Un libro polifonico, di donne e uomini che dall'Europa e dai Balcani si interrogano sull'intreccio profondo tra nazionalismo e cultura patriarcale del conflitto jugoslavo. Una pubblicazione curata da Melita Richter e Maria Bacchi.
Uno sforzo e un tentativo per superare il dilemma dell'"essere presenti e contemporaneamente non esserci". Sembra questo il leit motiv de "Le guerre cominciano a primavera" , libro polifonico di donne e uomini che dall'Europa e dai Balcani si interrogano sull'intreccio profondo tra nazionalismo e cultura patriarcale del conflitto jugoslavo.
Il libro si presenta come un tentativo di capire, analizzare e assumersi le responsabilità del "Fatto" ; ma vuole anche essere un impegno per costruire l'azione del presente senza rimandi, facendo interagire fra loro "teoria, memoria e prassi dei processi di integrazione delle nuove identità e dei ruoli di genere del conflitto jugoslavo".
Traendo origine dal seminario internazionale "Differenze, identità, conflitti. La Jugoslavia la sua disgregazione, l'Europa", organizzato a Mantova nel 1995, il libro dà respiro e spazio alla riflessione, alternando alla narrazione più personale e intima della sofferenza del conflitto, la testimonianza di attiviste impegnate per la sopravvivenza, la pace, i diritti umani; e l'analisi estremamente lucida sociologica, antropologica e storico-politica delle dinamiche e le origini di quei connubi che hanno contribuito a determinare tali sofferenze a livello strutturale e personale.
Con una consapevole prospettiva di genere, le autrici e gli autori esplorano risvolti insoliti delle connessioni tra identità, nazionalismo etnico, patriarcato, e violenza che con la disgregazione della Jugoslavia si sono così drammaticamente espresse; ma che trovano radici fin nel regime titino, la guerra di resistenza, la prima guerra mondiale e in strutture culturali non del tutto estranee alle stesse tradizioni occidentali ed italiane - "Balcani specchio e lato oscuro d'Europa".
Inserendosi nell'analisi più complessa di identità e nazionalismo, il libro evidenzia come la "riduzione assoluta dell'identità alla dimensione etnica e nazionale" abbia sfruttato e si sia fondata sulla cosiddetta domesticazione e omologazione della donna a modelli di donna-madre, donna-vittima e quindi specularmene di uomo-guerriero che si deve ergere a sua protezione e difesa; e come questo abbia rafforzato e contribuito alla nascita e al perpetrarsi dei sistemi nazionalistici, e influisca tutt'ora a livello sociale e personale sui processi di ricostruzione e costruzione della pace nei Balcani.
Il libro vuole però affrontare il tema di genere nel conflitto jugoslavo da una prospettiva diversa da quella della collettivizzazione strumentale delle donne di Srebrenica e delle donne-madri- vittime fatta dai governi, dai media, dagli opinionisti durante il conflitto e ancora oggi sia nell'Ex-Jugoslavia che nell'Europa occidentale. E quindi seppur senza disconoscere ed anzi essendo solidale con le "donne come vittime", vuole andare oltre; e per farlo si affida a testimonianze di donne dei Balcani che si sono impegnate attivamente per la pace, i diritti umani e sociali per una ricerca della "costruzione di uno spazio civile dove si possano affermare identità plurime".
Tra le testimonianze di resistenza femminili - "ribellioni di pace" - che si fanno voce per far sì che in primavera invece della guerra ci sia "tempo per vedere fiorire i ciliegi e i limoni", il tributo alla memoria di Neda Bozinovic, donna partigiana durante la guerra di liberazione, impegnata in politica nella Jugoslavia di Tito (segretario di Stato) e poi attivista delle Donne in Nero di Belgrado durante il conflitto jugoslavo. Storie di intellettuali, professioniste, attiviste dei gruppi pacifisti e per i diritti delle donne, che dalla Croazia, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Srebrenica e Belgrado parlano e analizzano esperienze e vissuti senza la pretesa di dare risposte definitive ma che grazie all'ascolto di altre voci trovano il modo di vivere e comunicare, superando nella soggettività e la solidarietà la dimensione passiva e omologante degli stereotipi.
Conclude il libro un capitolo dedicato al Kosovo e al "perverso ballo di travestimenti tra carnefice e vittima". L'escamotage letterario di "Una lettera di un cinese al ritorno dalla Jugoslavia," dà l'occasione per un confronto aperto tra ricostruzioni storiche e politiche albanesi, serbe e occidentali sulle vicende jugoslave. Confronto che diventa poi politico e contemporaneo con le testimonianze di attivisti serbi per i diritti umani e l'intervento di Veton Surroi, giornalista e politico kosovaro albanese che ammette con sdegno e disillusione - nell'affermarsi della "vergogna albanese: fascismo nel Kosovo"- il ripetersi di quelle violazioni e soprusi fatte dai serbi sugli albanesi kosovari.
Dalla consapevolezza dell'analisi di ciò che è stato, dall'assunzione di responsabilità, quello che questo libro fa emergere è che gli odi sono costruzioni culturali e sociali, che le identità sono multiple e definite da fattori esterni ed interni a sé, su cui ogni singola donna e uomo è chiamato ad ascoltare e ad agire.
Samuela Michilini
Le guerre cominciano a primavera. Soggetti e genere nel conflitto jugoslavo
a cura di Melita Richter e Maria Bacchi
Edizioni Rubettino, 2003