Ha ancora senso implementare programmi di sviluppo basati sul microcredito? Riportiamo una breve introduzione ad un articolo a cura di Alberto Sciortino pubblicato lo scorso aprile su Terre Libere.
"Ormai la moda è generalizzata. Da qualche anno il microcredito - anzi, la microfinanza - è la nuova frontiera delle politiche di sviluppo dal basso, delle strategie di lotta alla povertà tanto delle organizzazioni indipendenti che delle istituzioni ufficiali. Nel mondo, si calcola, esisterebbero circa 7.000 Micro Finance Institutions che beneficierebbero circa 20 milioni di persone. Nel 1997 si è svolto il primo Vertice Mondiale del Microcredito". Così esordisce Alberto Sciortino in un recente articolo pubblicato su Terre Libere. In questa frase introduttiva, ma sin dal titolo, si intuisce lo sguardo critico con il quale l'autore cerca di affrontare un aspetto delle politiche di sviluppo che dopo una forte diffidenza iniziale, sta diventando ampiamente appoggiato anche da grandi Organizzazioni Internazionali quale ad esempio la Banca Mondiale.
Nelle sue argomentazioni Sciortino inizia con il constatare che il microcredito non è in realtà nulla di nuovo ma, sia in passato, sia tutt'ora, vi sono istituzioni economiche molto simili. Basti considerare ad esempio la "tontine" sistema nel quale diversi soggetti mettono insieme periodicamente una certa somma e la destinano a vantaggio di uno di loro a turno.
Ma la prima vera puntualizzazione critica di Sciortino riguarda l'impatto che il microcredito avrebbe sui territori. A suo avviso infatti, una cosa che si nota sfogliando la letteratura specializzata e visitando i siti che di microcredito si occupano, è "la rarità delle analisi sull'impatto che essa (microfinanza) ha avuto sulle comunità e sugli individui coinvolti e in particolare dell'impatto a lungo termine". Ci si sofferma spesso, ad esempio, sull'alto tasso di recupero che caratterizza molti progetti di microfinanza che, però, per l'autore del testo, non direbbe nulla "degli effetti sui soggetti che ricevono il credito ed in generale sulla comunità in cui il sistema di microcredito si inserisce. Al più dice che il beneficiario ha ripreso dalla sua 'iniziativa economica' quello che aveva avuto in prestito, più un interesse".
Altro elemento sul quale ci si sofferma è l'autosostenibilità di questi progetti, sulla quale i promotori di questa tipologia di iniziative puntano molto. "La discussione nel settore su come raggiungere l'autosostenibilità è fittissima ..." ma " ... ad oggi solo pochissime iniziative avrebbero raggiunto quello stadio". Solo pochi cioè sarebbero riusciti a non dipendere da immissioni di credito dall'esterno.
Sciortino sembra individuare principalmente un particolare rischio che corrono i progetti di microfinanza, quello cioè di seguire sempre più criteri esclusivamente economici rischiando di privilegiare il sostegno ai soggetti che 'danno più affidamento' in termini economici tradendo così una delle premesse iniziali: il sostegno ai più poveri tra i poveri. L'autore arriva a chiedersi se "non sarà il profitto il vero obiettivo di lungo termine della microfinanza? O forse, in maniera un po' meno grezza, non sarà il tentativo di creare un nuovo settore finanziario specializzato che ha come obiettivo la sopravvivenza del ceto che lo gestisce, piuttosto che quella dei beneficiari?".
L'articolo si conclude con un esempio realtivo alla Tunisia dove "...il governo tunisino ha creato di recente una propria struttura di finanziamento della microimpresa, la Banque Tunisienne de Solidarité, affidando la gestione di parte delle somme alle ONG locali. Ma lo stesso governo tunisino sta affidando il modello di sviluppo del paese alla totale apertura commerciale, soprattutto verso l'Europa grazie all'accordo di associazione con la UE, che penalizzerà i settori artigiani e l'agricoltura non commerciale a tutto vantaggio dell'agricoltura da esportazione e dell'industrializzazione indotta dall'estero sotto forma di industrie di trasformazione. Ci si può meravigliare se in questo contesto le ONG tunisine che praticano il microcredito stiano abbandonando gli obiettivi di sviluppo, neutralizzati dalle politiche governative, e si stiano trasformando in piccole lobbies tese all'autoconservazione garantita dalla gestione di fettine di microcredito?".
Vi rimandiamo alla lettura del testo integrale dell'articolo di Alberto Sciortino, pubblicato sul sito di terrelibere.it.
Nei prossimi giorni cercheremo di seguire con attenzione questo dibattito sul microcredito, con uno sguardo particolare a ciò che avviene nei Balcani.