Una serata organizzata dall'Osservatorio sui Balcani in collaborazione con IDP. L'appuntamento è per martedì 25 giugno a Milano, Circolo della Stampa (Palazzo Serbelloni, Sala Seconda, Corso Venezia 16), alle ore 21.00.
In Kossovo, poco dopo i bombardamenti NATO, nell'autunno del 1999 si poteva leggere sui muri delle case sventrate "Srbjia do Tokia" (la Serbia fino a Tokjo). Scritto rigorosamente in cirillico, era un inno alla grande Serbia reso - forse involontariamente - famoso da "Lepa sela lepo gore" (come bruciano bene i bei villaggi), film denuncia di un regista serbo, Srdjan Dragojevic, sulla guerra in Bosnia. La guerra che cita se stessa, che si ripete inesorabile attraverso la intima e fondamentale mediazione dei mezzi di comunicazione, tant'è che si potrebbe affermare che le nuove guerre tanto nuove non sarebbero senza i media.
Scrive ad esempio Nicole Janigro: "La presenza dei media è diventata un fattore costitutivo delle 'nuove guerre', i media salvano vite umane, provocano ulteriori conflitti nel gioco di specchi tra news locali e internazionali, tra la storia e la sua memoria.Il giornalista è uno strano soldato, meno spia e più testimone dell'orrore" . "La televisione non ha certo inventato la guerra - nota a sua volta Ennio Remondino - ma ne è diventata ormai la sublimazione, lo strumento indispensabile per confermare o distruggere le ragioni stesse di un conflitto, per esaltarne valori (o bugie) etici e umanitari, per enfatizzare un atto esemplare" .
E la guerra si fa umanitaria, necessaria, legittima difesa davanti ad obiettivi e tastiere di computer che riescono a riempire gli animi di sentimenti tanto forti quanto biodegradabili a tempo di record. E adesso? Che ne è ad esempio dei media nei Balcani di oggi? Che ne è dei molti e silenziosi dopoguerra (o non-guerra) nei media? Il Feral Tribune, voce da sempre e coraggiosamente critica contro l'establishment di Franjo Tudjman in Croazia, è al limite del fallimento economico; in Macedonia i giornalisti cercano di resistere contro intimidazioni sempre più forti; in Bosnia la guerra è ancora nelle teste di tutti. "La censura?" ci raccontava un giornalista di Mostar "no, non serve più. La guerra l'ha fatta entrare dentro di noi. Oramai si rinuncia a scrivere certe cose".
Quando non ci sono più morti e violenze da raccontare sembra che una mano prema sull'interruttore dei televisori, abbassi i volumi, tolga questi paesi dalle pagine dei giornali. Improvvisamente situazioni 'così vicine' divengono 'così lontane'.
Alle prime elezioni politiche in Kossovo i giornali 'più attenti' non hanno dedicato che qualche riga. L'Afghanistan, che per mesi ha accompagnato in modo totalizzante le nostre giornate, è sparito improvvisamente con la stessa rapidità con cui era entrato nelle nostre vite. O anche il conflitto tra Israeliani e Palestinesi è un continuo oscillare tra voyerismo e indifferenza, come potrà raccontarci Mimmo Lombezzi, appena tornato da un luogo simbolo quale Jenin. E allora come invertire la rotta? Come fare informazione nel tempo della 'non guerra'?
Informazioni Senza Frontiere ha pubblicato da poco un Rapporto sullo stato dell'informazione in ex Jugoslavia negli ultimi dieci anni, con interventi di numerosi giornalisti locali. L'Agenzia della Democrazia Locale a Zavidovici, in Bosnia Erzegovina - sostenuta da volontari di Brescia, Cremona ed Alba - ha appena concluso il progetto della Scuola di giornalismo del Cantone Zenica-Doboj.
Due piccole esperienze, due ipotesi di lavoro forse. PROGRAMMA DELLA SERATA