Il discorso di Andrea Segrè a Padova, al convegno nell'ambito di Civitas 2001.
Ci sono molti modi per presentare i Balcani, questo spazio che produce più storia di quanto possa consumarne, per alcuni la vetrina del nostro continente e per altri il suo termometro, la culla d'Europa o la sua polveriera.
Cercherò di illustrare una proposta per un percorso concreto di sviluppo dei Balcani e che ruota intorno alla nozione di sviluppo locale autocentrato, un approccio che manca totalmente nel sistema degli aiuti pubblici portato avanti dalla diplomazia ufficiale in forma bilaterale. Illustrerò questo sviluppo economico endogeno, o integrato, dal punto di vista teorico.
Si tratta di uno sviluppo che porta a un capovolgimento della tradizionale logica di sviluppo, che assegna alle autorità di governo il compito di disegnare una strategia di sviluppo dall'alto, per introdurre invece un ruolo attivo dell'individuo nel contribuire ad azioni collettive di sviluppo che provengono dal basso. In questo senso la partecipazione degli attori locali diventa un punto centrale e una strategia, che comunque deve essere promossa dalle istituzioni per designare poi degli strumenti in grado di aggregare le forze locali. E' dunque un approccio molto complesso: dobbiamo capire le caratteristiche di una strategia di sviluppo endogeno e approfondire le reali potenzialità di una regione depressa, non solo attraverso dei dati quantitativi ma attraverso analisi conoscitive sul campo. Si devono promuovere delle azioni nel campo dei diritti civili, dell'istruzione, della sicurezza igienico-sanitaria, azioni dimostrative per il trasferimento di procedure che potrebbero essere introdotte, un coinvolgimento di forze locali. Bisogna poi definire il ruolo delle autorità di governo per capire le logiche di consenso, per definire un sistema credibile di tutela dei diritti dei cittadini. Occorre capire il ruolo degli attori locali, cercare di garantire attraverso forme di aggregazione il massimo coinvolgimento degli individui. E' evidente però che uno sviluppo di questo tipo, proprio per gli elementi che mette in gioco, deve fare sistema e creare delle reti, partendo dal territorio attraverso una forma di autogoverno delle autorità locali. Ciò deve avvenire in una dialettica aperta tra il locale e il globale, perché questo porti a un reale processo di integrazione.
Nella pratica c'è però un'assenza di un disegno complessivo di una ricostruzione economica nell'area balcanica: manca un coordinamento tra la miriade di organizzazioni internazionali che operano in quest'area. Ognuna di queste ha un fine, un obiettivo diverso. C'è poi un'esiguità di fondi per la ricostruzione. Il problema sta a monte: il sistema degli aiuti internazionali allo sviluppo ha altri obiettivi, l'aiuto effettivamente non aiuta i cosiddetti beneficiari, inoltre questi progetti non fanno per nulla riferimento alle realtà locali. L'approccio a questi Paesi del secondo mondo è lo stesso adottato nei confronti dei Paesi del terzo mondo.
Questa logica perversa è soprattutto miope nel lungo periodo, perché sta portando a una progressiva marginalizzazione di quelle aree. Tale marginalizzazione provocherà un forte dualismo che si rivolgerà contro lo stesso mondo occidentale, se non si farà qualcosa subito. In questo senso va letta la proposta dello sviluppo locale autocentrato, vista non in chiave alternativa, ma complementare rispetto al progetto di globalizzazione. Una chiave di lettura che si sposa perfettamente con i valori della cooperazione non governativa e del volontariato.