La targa di "Campo de la Madonna de l'orto"

Venezia - Fabio Fiori

“Il giardino di Venezia di cui racconto la storia era un tempo una duna melmosa. Ignaro del suo dolce destino, era rimasto per migliaia di anni nel grembo delle acque adriatiche”, racconta Fredric Eden nel libro "Un giardino a Venezia", incipit per Fabio Fiori per scoprire una "venezianità fatta di alberi e arbusti, di erbe e fiori"

28/10/2022 -  Fabio Fiori

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“Non si dice forse Venezia tomba dei fiori?”, si chiedeva Frederic Eden nella seconda metà dell'Ottocento, stufo dell'acqua, “stanco di rosa e grigio, di blu e rosso”. Un vecchio detto veneziano che diventa una domanda utile anche oggi, quantomeno per invitarci a un'esplorazione più attenta della città lagunare, fatta camminando per fondamenta e calli meno battute, leggendo cronache e testimonianze meno note. Perché Venezia è conosciuta nel mondo per le sue chiese, i suoi canali, le sue piazze. Pochi invece conoscono i suoi giardini,

meravigliose oasi di pace. Forse qui più che altrove, in relazione alle ristrettezze insulari e urbane, a cui s’è andata sommando una nuova invasione barbarica, mossa dalla fede turistica. Ma di giardini a Venezia ce ne sono tanti, grandi e piccoli, più o meno frequentati, a cui si aggiunge qualche orto più o meno fruttuoso, senza dimenticare la vigna ritornata da poco produttiva del monastero di San Francesco della Vigna, che da sola vale un viaggetto, magari feriale. Mi piace pensare che della sacralità del verde a Venezia sia testimone anche la Chiesa della Madonna dell'Orto.

Tra i giardini, preferisco quello piccolissimo e recintato di Carlo Scarpa, il Giardino delle Sculture, progettato nel 1952 per la Biennale di Venezia, tra il Padiglione Centrale e la Biblioteca dell'Archivio Storico delle Arti Contemporanee. Un rettangolo di dieci per quindici metri, un cortile-giardino che gioca con la luce e l'ombra, l'acqua e il cemento, le foglie e i fiori. Tre grosse colonne a sezione ellittica sostengono un tetto a baldacchino rettangolare con intarsi circolari. È stretto dai muri dei due edifici e da altri due con mattoni a vista, completamente ricoperti dalle foglie di vite giapponese. Lo spazio a terra è per tre quinti piastrellato, e per due quinti occupato dall'acqua che è la coprotagonista del cortile, alla maniera dei giardini Zene. Ci sono poi altre erbe e arbusti di reminiscenza orientale: felci, agrifogli, lonicere, giaggioli, ninfee e bambù. Tutte le volte che vado alla Biennale porto con me una raccolta di haiku e mi godo qui qualche momento di pace, leggendo una poesia, guardando il cielo, ascoltando il vento. “Nel cadere al suolo, / stilla / dalla corolla / l'umore di un fiore di geranio”. Mi sono permesso questa variazione su un haiku di Matsuo Basho, in un scintillante mattino del giugno scorso, proprio seduto sui gradini del Giardino delle Sculture. Ho sostituito camelia con geranio, perché il rosa punteggiava la verde bordatura, perché il profumo impreziosiva la tiepida seduta. Qualche anno dopo, Carlo Scarpa ha progettato a Venezia anche un altro giardino, più grande e altrettanto suggestivo all'interno del Palazzo Querini Stampalia, sede dell'omonima Fondazione. Un luogo dove anche l'acqua salata è benvenuta, in un geometrico intreccio di natura e cultura, di mobilità acquea e immobilità litica. Pietre di ieri e di oggi, marmi e cementi accostati con tutta la sapiente abilità di un maestro dell’architettura.

Non so se Scarpa abbia letto il libretto di Fredric Eden A garden in Venice. Un giardino a Venezia, pubblicato la prima volta nel 1903 (Pendragon, 2008; 143 pp, 13 €), ma sospetto di sì. Di certo avrebbe apprezzato l'incipit: “Il giardino di Venezia di cui racconto la storia era un tempo una duna melmosa. Ignaro del suo dolce destino, era rimasto per migliaia di anni nel grembo delle acque adriatiche”. È l'inizio della cronaca di un giardiniere d'eccezione: Eden, che ha nel cognome esplicitato un destino. Inglese, nato nel 1828, divenne proprietario di una villa e del suo parco sul versante sudorientale dell'isola della Giudecca e dal 1884 si dedicò al suo riordino, mantenendo in parte anche la sua specificità orticola. Va detto che

poi, nella seconda metà del Novecento, la villa e il giardino passarono nelle mani di Friedensreich Hundertwasser, eccentrico architetto, artista ed ecologista che si definiva medico dell'architettura, che decise di chiuderlo al pubblico e farne un'oasi di selvatichezza. Così noi oggi possiamo solo immaginare la sua favolosa esuberanza, osservando i cascami arborei quando navighiamo al fianco del suo muro perimetrale meridionale o passeggiamo sulla Fondamenta Rio Croce. Una breve, affascinante storia dei passaggi di proprietà del giardino, fino al 2007 la racconta Ida Tonini nella postfazione, mentre notizie più aggiornate si trovano in rete.

Ma l'aura originaria del Giardino Eden la ritroviamo in un'altra recente ristampa: Giardini di Venezia. Un Viaggio nel verde e nelle gemme artistiche della laguna (Pendragon, 2022; pp. 190, 16 €). Scritto da Gino Damerini, giornalista, storico e scrittore veneziano, e pubblicato nel 1927, è insieme un canto al verde che spariva e una denuncia del cemento che avanzava. Qui troviamo risposta alla domanda da cui siamo partiti. “Venezia tomba dei fiori … eppure “La sola Venezia contava un giorno più giardini botanici privati che ne conta oggi l'Italia” poteva scrivere il Visiani nel 1840”. Questo di Damerini può ancora oggi essere utilizzato come una guida, tra passato e presente con tanto di mappa, per scoprire i giardini veneziani a partire da quelli con la g maiuscola di Giardini, un grande spazio verde urbano, realizzato a partire dall'editto napoleonico del 7 dicembre 1807 in cui si legge: “Nell'isola circoscritta dal rivo San Giuseppe e dalla laguna, compresa la così detta Motta di Sant'Antonio, si formerà una passeggiata pubblica con viali e giardino”. Giardini che vennero poi realizzati su disegni di Antonio Selva. Giardini che in parte ospitano, a partire dal 1894, la Biennale d'Arte. Giardini dove è bello ancora oggi andare per fuggire dalle orde barbariche, per respirare aria di mare, per ritrovare una venezianità fatta anche di alberi e arbusti, di erbe e fiori, perché qui Venezia è culla dei fiori, di quelli che più amo, quelli selvatici di malve e radicchi.