Pubblichiamo un'inchiesta di Misa Brkic apparsa sul settimanale Vreme, tradotta da A. Ferrario e pubblicata su Internazionale. Commissioni, conti segreti, tangenti. Una cosa è certa: la vendita della Telekom è stata una boccata d'ossigeno per Milosevic.
Non compreremo nemmeno una fabbrica serba, perché le condizioni politiche ed economiche del vostro paese non lo consentono ancora", ha dichiarato il 28 settembre scorso il direttore per l'Europa dell'est della Barilla, Fabio Fabris, alla fine di una presentazione della sua azienda a Belgrado.
La prudenza della Barilla è sicuramente dovuta a un'attenta valutazione dei rischi di investimento in Serbia, ma probabilmente anche all'esperienza su questo mercato di un'altra grande azienda italiana, Telecom Italia, che sei anni fa ha comprato una quota della società di telecomunicazioni serba. Proprio nel momento in cui la Barilla presentava il suo programma di produzione, a Belgrado arrivava il deputato italiano Enzo Trantino. Trantino guida la commissione parlamentare che indaga sugli scandali per corruzione che hanno coinvolto ambienti politici e finanziari italiani dopo la vendita di Telekom Serbia nel 1997. Cioè in un'epoca in cui - come direbbe il manager della Barilla - "in Jugoslavia le condizioni politiche ed economiche" non erano adatte a un'operazione simile.
Con l'arrivo a Belgrado dei parlamentari italiani, lo scandalo Telekom è tornato nuovamente in primo piano. Il ministro della giustizia serbo, Vladan Batic, ha aggiunto un po' di pepe alla minestra dell'informazione annunciando, al ritorno dall'Aja, che il procuratore capo del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia, Carla Del Ponte, ha finalmente messo le mani sulle prove degli illeciti finanziari di Milosevic, inclusi, naturalmente, gli aspetti poco chiari della vendita della Telekom. Ma per ora non si vedono ancora tracce concrete delle spericolate manovre economiche di Milosevic. Dal luglio 1997, quando il 49 per cento di Telekom Serbia è stato venduto all'italiana Stet (29 per cento) e alla greca Ote (20 per cento), non si sono dissipati i dubbi che alcuni singoli attori italiani e alcuni serbi si siano arricchiti grazie a questo affare del valore di oltre 1,5 miliardi di marchi (circa 900 milioni di euro). L'unica indagine seria finora avviata è quella in corso in Italia, anche se secondo molti osservatori si sta svolgendo sulla base di interessi di partito e nel contesto di un'aspra lotta politica.
A Belgrado
In Serbia non ci sono state indagini serie sull'operazione. A quanto si sa, il sindacato della Telekom ha cercato di entrare in possesso di alcune prove; il Comitato per la lotta alla corruzione ha annunciato un'ambiziosa indagine sulla vendita della Telekom; e il ministro della difesa Boris Tadic (in passato ministro delle telecomunicazioni) ha dichiarato il 27 settembre di essersi impegnato, a livello personale, a raccogliere dati "provenienti da ogni parte coinvolta: dalla polizia fino all'Ispettorato delle telecomunicazioni". Sarebbe tuttavia molto interessante una testimonianza pubblica di fronte a una commissione serba (possibilmente parlamentare) di Miodrag Kostic. Subito dopo la rivolta del 2000 - quando è stato deposto Milosevic - Kostic ha avuto dal premier serbo Zoran Djindjic, suo intimo amico, il compito di ascoltare Milan Beko, ministro delle privatizzazioni nel 1997 ed ex direttore dell'industria Zastava. L'audizione c'è stata, ma non si sa cosa abbia raccontato Beko e quali documenti abbia reso disponibili a Kostic e, attraverso di lui, al premier Djindjic. E non si sa nemmeno se l'intera faccenda è stata chiusa perché tutto risultava essere regolare o per altri motivi.
Non è un caso che il 26 settembre, dopo le audizioni di fronte alla commissione parlamentare italiana sul caso Telekom in trasferta a Belgrado, Borka Vucic, donna d'affari definita a suo tempo la "banchiera di Milosevic", abbia dichiarato ai media belgradesi che il testimone più interessante è sicuramente Beko, "l'uomo chiave nelle trattative per la vendita della Telekom". Non tutti lo sanno, ma Beko aveva già testimoniato di fronte ai giudici italiani. Insieme a lui, in Italia erano stati ascoltati anche alcuni ex funzionari della Telekom.
