Svetozar Cvetković

A Trieste la prima in Italia di "Risveglio dai morti", film del regista Miloš Miša Radivojević. Un film sul fallimento di una generazione. Un'intervista ad uno degli attori protagonisti, Svetozar Cvetković, a cura di Nicola Falcinella

12/12/2005 -  Nicola Falcinella

Figlio contro padre mentre la Serbia è sotto le bombe della Nato. Il confronto lo ha messo in scena Miloš Miša Radivojević, uno dei maggiori registi serbi (fu compagno di corso di Alexandar Saša Petrović, si rivelò nel 1981 con "Un giovane promettente - Dečko koji obečava"), in "Budjenje iz mrtvih - Risveglio dai morti".

Nel ruolo dello scrittore quarantenne fallito che, nel marzo 1999, ritorna dalla tomba per visitare la famiglia, recuperare il tempo perduto e fare ciò che non aveva mai osato fare c'è Svetozar Cvetković. Abbiamo incontrato l'attore, anche produttore, a Trieste dove è stato ospite de "I mille occhi", il festival che ha ospitato la prima italiana del film, dedicato alla "generazione sepolta", coloro che non hanno osato ribellarsi e hanno pagato le scelte dei padri.
Svetozar Cvetković, com'è stato accolto il film in Serbia?
La critica l'ha recensito molto bene e al Festival di Belgrado abbiamo anche ricevuto il premio per la migliore sceneggiatura. Gli spettatori rimangono in qualche modo scioccati, ma seguono con molto interesse l'intero racconto dall'inizio alla fine. Peccato che fino a oggi non l'abbiano visto in tanti. L'apparente disinteresse è dovuto al fatto che l'argomento del film rappresenta un tabù che si cerca in tutti i modi di evitare. La gente non ha il coraggio di guardare in faccia la realtà e il film li costringe a fare proprio questo.
Perché avete rappresentato il gruppo di amici del protagonista quasi fossero una generazione di falliti?
La nostra è una generazione di falliti per colpa dei nostri genitori, che prendevano tutte le decisioni al posto nostro. La maggior parte dei nostri coetanei, che possono sembrare anche dei professionisti brillanti e di successo, sono in realtà dei falliti e frustrati: hanno studiato e svolto una professione della quale non gli è mai importato niente. Il figlio non poteva studiare arte o una qualsiasi facoltà umanistica. I genitori non glielo permettevano e questo divieto dei padri nei confronti delle aspirazioni dei figli rappresentava già allora una repressione della rivoluzione e delle loro aspirazioni. Tutti volevano che diventassimo degli ottimi scienziati, applicassimo le formule e non sviluppassimo il nostro senso critico.
Questo è un punto di vista popolare o riguarda solo un'élite?
E' un pensiero molto diffuso ma tra un ristretto cerchio di persone. Credo sia normale che noi, nel senso di artisti o intellettuali, ci battiamo per uno stato di cose nettamente diverso di quello ambito dalla gran parte della popolazione. E d'altro canto è anche logico che la massa popolare non possa avere i nostri stessi traguardi. Addirittura noi, che abbiamo realizzato il film, abbiamo avuto delle discussioni e anche il dialogo tra il padre e il figlio che alla fine in qualche modo segna la differenza tra una visione progressista ed una conservatrice delle cose, non viene sempre inteso in un modo così schietto. Ci sono molti grigi anche tra coloro che sostengono di essere progressisti, ma che poi magari in realtà non lo sono. Spesso è successo che durante le proiezioni i monologhi di Ljuba Tadic, il padre, venissero sostenuti da numerosi applausi, vere e proprie ovazioni, e ciò anche in Montenegro. Credo che il regista abbia saputo fare molto bene tutto questo, senza far capire agli spettatori da quale parte fosse schierato egli stesso. Al punto da far fare un ruolo completamente inviso allo stesso Tadic, che non riusciva a capire perché dovesse interpretare delle posizioni così lontane dal suo credo politico. L'intero film è in qualche modo costruito su dei contrasti e direi che è stato percepito in modo ambivalente anche dalle diverse generazioni.
La produzione ha dovuto affrontare qualche problema, per l'argomento sostenuto?
