Si è spento la sera del 12 dicembre Marino Vocci. Nato vicino a Buie nel 1950 ed approdato a Trieste nel 1954. Ha dedicato grande impegno a costruire “ponti” tra le genti dalle due parti del confine. Un ricordo
(Pubblicato originariamente sul blog www.michelenardelli.it)
Ogni morte di una persona cara è dolore sincero. Ma ci sono gli adii che non riusciamo ad accettare. Appena saputo della scomparsa di Marino Vocci da un breve e toccante nota sul fb di Martina, sua figlia maggiore, scrissi di getto la mia prima reazione: «Non ci voglio credere!! non posso credere!!! Accetto soltanto che si sia imbarcato su qualche natante lungo la rotta adriatica... E poi, ci racconterà, come ha sempre fatto, con passione, gioia e parole che abbracciano origini e rive diverse».
Un giorno dopo la sua scomparsa è sempre così.
Marino è vivo nella mia mente. Sento la sua voce, vedo il suo volto, i capelli indomati un po’ più brizzolati ultimamente, la figura un po’ più curva, gli occhi attenti, sinceri, ridenti, caldi e severi quando e quanto necessita.
Ma è soprattutto vivo il suo pensiero e la straordinaria capacità di porre in contatto le persone di diverse origini formative e disciplinari nel dare luogo al confronto di idee, proposte, ricerche, scambio. Solo chi scambia può cambiare, soleva dire. Ci credeva profondamente e agiva in questo modo, consapevole dell’interdipendenza del nostro mondo e del bisogno dell’interlocuzione tra soggetti e memorie diverse. Quell’abilità rara che manca al potere.
Forse i più ricorderanno la rete a cui ha dato vita e ha raccolto moltissimi partecipanti da oltre i confini, nazionali, internazionali. Si trattava dell’“Adriatico, una storia scritta sull'acqua la manifestazione su natura, cultura, economia e paesaggio del mondo adriatico.
Adriatico, il mare che gli ha permesso di considerare le amate terre dell’Istria e di Trieste un'unità senza confini, un'unità che egli ha fortemente voluto, che nella propria vita ha realizzato. E, forte di questa eredità di non facile acquisizione, vedeva oltre, lontano, lungo le correnti marine e il litorale dalmata, allargava lo sguardo alle coste dell’Albania, del Salento, al Mediterraneo… Il suo sguardo raggiungeva il Sud e il Nord del mondo marino, al suo Est e l’Ovest. Il pensiero approfondiva la storica Via Marittima che costeggia tutta l'Asia Orientale e Meridionale, arrivando fino al Mar Mediterraneo attraverso il canale di Suez e quindi il Pireo e, poi, a Trieste. S’interrogava sul significato che oggi può avere la nuova Via della seta… E Trieste era sempre qui, un approdo e un nodo cruciale della sua esistenza. Città adottiva e anche un po’ matrigna, dove per lui, come per molti, iniziava la vita da sradicati. Città di dolore intimo dove, come nell’Istria lasciata, troverà “i due mondi che si ignoravano reciprocamente, vivevano separati, non si incontravano, anzi, spesso erano ostili uno agli altri.”1 Questo doleva a Marino. Tutta la vita dedicò a lenire le ferite dello strappo, a superare la distanza tra la grande città a la silenziosa campagna istriana, ma anche a tessere relazioni nuove, propositive, quelle della cultura della convivenza. La cultura dell’essere europeo e dell’Europa nuova. Non utopia, ma realtà di vita di persone che appartengono alle terre plurali, come la nostra/sua piccola e preziosa terra del sì, del da e del ja.
Su questo cammino lo accompagnavano maestri eccellenti: Tomizza, Langer, Matvejevic. Smantellava i luoghi comuni di distanze culturali, viveva sulla propria pelle la crisi della politica, la crisi dello sguardo sempre più corto di chi detiene il potere, la crisi della politica concepita come esercizio del potere lontana dal suo intendere la Polis con sempre al centro la persona. Senza risparmiarsi ha esercitato l’arte della critica di scelte politiche miopi e culturalmente sbagliate. Nella lettera privata che ha inviato non tanto tempo fa a un gruppo di amici, aveva scritto:
«La gente è semplicemente … diversa e direi "più avanti" rispetto alla "politica" di oggi. Credo anzi che su questo, in questa nostra Europa e in queste nostre terre sempre più plurali, dovremmo aprire un dibattito molto serio. Infine devo confessarvi che personalmente, così come in questo mondo sempre più atomizzato e caratterizzato da profonde solitudini, sento un profondo e allarmante disagio».
Nonostante le amicizie solide e sincere, il rispetto profondo e la stima diffusa oltre i confini nazionali, nonostante la sua indole gioiosa tra le terre rosse e bianche ornate dai “fiori di maggio, dall’erba spagna appena tagliata e delle robinie in fiore” dove si sentiva un viaggiatore leggero che sa soffermarsi e riflettere sui propri passi, egli spesso scriveva di momenti di solitudine.
«Gioia, solitudine e amicizia sono aspetti fondamentali della mia vita». In questa annotazione che scrive sulle prime pagine del libro autobiografico Fughe e approdi, manca il risaputo: il grande amore che lo legava alle sue donne e di cui si nutriva tutto il suo essere, l’amore per e l’amore di Liliana, Eva, Martina.
1 Marino Vocci, Fughe e approdi, Il Ramo d’Oro Editore, Trieste, Italia & EDIT, Fiume Croazia, 2010 p. 23