Dopo l'accordo con le opposizioni, il presidente Yanokovich è stato destituito e l'ex primo ministro Yulia Tymoshenko liberata dopo tre anni di carcere. Dopo 82 morti e 600 feriti, causati dagli scontri della settimana scorsa nelle vie di Kiev, l'Ucraina cerca soluzioni alla grave crisi politica in cui versa da mesi

24/02/2014 -  Maura Morandi

Questo articolo viene pubblicato in contemporanea sul quotidiano Trentino Corriere Alpi

Un anello di fuoco circonda la piazza. Le barricate fatte di copertoni, sacchi di neve ormai sciolta e filo spinato bruciano. Fiamme alte diversi metri separano le forze di polizia speciale in assetto anti-sommossa e i manifestanti che si sono rifugiati nella piazza. I canti liturgici intonati dai pope (i preti ortodossi), le esplosioni delle granate stordenti usate dalla polizia e i fragori delle bombe molotov gettate dai manifestanti fanno da tragica colonna sonora. Gli scontri e le litanie accompagnano – senza tregua – l’intera notte di Kiev, capitale dell’Ucraina. Una lunghissima notte di attesa e paura per il popolo di Maidan di essere disperso con la forza dai corpi di polizia speciale, dopo tre mesi di proteste che hanno conosciuto varie fasi di evoluzione. E’ l’inizio di una lunga settimana di scontri durissimi e violenza inaudita che ha lasciato 82 morti e oltre 600 feriti sulle strade di una capitale d’Europa.

Proteste pacifiche erano iniziate il 21 novembre scorso quando il governo ucraino guidato dal presidente Viktor Yanukovich (eletto nel 2010 con un esiguo scarto di voti rispetto al suo nemico politico di sempre Yulia Tymoshenko) decise, a pochi giorni dalla firma, per un’improvvisa sospensione dell’accordo di associazione con l’Unione Europea che prevede, in particolare, la creazione di un’area di libero scambio. Nella notte del 30 novembre le proteste pacifiche, per lo più composte di studenti universitari e giovani che desideravano il loro futuro con l’UE, furono disperse con violenza dalla polizia, causando numerosi feriti e scatenando l’indignazione dell’opinione pubblica. L’1 dicembre migliaia di manifestanti si riversarono su Maidan, la centralissima piazza dell’Indipendenza, e chiesero a gran voce le dimissioni del ministro dell’Interno ritenuto responsabile di aver dato l’ordine di attacco contro i dimostranti pacifici. Non ricevendo alcuna risposta da parte delle autorità alla loro richiesta, i manifestanti si stabilirono sulla piazza, occuparono il municipio di Kyiv e iniziarono a costruire alte barricate, all’inizio leggere poi via via più fortificate, per proteggere la protesta pacifica che in più occasioni la polizia tentò di disperdere.

Migliaia di attivisti iniziarono ad affluire verso Kiev dalle regioni, in particolare dalla parte occidentale del Paese, un’area di grande importanza per la storia d’Europa e con legami storici con il nostro Trentino-Alto Adige. Cento anni fa, infatti, migliaia di tirolesi (di lingua italiana e di lingua tedesca) furono spediti in Galizia (estrema regione nord-orientale dell’Impero d’Austria-Ungheria, oggi territorio suddiviso tra Polonia e Ucraina) nei reparti dei Kaiserjäger, Ladesschützen e Landstrum per difendere i confini dell’Impero. Combatterono insieme a polacchi, ucraini e altre nazionalità dell’impero. Migliaia di loro perirono sul campo di battaglia, per le ferite riportate o per malattia e qui furono sepolti. Come ha scritto Alberto Miorandi, Presidente del Museo Storico Italiano della Guerra con sede a Rovereto, “con la Prima Guerra mondiale la Galizia, la Polonia, l’Ucraina, la Russia e la allora Cecoslovacchia (oltre naturalmente all’Italia) divennero riferimenti imprescindibili nelle relazioni che legano il Trentino all’Europa del Novecento”.

