"Nella Grotta del Bue Marino, ho intravisto l'ombra di Calipso che entrava e usciva dall'acqua, con voluttuosa nudità, ma indifferente al mio sguardo". Continua la nostra esplorazione delle Tremiti
Nelle acque meravigliosamente immobili dell'alba, faccio scivolare la mia piccola Ondina sui sassi bianchi della Marina di San Nicola.
Scendendo dal villaggio, zainetto e pagaia in spalla, per l'unica, antica via non ho incontrato nessuno. Ho attraversato le tre porte spalancate accompagnato solo dai fantasmi dei monaci che per secoli hanno difeso l'abbazia da corsari e ottomani. Io libero di muovermi in solitudine da un'isola all'altra con il mio kayak, loro asserragliati all'interno della fortezza circondata dal mare e da feroci nemici. Ma al mio fianco festosi, come in una parata libertaria, ci sono anche omosessuali, antifascisti, anarchici, lazzari, donne, uomini, vecchi, bambini, libici e tutti quelli che sull'isola sono stati reclusi. La mia, la nostra impagabile libertà di oggi sarà sempre debitrice alle loro sofferenze. Non lo dimentico, non dobbiamo dimenticarlo. Perciò, prima di salire a bordo e trasformarmi in un centauro acquatico, mi lavo le mani e la faccia con l'acqua salata, ritualità laica e libertaria.
Con poche pagaiate in direzione nord attraverso lo stretto braccio di mare che separa San Nicola dall'isolotto del Cretaccio, che da questa parte ha il colore e le forme di una duna, erosa dall'acqua e dal vento. Meno di trecento metri separano le due isole, un tempo collegate da una passerella, che qualcuno sogna di ricostruire. Passerella che dal Cretaccio proseguiva in direzione di San Domino, attraversando un canale ancora più stretto, di neanche duecento metri. Al centro dell'isolotto, sulla costa sudoccidentale, trovo un piccolissimo anfratto dove riesco ad approdare, portando il kayak in secco, Che emozione! robinsoniana, quella che si prova ogni volta che esploriamo un'isola deserta e, in questo caso, quasi completamente nuda, almeno su questo versante. Solo rocce sedimentarie, presidiate da un'urlante colonia di gabbiani reali, dominatori incontrastati di tutto l'arcipelago in questi primi giorni di giugno. Dei conigli selvatici invece solo piccole tracce fecali. Per fortuna non ho necessità alimentari, non sono un “povero e misero Robinson Crusoe, naufragato in alto mare nel corso di una terribile tempesta”, ma semplicemente un girovago a remi, solitario osservatore di luoghi marginali, periferici. Coste, isole e isolette, affollate o abbandonate a seconda delle stagioni e delle tribalità turistiche. In quest'alba ancora fresca di primavera, non solo il Cretaccio è deserto, ma anche le acque che circondano le altre isole. Consunte bitte in pietra bianca calcarea, raccontano antiche frequentazioni.
Rimetto il kayak in acqua, con la prua in direzione ovest, verso i Pagliai, i bianchi faraglioni di San Domino, subito a nord del porto. È bonaccia bianca, solo qualche cirro alto nel cielo. Decido di sfruttare queste ore di calma di vento per fare il periplo dell'isola, in senso antiorario. San Domino è la più grande dell'arcipelago. Una zattera calcarea che si alza di qualche decina di metri dall'acqua, di forma rettangolare, lunga due chilometri e mezzo e larga circa la metà. Il Colle dell'Eremita è il punto più alto a 116 metri. “Orto del paradiso”, la chiamavano i monaci di San Nicola che ne fecero la loro prima, preziosa fonte alimentare. L'isola nel Novecento, dopo la tragica vicenda carceraria fascista, venne ripopolata nel dopoguerra e fino agli anni Cinquanta le poche famiglie vivevano di pesca, caccia, agricoltura e allevamento brado. Poi, nel volgere di un paio di decenni, l'economia turistica divenne esclusiva.
La mia minuziosa circumnavigazione dell'isola, di cala in cala, di grotta in grotta con qualche breve approdo, è durata un giorno intero. Un viaggio nel corpo luminoso delle scogliere, in quello buio degli antri. Qui numerosi e variegati come in nessun'altra isola mediterranea. A San Domino il mare ha invaso e scavato grotte d'ogni tipo, lunghe e strette, larghe e alte, coperte e scoperte. Una varietà di piccole e grandi spelonche dove, nel solitario, rumoroso silenzio che regala il kayak, può capitare di ascoltare le voci delle ninfe dai riccioli belli, cantate da Odisseo.
Se tutte meriterebbero un racconto, innanzitutto per le evocative sonorità, solo nella Grotta del Bue Marino, ho intravisto l'ombra di Calipso che entrava e usciva dall'acqua, con voluttuosa nudità, ma indifferente al mio sguardo. Poi il buio mi ha completamente divorato. Non ho acceso la torcia, ma mi sono abbandonato alle sensazioni olfattive, sonore e tattili, mediate dallo scafo e dalla pagaia. Un'esperienza orfica, in cui ho completamente perso il senso del tempo. Quando sono uscito, il sole era già tramontato e dovevo percorrere ancora più della metà dell'isola, per arrivare al porto. Per fortuna lo Scirocco era solo una brezza. Punta della Provvidenza, Punta del Diavolo, Punta di Ponente, Punta dello Scoglietto, Punta Grotta del Sale, Punta San Domino sono sfilate velocemente a sinistra nell'ultima luce del crepuscolo. Improvvisamente, benché attesa ma dimenticata dalle vicissitudini marinare, alla mia destra, a oriente è apparsa la Luna. Enorme, color di pesca. Una dea che m'invitava a un'altra sosta, a un tuffo in quella Cala Matana, rifugio amatissimo di Lucio Dalla. Nessun dubbio, un'unica fanciullesca necessità. Kayak in secco, mi sono spogliato velocemente e mi sono tuffato, per una indimenticabile nuotata al chiar di luna, musicata dal dolce sciabordio dell'onda e profumata dai pini che arrivavano a bagnare le fronde nell'acqua argentata. “Come è profondo il mare”, pericoloso, seducente, irresistibile.