalistica del mostro sacro. Denota soprattutto l'arroganza e la sufficienza di chi non è stato mai chiamato seriamente a rendere conto delle malefatte del fascismo. Di chi non è mai stato a Norimberga, di chi crede nell'inviolabilità assoluta del mito degli "italiani brava gente" e non immagina che la guerra sia stata ben altra cosa; anche nei Balcani, dalla Grecia alla Slovenia.
Come ricordare allora le vittime delle foibe e dell'esodo? Innanzitutto non confondendo questi due fenomeni storici con troppa leggerezza. Se l'esodo - da non confondere nemmeno con l'espulsione o i pogrom - è stato anche una sofisticata forma di pulizia etnica, alimentata in verità non solo dalla parte con maggior responsabilità, quella jugoslava, le foibe sono state una tragedia trasversale, più ideologica che etnica.
Di foibe la Slovenia è piena, in esse ci sono i poveri resti di migliaia di giustiziati sommariamente. Le nazionalità di quei resti sono diverse, ma è indubbio che le vittime erano in maggior parte slovene. La violenza, la vendetta, la giustizia sommaria che seguirono la liberazione lasciò una scia di sangue, spesso innocente, in Slovenia come altrove.
Due anni fa avanzai, quale deputato al parlamento sloveno, la proposta di continuare il lavoro di ricerca avviato dalla commissione storica mista italo-slovena la cui relazione era stata pubblicata da una parte e messa in fondo ad un cassetto dall'altra.
Proposi allora che la ricerca si armasse di coraggio e onestà e andasse fino in fondo in modo da confermare o sfatare le mitologie che in queste terre hanno messo radici troppo solenni e spesso hanno fomentato l'odio interetnico. Non sarebbe ora – oggi che le tecnologie lo consentono senza ampi margini di errore - di sollevare qualche marmo e offrire agli esperti, storici ma anche forensi, l'occasione di riesumare e verificare? A Basovizza come altrove. Si sa, proposte come queste suscitano sempre forti reazioni e indignate condanne il che ricorda un certo fondamentalismo a difesa dei sacri e intoccabili tabù.
Ma con la verità storica come la mettiamo? La vogliamo veramente o la preferiamo seppellita e osannata solo con l'incenso dei miti?