Convegno "Italia e Bosnia Erzegovina: Balcani ed UE da un secolo all’altro" foto di P. Martino

Le relazioni tra Italia e Bosnia Erzegovina, dal primo consolato italiano aperto a Sarajevo alla difficile attualità. Ed uno sguardo al futuro. Su questo si sono confrontati i relatori del primo panel della conferenza “Italia e Bosnia Erzegovina: Balcani ed UE da un secolo all’altro” svoltasi a Sarajevo il 28 e 29 novembre scorsi, co-promossa da Ambasciata d'Italia in BiH e OBCT/CCI

13/12/2019 -  Redazione

(Questa è la sintesi dei contenuti del primo panel della conferenza “Italia e Bosnia Erzegovina: Balcani ed UE da un secolo all’altro”, seguiranno nelle prossime settimane le sintesi degli altri tre panel)

“L’Italia è uno dei pochi paesi in cui tutte le forze politiche sostengono con grande convinzione l’allargamento dell’Unione Europea nei Balcani occidentali”, con queste parole, volte a enfatizzare i legami tra le due sponde dell’Adriatico, il vicepresidente della Commissione esteri della Camera dei deputati del Parlamento italiano Piero Fassino ha aperto la prima sessione della conferenza “Italia e Bosnia Erzegovina: Balcani ed UE da un secolo all’altro”. Dedicato principalmente alla presentazione del libro recentemente pubblicato dall’Ambasciata d’Italia in Bosnia Erzegovina e intitolato “Italia e Bosnia Erzegovina. 155 anni di storia insieme”. Riprendendo i contenuti del volume, il panel ha permesso di approfondire la storia delle relazioni tra i due paesi, a partire dall'apertura del primo Consolato Generale d'Italia a Sarajevo avvenuta il 20 giugno 1863.

Piero Fassino ha introdotto i contributi dei relatori ripercorrendo alcuni degli eventi più significativi della storia del Sud-Est Europa, soffermandosi in particolare sulla rilevanza, spesso sottodimensionata, di questa regione nella storia del continente. Tracciando un legame tra passato e futuro, ha osservato come la prospettiva di integrazione emersa dopo gli Accordi di Dayton del 1995 abbia ormai perso il proprio slancio, lasciando spazio alla frustrazione per un obiettivo che sembra rimanere lontano. “Ventiquattro anni sono ormai troppi ed è necessario accelerare il processo di integrazione” ha concluso Fassino, prima di lasciare la parola ad Alfredo Sasso, ricercatore che ha lavorato per OBCT alla realizzazione del volume, e a due tra gli autori: lo storico Eric Gobetti e Marzia Bona, ricercatrice di Eurac research.

Nell’introdurre il libro, Alfredo Sasso ha ricordato l’importante contributo che il testo offre alla comprensione dei 155 anni di relazioni bilaterali tra i due paesi, da quando il primo console Cesare Durando raggiunse Sarajevo fino ai nostri giorni. I saggi, opera di autori dal variegato background professionale, valorizzano non solo la dimensione politico-diplomatica dei rapporti, ma anche quell’universo di relazioni culturali e sociali espresse dagli scambi migratori, dai contatti della società civile, ma perfino portate dai conflitti che hanno segnato il Novecento europeo. Come nella vicenda dell’alpino italiano Cirillo Fancon, deceduto in un campo di prigionia in Bosnia Erzegovina nel 1917 - la cui tomba è stata recentemente riscoperta - speculare alle tante storie di soldati bosniaci caduti sul fronte alpino durante la Prima guerra mondiale.

L’intervento di Alfredo Sasso ha avuto il merito di ricordare ciò che ancora manca nella ricostruzione della storia delle relazioni tra i due paesi: dai rapporti culturali e artistici del “secondo Novecento” fino ai fenomeni migratori verso l’Italia, paese dove oggi vivono circa 24.000 persone di origine bosniaco-erzegovese. In questo senso, risulterebbe importante valorizzare maggiormente quelle straordinarie figure che attraversando i due paesi hanno contribuito alla nostra comprensione di fenomeni quali il pluralismo culturale e la convivenza. Alla menzione di personalità come Predrag Matvejević e di Alexander Langer, la sala si è lasciata andare ad un grande applauso. “Due persone che credevano profondamente in un’Europa unita, in grado di mantenere al suo interno somiglianze e differenze e che hanno lottato in difesa delle minoranze” - ha ricordato Sasso - “capaci allo stesso tempo di prendere posizione e di schierarsi, ma anche di coltivare il dubbio, rispettare ed indagare la complessità”. 