Tra i testimoni che la commissione italiana ha ascoltato a Belgrado ci sono alcuni dei nomi più noti del mondo degli affari serbo, ma anche politici vicini a Milosevic o dell'ex opposizione. La scelta di Borka Vucic come primo testimone nelle indagini della commissione parlamentare italiana evidentemente non è casuale, visto che si tratta di una banchiera di grosso calibro ed è un'enciclopedia vivente sulle appropriazioni indebite di Milosevic. Ma dopo la sua audizione, i giornalisti e l'opinione pubblica serba hanno fatto fatica a capire l'euforica soddisfazione del parlamentare Enrico Nan per le "informazioni di eccezionale importanza" date dalla Vucic. Le informazioni infatti si limitano alla constatazione che la vendita di Telekom Serbia è stata un'importante iniezione finanziaria per il regime di Milosevic, un fatto che qui è noto a tutti. Nessuno, però, è rimasto indifferente all'interessante dettaglio reso pubblico dal deputato Giuseppe Bonfiglio, secondo cui Borka Vucic afferma di non ricordare di essere stata a Roma due giorni dopo la vendita della Telekom Serbia (cioè l'11 giugno 1997) e di avere "speso" 480 milioni di marchi tedeschi per pagare "alcune società".
Dalla Svizzera a Cipro
Una fonte ha confermato invece la notizia del soggiorno di Borka Vucic a Roma e delle operazioni finanziarie che ha concluso in quell'occasione. In particolare, due giorni dopo la firma del contratto per la vendita di Telekom Serbia, sul conto del Fondo per lo sviluppo della Serbia aperto presso la Beogradska Banka di Cipro c'erano 1.213.425.630 marchi tedeschi in contanti e altri 323 milioni di marchi in titoli di credito emessi dalla banca svizzera Ubs e dalla Banca nazionale di Grecia. Complessivamente, quindi, 1.536.425.630 marchi. Secondo Borka Vucic una parte dei soldi doveva essere smistata, una parte nascosta e un'altra ancora investita. Proprio durante il suo soggiorno a Roma Borka Vucic ha concluso queste operazioni. L'altra manovra spericolata alla quale la Vucic ha preso parte nella capitale italiana, sull'onda del successo ottenuto nella vendita della Telekom, è stata quella delle trattative per un ingente investimento nell'acciaieria Sartid di Smederevo, la più grande della Serbia. Per questa operazione ha svolto un'importante opera di lobbying l'allora ambasciatore jugoslavo presso la Santa Sede Dojcilo Maslovaric. I motivi per cui questo affare non è stato concluso verranno probabilmente chiariti da una nuova commissione.
Erano comunque gli atti finali del grande affare, e gli uomini di fiducia del padrone della Jugoslavia stavano già distribuendo il denaro per colmare i buchi dell'ormai vacillante impero di Milosevic. Eppure solo tre giorni prima, l'8 giugno 1997, era sembrato che l'intero affare stesse per sfumare. La persona incaricata di far fallire l'affare del secolo (con l'approvazione di Milosevic) era proprio il principale responsabile delle trattative, Milan Beko, che all'ultimo momento aveva deciso di cambiare la banca sulla quale l'acquirente italiano Stet International (filiale olandese della Telecom Italia) avrebbe dovuto versare il denaro.
Dopo avere avuto dalla banca svizzera Ubs la conferma che secondo le norme vigenti questa banca non avrebbe potuto garantire l'inviolabilità dei 683,9 milioni di marchi che la Stet avrebbe dovuto pagare (allora erano ancora in vigore le sanzioni contro la Serbia), Beko ha deciso di chiedere il versamento della somma su una piccola e semisconosciuta banca greca, la European Popular Bank. La piccola banca ellenica sarebbe stata raccomandata a Milan Beko dall'allora governatore della Banca nazionale di Grecia.
