Esce in Italia, per i tipi di Zandonai editore, una raccolta di racconti del premio Nobel jugoslavo Ivo Andrić. Sette storie, la maggior parte delle quali inedita in italiano, che presentano lo sguardo sull'infanzia del grande scrittore. La presentazione del curatore della raccolta
I miei primi dubbi su uno sguardo narrativo di Andrić esclusivamente concentrato, come sostenuto da molti critici, sulla Bosnia come terra ai confini fra Oriente e Occidente, nacquero dal mio lontano incontro con racconti come La donna sulla pietra, Conversazione con Goya, Racconto del Giappone, Aska e il lupo.
Intuivo, da giovane, certo in modo confuso, un Andrić possente nell’ombra dei suoi romanzi maggiori, soprattutto Il ponte sulla Drina e La cronaca di Travnik, che nel mondo, oltre al premio Nobel, gli avevano meritato anche l’attributo di ‘Omero balcanico’.
Fin dall’inizio del mio esilio italiano, tuttavia, non mi fu difficile constatare che anche la ricezione italiana e, in genere, europea, di Andrić era basata su quella ‘notorietà universale’, senza una visione più approfondita della sua opera completa.
Malgrado questo e altri dilemmi di lettore, all’università e, in seguito, alla fine degli anni ’70, durante i miei primi anni di insegnamento nelle scuole superiori in Bosnia, il ‘mio Andrić’ comunque non si differenziava molto dall'Andrić ‘universalmente noto’, scrittore della complessa cosmogonia romanzesca e novellistica della Bosnia di epoca ottomana e asburgica.
La lezione di Karaulac
Nel 1980, però, fu pubblicato lo studio Rani Andrić1 (Il primo Andrić), frutto dell’annosa ricerca di Miroslav Karaulac2, saggio che avrebbe ricoperto un ruolo fondamentale nella mia percezione dell’opera di Andrić. Coscienzioso come un ricercatore che non si permette il lusso della supposizione, biografo eccellente, e inoltre uomo paziente e misurato, in quel suo studio3 Karaulac cerca di illuminare anche i dettagli in apparenza più insignificanti dell’infanzia di Andrić, della giovinezza e dei percorsi di maturazione di un autore di un’opera letteraria irripetibile. Così come lo stesso Andrić, Karaulac usa materiali storiografici e archivistici, corrispondenza e documenti amministrativi per gettare luce su quel primo periodo della vita dello scrittore, del tutto eccezionale e decisivo per il suo percorso letterario.
Trattandosi di un autore che, per quanto riguardava la rivelazione diretta di fatti personali, era rimasto il più avaro della Pleiade degli scrittori slavi meridionali, la ricerca di Karaulac fu un compito per nulla facile. Ma, “occuparmi di Andrić significava per me anche occuparmi di un’epoca e della storia”4. E - non solo in Bosnia e negli altri Paesi dell’Austria-Ungheria, ma in tutta Europa, sia nei decenni precedenti all’attentato di Sarajevo, sia soprattutto fra le due guerre – la storia non mancava.
Il giovane Andrić vi prese parte attiva: dalla sua affiliazione a società segrete, alla vicinanza ai circoli della gioventù studentesca e operaia rivoluzionaria, fino all’incarcerazione per gli ideali jugoslavi e di giustizia sociale. Tuttavia, all’interno del più vasto ambito della storia in movimento, a Karaulac non sfuggono dettagli il cui ruolo, nella formazione della visione del mondo di Andrić, non si può davvero ignorare.
L'infanzia di Andrić
Quel contesto comprende l’infanzia di Andrić a Višegrad, i suoi anni di ginnasio a Sarajevo e la prima ebbrezza per la letteratura e la rivolta sociale, gli studi di filosofia a Zagabria, Vienna e Cracovia, interrotti dall’inizio della Grande Guerra, i giorni di carcere e di internamento, i primi passi nel servizio diplomatico del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni.
Nel periodo dell’infanzia di Andrić, Karaulac trova le fonti alle quali, negli anni maturi e fecondi della creazione artistica, lo scrittore attingerà come letterato che non dimentica gli uomini e gli ambienti grazie ai quali si è formato come artista e come uomo. Così nel romanzo Il ponte sulla Drina, lo troviamo ‘nascosto’ fra gli studenti che al crepuscolo della vigilia di grandi avvenimenti si radunano alla porta del ponte (Andrić ama davvero mascherarsi, come Goya nel suo Conversazione con Goya; la maschera gli permette la distanza e, allo stesso tempo, la partecipazione alla vita e all’arte). Anche in molti altri suoi racconti i giorni dell’infanzia e della prima giovinezza di Višegrad e di Sarajevo hanno un ruolo innegabile.
Senza Rani Andrić, sarebbe impensabile il racconto Dug (Il debito) di Danilo Kiš5, presente nella raccolta postuma Lauta i ožiljci (Il liuto e le cicatrici)6. In questo eccezionale hommage narrativo ad Andrić, che Kiš considera uno dei suoi padri e maestri letterari, il ‘debitore’ di questo racconto è lo stesso Andrić sul letto di morte, uno scrittore che desidera pagare i propri debiti terreni. Per quanto riguarda quelli spirituali, – dice Kiš – quelli nessun uomo li ha mai restituiti: né a Dio, né a sua madre, alla lingua, o alla patria.