Nell’ambito della sessione, sono quindi stati presentati due dei contributi tematici raccolti nel volume e dedicati a momenti particolarmente significativi della storia delle relazioni tra i Italia e Bosnia Erzegovina. Eric Gobetti, tra i massimi esperti dell’occupazione italiana della Jugoslavia, si è addentrato negli anni della Seconda guerra mondiale e nello scenario che fece seguito all’invasione del regno balcanico da parte delle forze dell’Asse. Gobetti ha sottolineando la rappresentatività delle vicende belliche susseguitesi in questi territori, dove le politiche di occupazione e spogliazione si sono intrecciate con fenomeni di collaborazionismo e di resistenza. L’Italia fece del proprio supporto agli Ustascia un “pilastro della politica estera fascista”, rendendosi protagonista di crimini di guerra e cambiando tattica a seconda dei propri obiettivi bellici, come esplicitato dalla collaborazione con le formazioni cetniche.

Offrendo un’immagine poliedrica dell’occupazione, dove rappresentanti del ministero degli Esteri e dell’Esercito italiano potevano seguire principi diversi, Gobetti ha voluto ricordare anche figure meno allineate, come Renato Giardini, console a Mostar, che di fronte alle violenze e ai rastrellamenti italiani inviava precise relazioni sui crimini commessi e che per questo fu rapidamente sostituito. Ma ha anche rievocato l’adesione di molti soldati italiani alle forze della resistenza jugoslava in seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943, presentando quella esperienza come un “primo esempio di quella nuova Italia democratica che sorgerà dalle ceneri di questa drammatica guerra”.

Spostandosi dalla Seconda guerra mondiale alla fine del Ventesimo secolo, l’attenzione si è soffermata sulla mobilitazione di solidarietà della società civile italiana verso la Bosnia Erzegovina nel corso delle guerre di dissoluzione jugoslava. Marzia Bona ha presentato uno studio condotto per Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa insieme a Marco Abram, che per la prima volta ha esplorato il protagonismo umanitario e politico dei cittadini italiani in quella stagione, prendendosi spazi in genere riservati alle diplomazie nazionali e internazionali. “Sarajevo, provaci tu cittadino del mondo”, titolava una rivista di ambito attivista dell’epoca, esortando l’intervento diretto nei territori colpiti dal conflitto. Bona ha ricordato in particolare l’ampiezza del ventaglio politico dei soggetti coinvolti, ma anche il protagonismo, al di là delle grandi città, di numerosi centri di provincia su tutto il territorio nazionale. Oltre ad aver contribuito a quella proiezione della  società civile “oltre i confini nazionali” espressa secondo la ricercatrice anche ai nostri giorni dal movimento “Fridays For Future” .

Tra il 1992 e il 1995, inoltre, arrivarono in Italia circa 80.000 persone in fuga dal conflitto, e in quella occasione furono molte le associazioni e i comitati locali che parteciparono alla strutturazione di quelle prime reti di assistenza che rappresentano i prodromi dell’odierno sistema Sprar. Sottolineando come la mobilitazione rappresentasse spesso un impegno “per e con la ex-Jugoslavia”, che cercava dialogo e reciprocità, Marzia Bona ha concluso indicando la necessità di promuovere un’analisi anche delle effettive ricadute di questo attivismo per la società bosniaca. 

I lavori della prima sessione sono stati chiusi da un messaggio di Mario Boccia, fotografo autore di alcune delle più profonde istantanee sul conflitto bosniaco. Impossibilitato a raccogliere l’invito al convegno, Boccia ha comunque potuto condividere la propria testimonianza umana e professionale nella Sarajevo assediata. Con parole molto sentite, ha raccontato la propria profonda e ormai pluridecennale relazione con la città e i suoi abitanti. L’intervento ha indirettamente aperto il confronto con il numeroso pubblico in sala, che ha interagito con i relatori sottolineando alcune tra le questioni trattate e discutendone altre. L’interesse per la storia delle relazioni bilaterali nella sua complessità si è rapidamente tradotto in un ragionamento sull’importanza del loro lascito nel presente, introducendo le successive sessioni, dedicate alle prospettive odierne e future della Bosnia Erzegovina in Europa.