L'anno scorso, in occasione del Giorno del Ricordo, tra Napolitano e Mesic si era sollevato un polverone. Quest'anno i discorsi ufficiali sono stati più moderati, all'insegna della comune strada europea. Ma non sono mancate le polemiche
"Ho espresso con chiarezza il mio pensiero lo scorso anno. E qualche reazione inconsulta al mio discorso - che vi è stata fuori d'Italia - non ha scalfito la mia convinzione che fosse giusto esprimermi, a nome della Repubblica, con quelle parole e con quell' impegno... ".
Ha esordito con queste parole, il presidente Giorgio Napolitano, nella commemorazione dedicata al giorno del ricordo - la seconda nel suo mandato - in cui si omaggia la memoria dell'esodo e delle vittime delle foibe. Un discorso, quello che il presidente ha letto in seguito a questo prologo, ben più cauto e più ampiamente condivisibile rispetto alle pesanti considerazioni rivolte l'anno scorso ai popoli slavi vicini.
Questa volta Napolitano ha messo alla berlina "gli opposti totalitarismi", i nazionalismi, "la gretta visione particolare", "l'acritica esaltazione della propria identità etnica" e il "disprezzo dell'altro", colpevoli, a detta del presidente, di aver "fatto precipitare il nostro continente nella barbarie della guerra". Quindi, implicitamente, anche il nazionalismo italiano, che, con il fascismo, fu indubbiamente tra i protagonisti e i maggiori responsabili della grande tragedia di allora.
Ma le prime frasi, dove per "reazione inconsulta" s'intendono ovviamente le considerazioni polemiche rivolte l'anno scorso dal presidente croato Stipe Mesić, sono bastate ad irritare nuovamente l'omologo d'oltre Adriatico. Napolitano infatti non ritira una virgola di quanto detto lo scorso anno, e cio' viene letto come una riconferma di quelle controverse valutazioni che tiravano in ballo "l'espansionismo slavo" e la sua "barbarie".
Mesić ha risposto per le rime, adottando lo stesso escamotage del collega italiano: non ritira una sola virgola di quanto ebbe a dire l'anno scorso, replicando allora a Napolitano. E aggiunge che l' insistenza del presidente italiano su quelle tesi non sarebbe in armonia con lo spirito del loro recente incontro a Brno e nemmeno di quell'unità europea tanto invocata nel suo stesso discorso.
Più benevola la reazione del premier Ivo Sanader che non considera particolarmente importanti certi discorsi presidenziali e auspica un'interpretazione obiettiva delle tragedie belliche "la cui valutazione andrebbe lasciata agli storici" e ricorda che le le possibilità offerte oggi dalla scienza renderebbero presto giustizia alla verità sulle foibe e sui crimini perpetrati da entrambe le parti.
E la Slovenia? Il presidente Danilo Türk commenta diplomatico ma chiaro; il discorso di Napolitano - secondo lui - offre spunti di giusta riflessione, ma "sarebbe stato migliore se il presidente italiano avesse chiamato col suo nome quel totalitarismo che piu' di altri contribuì alla barbarie: il fascismo". E la TV di stato attribuisce a Napolitano un'infausta battuta sulla "pulizia etnica" che in verità questa volta non c' è stata, almeno non direttamente.
Türk si è di recente incontrato ben due volte con l'omologo italiano, a Lubiana e a Roma. Gli incontri sono stati cordiali, all'insegna di un bon ton molto ostentato. Di problemi non si è parlato, e non sono passati inosservati nemmeno gli incontri che i due presidenti hanno avuto, a Lubiana e a Roma, con le due minoranze, quella slovena e qualle italiana. Un buon inizio in cui Türk ha voluto sfoderare tutto il proprio savoir faire diplomatico, suscitando persino critiche e perplessità di chi vorrebbe che la Slovenia affrontasse a testa più alta alcuni problemi ancora insoluti: ad esempio la restituzione delle opere d' arte istriane, esportate dal governo italiano all' inizio della Seconda guerra mondiale.
Ma a sollevare un vero e proprio polverone in Friuli Venezia Giulia, soprattutto tra le organizzazioni degli esuli istriani, che Lubiana insiste a chiamare "optanti", e tra i soliti politici antisloveni, è stata soprattutto la reazione della polizia slovena che ha cercato di ostacolare l'arrivo di un' ottantina di affiliati all' Unione degli Istriani alla foiba di Rodik, sul Carso sloveno, per omaggiare le vittime che - secondo loro - sarebbero finite nel dopoguerra anche in quell'anfratto. Caduto il confine di Schengen, la comitiva, guidata dal giovane presidente dell' associazione Massimiliano Lacota, è stata diffidata dagli agenti sloveni dall' inscenare una manifestazione non autorizzata, pena una multa, che di fatto gli esuli hanno dovuto pagare per aver trasgredito alla legge. Il caso ha arroventato gli animi e ora gli esuli istriano-dalmati gridano al controllo illecito, forse alle intercettazioni dei loro membri da parte delle autorità di Lubiana, visto che la polizia slovena era lì ad attenderli, nonostante la manifestazione non fosse stata annunciata alle autorità competenti. Ma la polizia slovena sdrammatizza: "Seguiamo le mosse delle associazioni degli esuli sui loro siti on-line che sono legali e accessibili a qualsiasi utente di internet. Anche a noi".