Quattro giornalisti stanno cercando di far luce sull'omicidio di due colleghi, Andrea Rocchelli e Andrei Mironov, uccisi il 24 maggio 2014 nel Donbas, in Ucraina. Un colpevole la giustizia italiana l'ha già trovato, ma molti - troppi - sono i dubbi su come è stato condotto il processo. Avviato un crowdfunding
Il 24 maggio 2014 il fotoreporter italiano Andrea Rocchelli rimase ucciso sul fronte nell’est dell’Ucraina in guerra. Insieme a lui perse la vita anche il suo amico e collega russo Andrey Mironov.
A cinque anni di distanza dal quel tragico giorno, la giustizia italiana ha trovato un colpevole. Il soldato italo-ucraino Vitaly Markiv, che all’epoca era inquadrato nella Guardia nazionale di Kyiv e attestato su una collina vicino al luogo della loro morte. Nel 2019 la Corte d'Assise di Pavia lo ha condannato a 24 anni di carcere .
Ma il processo ha gettato sui fatti più ombre che luce. Sono in molti a ritenere la ricerca delle prove lacunosa e la sentenza emanata solo sulla base di indizi e sotto una forte pressione mediatica. In tanti volevano a tutti i costi un colpevole. Per ricostruire gli eventi, gli inquirenti si sono basati su Google Maps e articoli di giornale, senza nemmeno andare sul posto per fare rilievi o anche solo per rendersi conto di persona delle condizioni in cui i due si sono trovati. Né sono stati rintracciati e ascoltati testimoni diretti che quel giorno erano lì, al di là della lacunosa e contraddittoria testimonianza di William Roguelon , un terzo fotografo che era con Rocchelli e Mironov ed è miracolosamente scampato al fuoco.
Si può dire che la verità processuale corrisponda a quella dei fatti? Sono stati davvero individuati i colpevoli? Siamo un team internazionale di giornalisti e stiamo raccogliendo proprio quelle prove. Sul posto, di persona, con rilievi 3D ed esperimenti balistici. Abbiamo rintracciato e intervistato testimoni chiave che nemmeno la procura era riuscita (o si era impegnata) a trovare.
Siamo stati in quel fosso maledetto dove dei colpi di artiglieria hanno portato via le vite di Andrea e Andrey. Siamo stati su quella collina, abbiamo fatto e ripreso degli esperimenti con ottiche e puntatori. Abbiamo ricreato il luogo in un poligono militare, sparato con armi indicate negli atti del processo. Abbiamo trovato e intervistato altri fotografi che erano lì in quei giorni, che hanno conosciuto Andrea Rocchelli e ci hanno raccontato di quali erano le condizioni in cui si lavorava.
Lentamente, tassello dopo tassello, si sta componendo una realtà dei fatti molto diversa da quella descritta nelle motivazioni della sentenza.
Ma abbiamo ancora da fare: bisogna fare tante riprese, in diversi posti d’Europa. E poi c’è la postproduzione. Finora ci siamo finanziati con i nostri soldi, ma abbiamo da poco lanciato una campagna di crowdfunding. L’obiettivo è ambizioso, siamo partiti bene ma c’è ancora tanta strada da fare e il tempo non è molto. Il nostro proposito è far uscire il documentario entro la primavera, prima dell’inizio del processo di appello.