Mauro Cereghini, direttore dell'Osservatorio

Riportiamo il discorso che Mauro Cereghini, direttore e coordinatore dell'Osservatorio sui Balcani, ha tenuto durante l'incontro con il Presidente Prodi per presentare l'Appello sull'integrazione dei Balcani in Europa

06/04/2002 -  Anonymous User

Signor Presidente della Commissione Europea
Rappresentanti del Consiglio d'Europa
Parlamentari
Sindaci
Amministratori regionali e locali
Amici tutti che siete intervenuti a questo importante momento.

Come Osservatorio sui Balcani vi ringrazio per la presenza, e vi confesso una profonda emozione nel vedere quanta strada ha percorso l'Appello "L'Europa oltre i confini" che qui presentiamo, e quante persone ha raccolto a suo sostegno oggi in quest'Aula.

Eppure si tratta di un Appello ambizioso, che pone un obiettivo alto ma necessario: l'ingresso di tutti i paesi dell'area sud-orientale nell'Unione Europea, con tempi certi, con forme sostenibili e con percorsi che coinvolgano le intere comunità e non solo i loro rappresentanti ultimi. E' questa "L'Europa oltre i confini" che sogniamo noi e i molti firmatari dell'Appello.

Ed è di questa "Europa oltre i confini" che sentiamo tutti il bisogno, ancora di più oggi davanti ai nuovi drammatici scenari di violenza in terre vicine. Sentiamo il bisogno di un'Europa che sia ancora più autorevole, e capace di rappresentare una polarità forte all'interno di una comunità internazionale a volte un po' troppo inerme. E un futuro in cui la sua natura, come intreccio di tante storie diverse, possa darle la tradizione culturale e la forza politica per dialogare con il Mediterraneo, con l'Oriente, con i molti sud e con lo stesso Occidente, bisognoso di un ancoraggio di civiltà per evitare di costruire nuovi muri attorno a sé.

C'è un filo che in questi drammatici giorni unisce Gerusalemme e Sarajevo, città segnate nella loro storia come nel presente da destini paralleli, laddove grandi civiltà incontrandosi hanno espresso straordinarie culture e sincretismi ma conosciuto anche grandi tragedie. Vorremmo dunque unire almeno simbolicamente Sarajevo, la "Gerusalemme dei Balcani", con la Gerusalemme ferita di queste ore. Anche lì si avverte forte il bisogno d'Europa, proprio come qui noi oggi lo esprimiamo per Sarajevo ed i Balcani tutti, affermando che solo un'integrazione in tempi rapidi e certi può aiutare a chiudere in via definitiva la storia di questi ultimi dieci anni.

Ma siamo convinti che l'integrazione potrà aiutare anche la parte ricca e pacificata del Vecchio continente a ritrovare le radici profonde del suo progetto comune, che vanno ben oltre la mera dimensione economica o finanziaria. E come è difficile per i paesi della sponda orientale dell'Adriatico trovarsi fuori dalla Casa comune europea, così per chi ci vive dentro l'assenza di quei paesi è una privazione; l'Europa senza Sarajevo, come senza Belgrado, senza Tirana o senza Zagabria, è un'Europa dimezzata.

Il testo dell'Appello che qui presentiamo suggerisce invece un'integrazione rapida, per poter dare ai Balcani un'idea di futuro, una speranza certa che vada oltre la sopravvivenza nei micro-stati sorti di recente. E insieme per spezzare prima possibile la catena delle rivendicazioni territoriali, e per definire assetti istituzionali stabili che superino in avanti, sciogliendole in unioni maggiori, le attuali suddivisioni statali. Piccole patrie e grandi orizzonti possono convivere solo dentro un contenitore ampio e plurale, come di fatto è l'Europa, ovvero - con una metafora che Le sappiamo cara - un'unione di tante minoranze.

L'Appello poi indica il bisogno di un'integrazione che sia sostenibile, ossia che possa garantire uno sviluppo stabile dei paesi dell'area. Questo sviluppo va fondato sulle peculiarità delle culture e dei territori locali, anziché sulle sottoproduzioni delocalizzate dall'Europa ricca per sfuggire alle regole ambientali e sociali che essa stessa si è data. Uno sviluppo autocentrato, dunque, dove l'economia ha molto a che fare con il governo locale, con il federalismo solidale, con la sussidiarietà e con la responsabilità individuale.

Infine l'Appello indica la via delle relazioni tra comunità, tra singoli territori del sud est e del nord ovest d'Europa, quale metodo migliore per praticare da subito la strada dell'integrazione. Prima e a fianco della via governativa, perché così è stato fatto - anche nelle molte esperienze di associazioni, enti locali e ONG qui rappresentati - in questi anni di presenza a volte contraddittoria della comunità internazionale ufficiale nei Balcani.

"L'Europa oltre i confini", dunque. Un sogno per il futuro lontano ma anche un orizzonte politico per il prossimo domani, perché se è vero che per costruire l'odierna Unione Europea ci sono voluti quasi cinquant'anni, è altrettanto vero che nell'era attuale anche il tempo è cambiato: ciò che fino a ieri si misurava in decenni, oggi si compie in pochi anni. E' passato poco più di un decennio dalla caduta del muro di Berlino, eppure già gli attacchi terroristici dell'11 settembre hanno segnato una nuova svolta epocale nel sistema delle relazioni internazionali. Che non ci porta, come volevano gli stessi terroristi, verso un presunto "scontro di civiltà". Ma al contrario, noi crediamo, deve spingere l'Europa ed il mondo intero ad andare oltre i propri vecchi confini.

E' questo l'augurio con cui vogliamo salutarLa, Signor Presidente. Questa sera, simbolicamente, l'Orchestra Filarmonica di Sarajevo e l'Orchestra Haydn di Trento e Bolzano suoneranno assieme in Suo onore, e dimostreranno come anche la musica possa contribuire ad avvicinare gli spiriti e i territori. Vorrei dare appuntamento - a Lei e a tutti gli ospiti qui convenuti - per rivederci tra un anno, e verificare quanta strada saremo riusciti a percorrere "oltre tutti i nostri confini". Sappiamo che il Suo lavoro sarà particolarmente difficile, e che molte potranno essere le resistenze verso un ulteriore ampliamento della casa comune europea. Ma le tragedie del passato, i bisogni del presente, le speranze e le opportunità del futuro ci fanno dire che questa è la strada da percorrere assieme.

Grazie.