Mentre le autorità ignoravano le richieste di Maidan, le proteste gradualmente si radicalizzavano. Il 16 gennaio, in una movimentata e controversa sessione plenaria, la maggioranza parlamentare adottò una serie di leggi anti-protesta definite “dittatoriali” dalla piazza e dall’opposizione e fortemente criticate dalla società civile ucraina e dalle organizzazioni internazionali. Le leggi furono poi revocate dallo stesso parlamento dieci giorni dopo. Ma ormai era troppo tardi, il primo sangue era stato versato. Le leggi avevano provocato, infatti, disordini nella via che da Maidan conduce al vicino Parlamento con progressiva intensificazione, lanci di bombe molotov e formazione di squadre di “autodifesa” dei protestanti. Le autorità risposero ordinando alle unità speciali di polizia di sparare sui manifestanti con pallottole di gomma e arruolando “titushki”, giovani dal fisico atletico pagati per condurre pestaggi e agitazioni. Ne seguirono giorni di paura per l’Ucraina con numerosi casi di tortura, sparizioni e violazioni di diritti umani perpetrati per conto delle autorità contro gli attivisti. Furono presi di mira anche giornalisti e reporter che documentavano gli eventi sul terreno, tanto che molti decisero di togliersi l’identificazione di “press” (stampa) perché diventata sinonimo di “bersaglio”. Alcuni di loro persero gli occhi a causa delle pallottole di gomma sparate dalla polizia.

Nemmeno le prime vittime da entrambe le parti sono servite, però, a far spazio a un dialogo autentico e a negoziazioni costruttive basate sulla presa in considerazione delle richieste e delle motivazioni di tutte le parti. E così all’inizio della scorsa settimana, dopo l’ennesimo tergiversare delle autorità di fronte alla richiesta dell’opposizione parlamentare di un’immediata ridistribuzione dei poteri governativi tra presidente e parlamento a favore di quest’ultimo, i manifestanti si sono diretti verso il parlamento presidiato da migliaia di agenti di polizia. Ne sono succeduti violentissimi scontri che sono durati giorni e che hanno visto l’uso di armi da fuoco e cecchini da parte della polizia, che in molti casi ha sparato sui manifestanti disarmati, ma anche da parte di un ristretto gruppo particolarmente radicale in seno ai manifestanti. Sul campo di battaglia sono cadute decine di protestanti e sedici poliziotti. Centinaia di feriti si sono contanti da entrambe le parti.

Le violenze si sono fermate solo quando i manifestanti hanno riguadagnato le posizioni iniziali su piazza dell’Indipendenza e vie limitrofe e un accordo è stato raggiunto da presidente e opposizione parlamentare dopo intensi negoziati alla presenza di rappresentanti dell’Unione Europea e della Russia. Il debole accordo sembra aver dato la possibilità per una nuova fase storica dell’Ucraina. Nelle ultime ore, infatti, sono stati adottati dal parlamento una serie di provvedimenti destinati ad avere un forte impatto politico. E’ stato votato il ritorno a un sistema di governo che prevede un aumento di poteri al parlamento e un maggiore bilanciamento delle cariche dello stato. E’ stata dichiarata la dismissione di Yanukovich da presidente attraverso il voto di “impeachment”. Già nella notte tra venerdì e sabato Yanukovich aveva lasciato Kiev per riapparire poi solo in un’intervista televisiva da una località ignota nella quale ha affermato di non riconoscere la legittimità delle leggi adottate dal parlamento e si è detto determinato a restare nel paese per combattere “questi banditi”. La profonda crisi politica, quindi, non è ancora terminata e il processo di stabilizzazione e normalizzazione del paese sarà molto lungo.

Per tre mesi Yanukovich e il suo governo hanno ignorato le richieste e probabilmente anche le proporzioni e le profonde motivazioni delle manifestazioni popolari, che con il tempo sono diventate proteste contro un sistema tra i più corrotti al mondo, repressivo, ingiusto, lontano dalle esigenze dei cittadini, con un sistema giudiziario al servizio del potere e severe limitazioni alla libertà di espressione. Sembra che il presidente e i suoi collaboratori più vicini non siano riusciti a capacitarsi che la gente possa andare in piazza e sacrificare anche la propria vita per valori come giustizia, libertà e democrazia. Anche davanti alla radicalizzazione del malessere sociale, dello scontento popolare e all’acuirsi degli scontri, le autorità non hanno reagito in alcun modo, rimanendo quasi indifferenti, intenzionalmente o per inettitudine.

Questo è il paese che i futuri governanti si troveranno ad affrontare. Con la cognizione, ora, che negli ucraini vi è una maggiore consapevolezza che il potere appartiene al popolo. Consapevolezza che hanno pagato con il loro sangue.