La richiesta perentoria di Beko sulla nuova destinazione bancaria ha costretto a un dietro front il direttore di Telecom Italia, che era appena arrivato a Belgrado per firmare il contratto di compravendita. E così è cominciata subito una frenetica opera di lobbying via telefono, nella quale il più abile di tutti, nelle due ore successive, è stato l'ambasciatore Maslovaric. Solo quando Milan Beko ha confermato di essere in possesso di un documento che confermava il grosso rischio insito nel depositare fondi serbi in banche dell'Europa occidentale, il direttore di Telecom Italia ha accettato di versare i soldi presso la greca European Popular Bank. Il 10 giugno 1997 questa banca ha dato conferma che sul conto della Beogradska Banka a Cipro "giacevano" due versamenti: quello della Stet - di 683.972.454 milioni di marchi - e quello della Ote - di 529.453.176 milioni di marchi. Per fugare ogni dubbio sulla "distribuzione dei soldi" - alla quale hanno provveduto Milan Beko da Atene e Borka Vucic da Roma - bisogna spiegare che Beko era stato incaricato di un cosiddetto compito primario: trasferire i soldi provenienti dalla vendita della Telekom sul conto del Fondo per lo sviluppo della Serbia, che era stato aperto presso la filiale di Cipro della Beogradska Banka. Quando i soldi sono arrivati su questo conto, Borka Vucic ha provveduto a una nuova parziale distribuzione, nascondendo una parte dei fondi e investendone un'altra parte.
Il giorno della firma del contratto di vendita, Milan Beko era andato ad Atene con un aereo del governo della Serbia con un solo piccolo pezzo di carta in tasca. Su questo pezzo di carta c'era l'elenco dei conti sui quali doveva essere distribuito il denaro proveniente dalla vendita della Telekom. E nelle sue orecchie risuonavano ancora le parole confortanti dell'allora capo dei servizi segreti jugoslavi, Jovica Stanisic (oggi processato all'Aja per crimini di guerra), che gli diceva di non preoccuparsi per la propria sicurezza, perché ad Atene c'erano più agenti serbi che greci.
Già durante le trattative per la vendita di Telekom Serbia Beko si era lamentato con Stanisic del fatto che intorno a casa sua si aggirava un camion-spia con antenna satellitare. Ma il capo dei servizi segreti gli aveva spiegato che non si trattava di agenti jugoslavi, e che almeno altri cinque servizi segreti ascoltavano "in diretta" le trattative.
Il giorno dopo la firma del contratto Milan Beko stava già lavorando ad Atene e non si trovava (come invece scrive la Repubblica) al ricevimento organizzato da Milosevic per celebrare la chiusura dell'affare. Durante il ricevimento, l'ex padrone della Jugoslavia si sarebbe lamentato con i presenti del fatto che il 3 per cento incassato dai "mafiosi italiani" era una somma davvero esagerata. Persone bene informate sul caso della vendita di Telekom Serbia oggi affermano che questa versione di un colloquio tra Milosevic e Beko durante il ricevimento è stata una "aggiunta creativa" dell'ambasciatore Dojcilo Maslovaric, e che Milosevic si sarebbe in realtà lamentato solo dell'ingente commissione pagata dalla parte serba alla società di consulenza britannica Natwest. Maslovaric, evidentemente, ha "condito" la storia in modo da far sapere all'opinione pubblica italiana che qualcuno nella penisola si era "ingrassato" grazie a una tangente.
Abbiamo chiesto a una delle persone del team serbo che ha condotto le trattative (e che ha voluto rimanere anonimo) se Milosevic avesse intascato parte della tangente, e ci è stato risposto con un'altra domanda: "Ma pensate proprio che Milosevic avrebbe rischiato di spartire con qualche italiano una tangente di, diciamo, 50 milioni di marchi quando, grazie ai suoi uomini nelle dogane e nei servizi segreti, controllava l'intero mercato del contrabbando di sigarette, con il quale una somma simile può essere realizzata nel giro di una settimana?". Naturalmente anche al nostro interlocutore era chiaro che si trattava di una risposta non del tutto soddisfacente, vista la nota avidità dei membri della famiglia Milosevic.
Creatività balcanica
In tutti questi anni l'opinione pubblica, la giustizia e i politici italiani si sono preoccupati esclusivamente di sapere se per il 29 per cento di Telekom Serbia è stato pagato un prezzo troppo alto e se ci sono state tangenti. Se scopriranno che la somma pagata è stata eccessiva, sarà chiaro a tutti che qualcuno degli italiani ha accettato il prezzo solo perché così sarebbe proporzionalmente aumentata anche la tangente che se ne ricavava. Il sospetto fondato che per la Telekom sia stata pagata una somma eccessiva viene alimentato da un dettaglio a prima vista secondario delle prime fasi delle trattative. Si racconta che a un dato momento Milan Beko - senza motivi evidenti e senza che ciò corrispondesse alle stime degli esperti italiani - abbia comunicato che per la quota del 29 per cento della Telekom veniva chiesta una somma di cento milioni di marchi superiore rispetto a quella precedentemente offerta. Va detto che non si tratta affatto di una piccola somma, perché quei cento milioni di marchi rappresentavano circa il 7 per cento del prezzo allora offerto.