La produzione non ha avuto problemi. Anzi, anche dopo che è uscito, abbiamo rilasciato molte interviste e spot pubblicitari sono stati trasmessi dalla tv serba. Nel 1993 abbiamo realizzato un film commerciale e divertente, che ha ricevuto molti premi e un inaspettato successo, cosa che da noi rappresenta un problema, nel senso che da lì in poi nessuno ti farà più lavorare. Nel 2003 ci eravamo messi in testa di voler fare un film su Goli Otok, perché Miša aveva conosciuto un testimone che ci poteva raccontare molte cose interessanti. Ma il progetto si era rivelato da subito impossibile e allora Miša ha deciso di scrivere una sceneggiatura diversa. Nell'arco di due mesi l'ha finita e il progetto l'abbiamo intrapreso da soli, senza alcun finanziamento del ministero o degli altri enti. Quando avevamo già fatto le riprese e montato gran parte del materiale, abbiamo attinto a dei fondi, ma soltanto per lo sviluppo delle copie. È interessante il fatto che a nessuno è mai venuto in mente di criticare il film come sovversivo o anti-governativo; al massimo ci è stato detto che l'argomento non interessa a nessuno. Anche durante l'anteprima, al Sava Center di Belgrado, un gruppo organizzato di persone ha scandito degli slogan contro le tesi del film e una cosa molto simile ci è successa anche in Canada, dove un gruppo di 3-4 persone ci ha aggredito rinfacciandoci che non possiamo parlare così del nostro popolo. A Belgrado sanno che il soggetto del film è introspettivo e che sosteniamo la tesi di una colpa collettiva, ma nessuno ha osato criticare apertamente questo nostro modo di affrontare le cose.
Come vede la situazione attuale?
In questo momento stiamo vivendo una totale anarchia di valori, ideali e convinzioni. Dopo la morte di Djindjić, chi l'ha ucciso è stato considerato un criminale, ma lo si sarebbe potuto identificare anche come un eroe, un po' come quando andavo a scuola io e mi veniva insegnato che Gavrilo Princip, dopo che aveva ucciso Francesco Ferdinando, fosse in sostanza un eroe. Uno dei nostri miti è stato dunque un uomo che oltre ad aver ucciso un imperatore, ha ucciso anche sua moglie, che in quel momento aspettava un bambino. Sono i corsi e i ricorsi della storia. Ho una figlia che frequenta la seconda media e nel suo programma scolastico di storia e geografia è stato completamente cancellato il periodo tra il 1945 - 1991, cioè il periodo in cui esisteva la Jugoslavia. Sanno che esisteva una nazione, ma ignorano tutto il resto. Questa cancellazione ha distrutto anche tutti gli ideali della mia generazione. A mia figlia non viene insegnato chi fosse stato Tito; per me lui rappresentava tutto e io avevo assistito al suo funerale, che percorse tutta la Jugoslavia, piangendo.
Anche il film di Paskaljević un anno fa ha avuto difficoltà a farsi accettare nei maggiori festival. Credete che l'Europa occidente non accetti i film che arrivano dall'ex-Jugoslavia, se non si tratta di storie insieme tragiche e grottesche?
Paskaljević alla fine ce l'ha fatta, perché l'hanno invitato ad alcuni festival e ha vinto anche numerosi premi. In più il film di Paskaljević è molto diverso dal nostro, narra una storia più intimista, mentre noi abbiamo cercato di riprendere gli animi di un'intera nazione. Abbiamo realizzato un affresco dedicato anche a quanti non vivono più in Serbia, ma che però si sono portati dietro questo incubo o perlomeno quest'ombra, che ci ha segnati tutti. Il fatto che non ci abbiano invitati, o ci abbiano rifiutato la partecipazione a molti festival non mi ha colpito più di tanto. Mi ha fatto molto più piacere vedere le facce e le espressioni di coloro che si sono visti il film, i gruppi di 10-15 selezionatori toccati e impressionati che ci guardavano con rispetto ma anche paura perché abbiamo avuto il coraggio di affrontare un argomento politicamente così tosto e forse anche scorretto. Sicuramente molto difficile da presentare sia in Europa che in America. Da molti dei selezionatori ci siamo spesso sentiti dire che se non fosse per questa o quella scena il film sarebbe stato accettato. In particolar modo per la scena finale in cui si vede il bimbo con la pistola in mano. È stata spesso additata come politically uncorrect e ci sono state fatte molte obiezioni.
La prima italiana del film è a Trieste ...
Siamo felici di essere a Trieste, nella città dove ha vissuto la gloriosa emigrazione serba, dove si è istruita e organizzata economicamente e da dove ha sempre aiutato il suo popolo. Perché i serbi a Trieste si dimostrarono dei veri e propri costruttori dell'Europa.