A chi Andrić (che Kiš ‘fa tornare’ alla prima giovinezza, quando nella Sarajevo dell’epoca austriaca era un salariato della Società culturale croata Napredak) vuol restituire i propri debiti terreni, e come distribuirà quelle duecento corone asburgiche? Solo qualche eccezione turba la perfetta determinazione dell’Andrić di Kiš di ‘sdebitarsi’ esclusivamente con coloro che nel periodo della sua infanzia e giovinezza hanno lasciato in lui tracce indelebili, prima di tutto con il loro impegno nell’affermazione dei valori del buono e del bello, della virtù e della conoscenza, nonché del chiaro rapporto fra pensiero, parola e azione.
Primo nell’elenco di creditori del Debito di Kiš è Ivan Matkovšek, Wachtmeister7, padre adottivo di Andrić, che gli aprì gli occhi sui paesaggi, come un militare impara dalla carta a leggere l’aspetto di un territorio; la seconda è Ajkuna Hreljić8, che per prima lo condusse per mano al di là del ponte; seguono la zia Ana Matkovšek, sorella della madre, che gli insegnò il linguaggio dei fiori e delle piante9, e altri ancora.
I piccoli uomini
In questa raccolta di sette racconti di Andrić, la maggior parte dei quali inedita, intitolata Litigando con il mondo, il lettore sentirà la voce di un profondo osservatore dell’infanzia e dei primi passi della giovinezza.
I piccoli uomini che noi chiamiamo “bambini” hanno i loro grandi dolori e le loro lunghe sofferenze, che in seguito, quando sono persone sagge e adulte, dimenticano. O meglio, perdono di vista. Ma se potessimo calarci di nuovo indietro nell’infanzia, come nel banco delle elementari da cui siamo da tanto tempo usciti, potremmo di nuovo rivederli. Laggiù, da quella prospettiva, quei dolori e quelle sofferenze continuano a vivere ed esistono come ogni realtà.10.
Un simile sguardo sull’infanzia potrebbe esser lanciato - non è vero? – solo da un uomo e da uno scrittore che non dimentica e che – senza lasciare nulla all’oblio o alla casualità dei ricordi marginali - cerchi di rendere ogni racconto uno specchio impietoso. Un simile atteggiamento nei confronti del mondo e degli uomini, essenziale e fondamentale in quel lungo percorso dalla realtà della vita alla realtà del racconto, presuppone evidentemente, già di per sé, la necessità di un’impietosa analisi dell’infanzia e dell’adolescenza e il rifiuto di ogni idea di abbellimento del tempo e dei luoghi delle prime immagini e delle prime consapevolezze dell’esistenza.
Sì, anche in questa tematica Andrić è ciò che è – uno scrittore dall’orientamento universalmente realistico, che innanzi tutto rimane eccezionalmente vicino alla vocazione dei grandi autori europei del XIX secolo. La verticale da Dickens e Balzac a Turgenev, Zola e Strindberg può forse essere laconicamente ridotta al concetto di rifiuto di qualsiasi fuga dalla realtà della società e della psiche individuale in cui si specchia il teatro del mondo.
Nel teatro del mondo dell’infanzia e dell’adolescenza di Andrić il dolore e la paura, e accanto a loro la sofferenza come inevitabile conseguenza, rappresentano gli oscuri campi emozionali sui quali l’autore punta la luce della narrazione, dalla quale emergono davanti a noi anche alcune figure diverse del mondo degli adulti, quelli che non hanno dimenticato di essere stati anche loro un tempo quei piccoli uomini che noi chiamiamo “bambini”. E questo avviene sempre nella cornice molto precisa del suggestivo milieu di una realtà intensivamente rivissuta.
1 Miroslav Karaulac, Rani Andrić, Prosveta-Beograd, Svjetlost-Sarajevo, 1980
2 Miroslav Karaulac (1932-2011), narratore, poeta e saggista, è ritenuto dal curatore di questa raccolta di racconti il miglior conoscitore del percorso di vita di Andrić
3 Una seconda edizione, ampliata e completata con un capitolo sul fascismo in Italia, sul soggiorno a Zagabria e con note sui libri letti è stata pubblicata dagli editori belgradesi Prosveta nel 2003, e Filip Višnjić nel 2010
4 Nebojša Grujičić, Pisac u istoriji (Intervista con Miroslav Karaulac), “Vreme”, n. 896, 6. marzo 2003
5 Danilo Kiš (1935-1989), scrittore jugoslavo. Fra le sue opere più significative si annoverano i romanzi della trilogia Giardino, cenere, Dolori precoci e La clessidra
6 Danilo Kiš, Lauta i oziljci, Feral Tribune, Split 1994; Beograd, 1994
7 Sottoufficiale, incaricato militare con il compito specifico di controllare eventuali cambiamenti del territorio della fascia di confine
8 Ai tempi dell’infanzia di Andrić a Višegrad, Ajkuna, giovane vicina di casa di sua zia Ana, fu la prima persona che accompagnò il futuro autore del Ponte sulla Drina al di là del ponte, la fondazione pia del gran visir Mehmed-pascià Sokolović. Quando, già famoso, Andrić ritornò a Višegrad, Andric fece visita per prima ad Ajkuna, ormai molto anziana
9 Danilo Kiš, op. cit., p. 87
10 Ivo Andrić, Deca, op. cit., pp. 54-55
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