Regola del gioco
Quando la parte italiana ha chiesto perché il prezzo era salito, Beko ha risposto come se niente fosse che i greci entravano a far parte dell'affare e che per questo il prezzo aumentava. Di fronte a questo "argomento" gli italiani, senza dire una parola, hanno accettato di pagare cento milioni di marchi in più. Se questo significa che per qualcuno la tangente sarebbe percentualmente aumentata, è cosa che deve essere spiegata dalla magistratura italiana. Fin dall'inizio della privatizzazione di Telekom Serbia è stata effettuata una mossa strategica che in seguito ha consentito varie operazioni, compreso l'incasso di commissioni e tangenti. Chi ha suggerito a Milosevic di evitare il ricorso a un'asta pubblica internazionale e di andare invece a un accordo diretto, sapeva infatti che le tangenti sarebbero state un elemento inevitabile nelle trattative. Lo sapevano probabilmente anche i partner italiani, che hanno accettato questa regola del gioco. Tutto quello che è venuto dopo è stato solo una "interpretazione creativa" di regole precedentemente stabilite. Con un'asta internazionale questa "creatività" sarebbe stata ridotta al minimo.
L'opinione pubblica italiana si chiede ormai da tempo chi sono, e che ruolo hanno avuto in questo scandalo, persone come Srdan Dimitrijevic, Gianni Vitali, Igor Marini, l'avvocato Paoletti o il notaio Boscaro. Si chiede anche se il rappresentante della Stet, Tomaso Tommasi di Vignano, aveva l'autorizzazione del governo italiano a firmare l'acquisto del 29 per cento di Telekom Serbia. E naturalmente per gli italiani è molto importante la dichiarazione dell'ex leader dell'opposizione serba, Vesna Pesic, che recentemente ha descritto come molto sgradevole l'incontro avvenuto nel 1997 tra i leader dell'opposizione stessa e l'allora ministro degli esteri italiano Lamberto Dini, che non nascondeva le sue simpatie verso Milosevic.
Anche limitandosi a esaminare il Rapporto sull'utilizzo dei mezzi in valuta da parte del Fondo per lo sviluppo della Serbia tra il 13 giugno 1997 e il 31 dicembre 2000, salta subito all'occhio che i soldi ottenuti con la vendita della Telekom sono stati usati per comprare la pace sociale e per far sì che Milosevic rimanesse al potere. Per lui e per la sua cerchia non si è trattato certo di poco, perché dall'estate del 1997, quando è stata venduta la quota della Telekom, sono rimasti al potere altri tre anni, fino al settembre 2000. In questo periodo i maggiori "inghiottitori" di soldi provenienti dalla vendita sono stati il Fondo serbo per la previdenza pensionistica e per gli invalidi - 721,5 milioni di marchi - e l'Istituto serbo per l'assistenza sanitaria - 180,4 milioni di marchi. Per fornire crediti alle imprese, vale a dire per pagare gli stipendi arretrati e per narcotizzare finanziariamente la classe operaia serba, Milosevic e il suo premier Marjanovic hanno speso quasi 490 milioni di marchi, pari a un terzo dei soldi guadagnati con la vendita della Telekom. Si tratta dei famosi sacchi neri pieni di soldi che Marjanovic portava alla Zastava o a città industriali come Bor, Nis, Krusevac per mettere temporaneamente a tacere la classe operaia. E dei fondi provenienti dalla vendita della Telekom ha goduto anche, tra gli altri, la televisione di stato Rts, con 1,5 milioni di marchi.
A mani vuote
La commissione parlamentare italiana ha continuato le sue audizioni a Belgrado. All'inizio dei suoi lavori era stato detto che l'opinione pubblica sarebbe stata informata regolarmente ogni giorno e i giornalisti avevano messo le tende davanti al tribunale. Ma sono rimasti a mani vuote. Un portavoce ha informato i presenti che non sarebbe stata rilasciata alcuna informazione. Nell'interesse delle indagini.
Ad aspettare la chiusura dell'inchiesta c'è probabilmente anche Fabio Fabris, che così potrà finalmente aprire una fabbrica della Barilla in Serbia.
Misa Brkic (traduzione di Andrea Ferrario)
Vedi anche:
l caso Telekom, intervista con Andrea Ferrario
Telekom Srbija, si guarda il dito e non la luna