Renato Kisito Sesana è padre comboniano e missionario. In questo articolo riflette su cosa sia stata la cooperazione allo sviluppo in Africa in questi ultimi anni e sul difficile rapporto tra ONG e Governi. Un'analisi che va oltre il contesto africano.Pubblichiamo un intervento di Renato Kisito Sesana, padre comboniano, missionario ed autore di numerosi articoli per la rivista Nigrizia. L'articolo non è stato redatto in modo specifico per il forum cooperazione, promosso in questi mesi all'Osservatorio, ma lo riteniamo interessante e stringente rispetto alle tematiche sollevate dai precedenti interventi.L'analisi di Renato Kisito Sesana inoltre è stata stimolata dalla conoscenza approfondita del contesto africano, mondo sotto alcuni aspetti "lontano" e "diverso" rispetto all'area del sud est Europa, ma, come si vedrà durante la lettura, non per questo i Balcani vengono dimenticati.
Ricordiamo che per intervenire al forum di discussione basta inviare i testi all'indirizzo: segreteria@osservatoriobalcani.org.

15/01/2002 -  Anonymous User

Tempo di autocritica per le organizzazioni non governative (ong) di ispirazione cristiana: Tony Waux, che ha lavorato per oltre vent'anni come manager di Oxfam, forse la più grande ong cattolica inglese, ha dato l'esempio. Nel suo libro The Selfish Altruist pubblicato pochi mesi fa, Waux sostiene che la risposta delle agenzie umanitarie alle situazioni di emergenza è spesso alimentata da una poco cristiana volontà di potere. La preoccupazione di aiutare le persone in difficoltà passain secondo piano rispetto a pregiudizi ideologici, alla necessità di raccogliere fondi, alla promozione della propria immagine e perfino ad una buona dose di razzismo. Così che, scrive Waux, "il desiderio di aiutare troppo facilmente diventa desiderio di potere".

Braccio umanitario della Nato

Il problema più grave però è che le agenzie umanitarie sono diventate troppo dipendenti dai loro governi. Spesso capita che un governo mandi sul posto di un disastro umanitario un team che valuta un possibile intervento e poi lancia un appalto fra le ong perché lo realizzino. Così, sostiene Waux, è accaduto in Kossovo, dove l'aiuto umanitario è stato condizionato dalla richieste dei politici al punto che "non ci siamo comportati imparzialmente ma come se fossimo parte integrante della Nato".
Le ong hanno una missione difficile. I governi dei paesi di origine finanziano le loro operazioni in proporzioni sempre più alte ed inevitabilmente le vogliono controllare politicamente. La classe politica dei paesi poveri in cui operano cerca di asservirle ai
propri interessi, con notevole successo. Alla fine coloro che dovrebbero avere più voce circa la gestione dei fondi, cioè i donatori privati dei paesi ricchi e i poveri che dovrebbero beneficiare degli interventi e dei progetti, finiscono per essere quelli checontano di meno.
Per anni abbiamo sostenuto che per cambiare le ingiustizie di un sistema mondiale che favorisce i ricchi è importante che le ong invece di fare solo interventi di emergenza o di sviluppo nei paesi poveri si devono impegnare per il cambiamento delle strutture ingiuste del mondo sviluppato, con strumenti come la banca etica, il commercio equo e solidale, il consumo critico e la pressione politica.
Pare che adesso sia venuto il tempo di dire che le ong devono cambiare anche il loro modo di agire in Africa, riproponendo anche qui l'esperienza di coscientizzazione che hanno fatto nel mondo ricco. Non solo emergenza e sviluppo, ma anche e sempre più
sensibilizzazione, educazione civica, diritti umani, pressione politica.
Magari simili azioni causerebbero la perdita dei finanziamenti dei governi che usano le ong come braccio della loro politica internazionale, e perfino farebbero correre il rischio di farsi espellere da paesi a "regime forte", che in Africa non sono pochi. Ma nonmuoversi decisamente verso una presenza più incisiva vorrebbe dire diventare irrilevanti.
Perché il cambiamento di rotta verso un'azione più incarnata nella società locale sia evidente, Ian Linden sul Tablet, in un articolo intitolato "Crisi di identità", appoggia l'idea che le ong devono cambiare il nome in osc: organizzazioni della società civile. I nomi hanno la loro importanza. In questo caso significherebbe una chiara scelta di campo.
Certamente le ong, per lo meno molte di esse, devono uscire dall'equivoco di andare a Genova a manifestare contro il G8 e comportarsi in Kenya, per esempio, in modi che favoriscono la corruzione e l'irresponsabilità dei politici e dei burocrati locali.
È una nuova strada da aprire, e su questa strada le osc cristiane hanno la speciale vocazione di mantenere viva la speranza, anche usando un linguaggio adeguato. Certi discorsi seri sul capitalismo globale sono spesso più oppressivi delle strutture che descrivono. Quando si è finito di leggerli ci si sente ancor più schiacciati dal peso del male. Noi crediamo in un mondo redento dal Signore e questa convinzione siamo chiamati non solo a viverla, ma a renderla visibile con le nostre azioni e le nostre parole.

Renato Kisito Sesana