Uno e mille, frammentato ma tenuto insieme da mille fili, che vanno dalla musica alla cucina, passando per la trama del "racconto dei racconti", l'Odissea di Omero e Ulisse. Un numero del periodico "The Passenger" racconta l'identità multiforme del Mediterraneo
Che cos’è il Mediterraneo? si chiedeva mezzo secolo fa Fernand Braudel, patriarca della storiografia mediterranea. E rispondeva: mille cose insieme: paesaggi, mari, civiltà. Domanda secca, attuale, molto, molto complessa a cui forse non si può dare una risposta né sintetica, né univoca. Domanda che può o dovrebbe essere ripetuta spesso non solo nelle aule scolastiche e universitarie, ma anche nelle piazze e nei parlamenti. Perché rimane una domanda ineludibile, innanzitutto in relazione alle tragiche storie migratorie mediterranee di oggi e alla crisi climatica, che proprio in questi giorni è balzata agli onori delle cronache, anche per le sue conseguenze sugli ambienti marini.
Una domanda che si sdoppia in due questioni, affrontate nello scritto di David Abulafia che apre, dopo una breve e folgorante riflessione della scrittrice franco-marocchina Leïla Slimani, il nuovo numero di The Passenger. Il periodico, edito da Iperborea, raccoglie inchieste, reportage, racconti e saggi incentrati sulla narrazione contemporanea di un luogo, principalmente città o nazioni. Con due eccezioni liquide: Oceano (pp. 192, € 19,50), uscito nel giugno scorso e il più recente: Mediterraneo (pp. 192, € 22,00).
“Il mare tra le terre”, riprendendo il titolo dell’articolo di Abulafia, che chiarisce subito come questo sia storicamente uno spazio frammentato, politicamente ed economicamente, con un’unica grande unitaria anomalia: l’Impero Romano. Una frammentazione, che ha risvolti positivi e negativi, comunque accentuata dall’evoluzione recente dell’Unione europea, sbilanciata a nord. A ciò si aggiunge che “nessuno sa come affrontare il problema della migrazione trans-mediterranea”, che per antitesi, insieme al turismo di massa, sono i due fenomeni sociologici, economici, culturali e politici più rilevanti.
Ma in Mediterraneo trova giustamente spazio anche il racconto dei piaceri, quelli gastronomici, raccontati per parole da Rachel Roddy e per immagini, dalle fotografie di Piero Percoco. La giornalista, food writer and cooker, inglese, racconta fisiologia e mitologia della “dieta mediterranea”, a partire dal felice incontro del 1951 a Roma, tra due fisiologi alimentari, l’americano Ancel Keys e il napoletano Gino Bergami. Perché Keys, insieme alla moglie biologa Margaret Haney, rispose all’invito di Bergami di trasferirsi in Campania per studiare il basso livello di colesterolo presente nel sangue di umili lavoratori di mezz’età napoletani a cui se chiedevano cosa avevano mangiato ieri, rispondevano tutti: “Pasta, verdura, frutta” e solo raramente carne, pesce e latticini. Abitudini alimentari legate alla necessità, trasformatesi in piaceri mediterranei, che in questo accomunano le sue genti, così come la musica.
“Il Mediterraneo, la musica, una storia condivisa”, i tre concetti che sono state le colonne portanti delle opere di Zülfü Livanelioğlu, musicista, scrittore e attivista politico turco, che qui racconta la sua esperienza, a partire dalla sua battaglia pacifista per promuovere il dialogo e l’amicizia tra turchi e greci. “A unire la Turchia e la Grecia non è soltanto la storia o la cultura in comune, ma anche la geografia. I canti, i cibi, le fiabe, l’epica, non chiedono a nessuno di mostrare il passaporto. E lo stesso è per le linee di faglia”. E, in tempi recenti, sono stati proprio i terremoti a causare, non solo danni e morti, ma anche straordinari movimenti di solidarietà tra greci e turchi.
Non solo i canti umani, ma anche quelli animali restituiscono la mediterraneità. Tra i tanti quello delle cicale è sicuramente quello più comune, quello da cui parte Matteo Nucci, per raccontarci il suo Mediterraneo, dove l’ozio è un’arte, dove la scholè è il tempo libero dalle necessità materiali, e spesso quello più creativo, quello della scuola, nell’accezione più ampia. Scuola che, va ricordato, da scholè deriva.
Altrettanto interessanti sono i racconti dei venti scritto da Nick Hunt, del tonno di Rocio Puntas Bernet, degli odori di Valentina Pigmei, così come la playlist di Invernomuto e la bibliografia di Paolo Lodigiani, che ci ricorda come il “debutto letterario del Mediterraneo è strepitoso, un vero miracolo”, chiamato Odissea. Inoltre quelli proposti da The Passenger sono anche immaginifici reportage grafici e fotografici, viaggi narrativi per immagini di grande fascino, legate al prezioso lavoro di fotografi e illustratori. A Mediterraneo hanno collaborato una decina di fotografi, tra cui oltre a quelli già citati: Nick Hannes, vincitore di diversi premi internazionali, Tamara Saade, Rachel Cobb, Alessia Morellini che accompagna il racconto di Matteo Nucci, con due scatti adriatici: “Un colletto bianco marittimo sull’Adriatico” e “La discesa verso il paradiso, a Pesaro”. Altrettanto importanti sono le illustrazioni di Vincenzo del Vecchio che rinnovano l’antichissimo immaginario mediterraneo legato alla pittura vascolare e parietale.
Oceano
“Il singolare è d’obbligo: Oceano unico grande mare che ricopre oltre il settanta percento del pianeta”. Anche perché, come suggerisce l’oceanografa Sylvia Earle: “Bisognerebbe chiamare la Terra Oceano, perché tutte le masse terrestri sono isole”. Oceano, di The Passenger, è un articolato viaggio per parole, immagini e numeri dell’ultimo orizzonte sconosciuto, parafrasando lo scrittore svedese Björn Larsson che per l’occasione ha curato la bibliografia. Non manca anche la sorpresa di scoprire la vena musicale di un giovane, affermato velista oceanico italiano, Ambrogio Beccaria che propone la sua playlist. Lui che per anni aveva “bandito la musica dalle regate d’altura”, perché non poteva tradire la voce della sua barca, che doveva rimanere in ascolto dei messaggi fondamentali che gli mandava. Su vela, avventura e ambiente dialogano il navigatore Giovanni Soldini e lo scienziato Antonello Provenzale. Voci italiane, in un coro oceanico multidisciplinare e multiculturale di grande sapienza e fascino.
“Per riprendere le parole di Sait-Exupéry, “è il tempo che abbiamo perduto per lui” a rendere il mio Mediterraneo importante. Speciale ai nostri occhi. Poco importa la posizione geografica. Perché ciò che conta è legare i luoghi alla memoria”, scrive la scrittrice libanese Hyam Yared.
A rendere il nostro Mediterraneo indispensabile è per me ancor meno importante la nazione di nascita, mentre è importantissima l’esperienza mediterranea. Perché ciò che m’interessa è l’appartenenza e non l’identità. Perché gli uomini non hanno radici ma gambe, perché la mediterraneità non la si eredita, ma la si costruisce e la si esperisce.