Memorie dimenticate, manipolate, usate come armi. Il percorso tortuoso che ci porta al 10 febbraio, giornata del ricordo delle vittime delle foibe e dell'esodo. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Di Federico Degni Carando*
Negli ultimi anni, in Italia gli appuntamenti con la "memoria" seguono un calendario che va dalla Giornata del 27 gennaio, dedicata alle vittime della Shoah, al Giorno del Ricordo del 10 febbraio, dedicato alle vittime delle foibe ed all'esodo da Istria, Quarnero e Dalmazia.
Di solito, di questi tempi, riprendo in mano i testi dei filosofi a me più cari: Locke, Hume, Mill e Kant. Si tratta dei grandi illuministi impegnati a trovare una mediazione tra ciò che è "utile" alla società, ciò che è "morale" e ciò che è "giusto". Mi sento di poter dire che se il XX secolo fosse stato condizionato di più dall'illuminismo e meno dall'idealismo romantico, drammi come quelli che ricordiamo in questi giorni non ci sarebbero stati.
Oggi, nel 2008, è nostro dovere far sì che simili tristi pagine non si ripetano. A questo proposito, sarebbe interessante riflettere e porsi le seguenti domande: la "memoria" è giusta? Ma, soprattutto, la "memoria" è morale? Parto dal presupposto che non tutto ciò che è giusto sia anche morale.
La mia memoria è quella della Resistenza. In questo senso, mi sono sempre sentito in sintonia con la Giornata della Memoria del 27 gennaio. Mi sono sentito spesso lontano, invece, dal Giorno del Ricordo del 10 febbraio. Tutto ciò è giusto? Credo di sì: partecipando ad una memoria piuttosto che ad un'altra non si trasgredisce nessuna legge. E' morale? Credo di no: le vittime del 10 febbraio sono forse diverse da quelle del 25 aprile o del 27 gennaio? La risposta è no.
Il 27 gennaio appena trascorso, a Tarquinia, non lontano da Roma, è stato esposto uno striscione (immediatamente rimosso) con scritto: «Sessanta anni di ipocrisia e infamità non cancellano la vostra viltà. Onore ai martiri delle Foibe, altro che la vostra Shoah!».
In questo, come in slogan simili, sta il "tarlo della memoria". Chi ragiona in questo modo non è per il ricordo delle vittime delle foibe, ma piuttosto le strumentalizza, le usa contro le vittime della Shoah. Questo modo di agire non è né giusto, né morale.
Credo che l'unico modo per una memoria giusta e morale sia dunque una memoria non lottizzata. Mi riferisco alla famosa "memoria condivisa", di cui spesso si è parlato, e si parla, nel nostro Paese.
E' la memoria di tutti gli italiani che dopo 60 anni decidono di mettere da parte gli steccati ideologici del passato. E' la memoria per cui i discendenti degli infoibati portano i fiori sulle tombe dei partigiani e allo stesso modo noi discendenti dei partigiani portiamo i fiori sulle foibe.
Ma l'iter, lungo, complesso e tortuoso, non sarebbe completo se non si tenesse conto di un'altra componente della memoria. Mi riferisco a chi, dagli appuntamenti del 27 gennaio e del 10 febbraio, è stato in qualche modo escluso. Parlo delle migliaia di cittadini italiani di lingua slovena o croata che furono perseguitati per venti lunghi anni dal fascismo. I loro nomi e cognomi furono cambiati da un giorno all'altro, italianizzati a tavolino; fu vietato l'uso delle loro lingue perfino durante le omelie domenicali, ma quel che è più drammatico e che molti di loro furono sterminati nei campi di concentramento istituiti nei pressi del confine orientale. I più tristemente famosi sono quelli di Gonars, presso Udine, ed Arbe, in Dalmazia. Stiamo parlando di migliaia di persone che avevano un'unica colpa: quella di parlare sloveno o croato, di sentirsi sloveni e croati e non italiani. Queste vittime sono forse diverse da quelle del 27 gennaio o da quelle del 10 febbraio? Purtroppo, negli ultimi anni, questi protagonisti della "memoria dimenticata" sono diventati oggetto a loro volta di strumentalizzazioni.
Il loro martirio è stato portato alla ribalta da chi non è per la memoria delle vittime dell'italianizzazione forzata, ma contro le vittime delle foibe. Siamo di nuovo ad un uso ingiusto ed immorale della memoria. Un uso assolutamente da condannare.
Per questo, credo sia ora, dopo 60 anni, di mettere la parola fine all'uso "lottizzato" della memoria: i miei hanno sofferto più dei tuoi, i tuoi hanno ucciso i miei, ecc. ecc. Quante persone in questi anni hanno usato il cosiddetto "sangue dei vinti" per demolire i valori della Resistenza? Quante persone in questi anni hanno rifiutato la memoria di persone in totale buonafede solo perché appartenenti ad uno schieramento piuttosto che ad un altro? E' giusto? E' morale? No. Non lo è. Dobbiamo dunque riflettere ed impegnarci tutti ad un "uso" corretto, giusto e morale, della "memoria". Utilizzarla come una clava per distruggere la memoria altrui è quanto di peggio si possa fare. Negli anni passati avrei voluto "sentire" anche mio il 10 febbraio, ma il solo leggere alcuni slogan (per fortuna in una ristretta minoranza di casi) che davano a dei non meglio identificati "slavi" delle colpe di popolo, mi hanno frenato. Tra la gente dell'ex-Jugoslavia conosco persone che potrei additare ad esempio di integrità morale nel senso più kantiano del termine: il solo parlare di "colpe slave" le offende. Ed offendendo loro offende me. Sono forse gli sloveni ed i croati di oggi colpevoli per le colpe di alcuni dei loro antenati? Ci sono forse colpe di "popolo"?
Ricordare per alzare nuovi steccati tra italiani, sloveni e croati non farà che gettare nuove basi per nuovi drammi. Credo sia giunto il momento di ricordare tutto insieme e tutti insieme. Comincerò personalmente il prossimo 10 febbraio.
*www.degnicarando.eu