L'Europa può rappresentare un contrappeso alla deriva di potenza armata e di modello sociale individualistico che sembra imporsi nel mondo. A partire però dalla riaffermazione dell'umanesimo all'interno dei propri confini

28/05/2004 -  Andrea Rossini

Sabato 29 maggio, nel quadro delle Giornate dei Diritti Umani di Mantova, si terrà l'incontro promosso da Osservatorio sui Balcani su "I Diritti Umani dentro e oltre l'Unione a venticinque". All'incontro parteciperanno Franco Juri, Paolo Bergamaschi, Michele Nardelli e Wiktor Osiatynski

Dal 1989 al 2004

Il 12 e 13 giugno prossimi 454 milioni di cittadini voteranno per il rinnovo del Parlamento europeo. Dopo l'allargamento a 10 nuovi Paesi, celebrato il primo maggio scorso, il prossimo voto rappresenta una delle tappe più importanti del percorso avviato nel 1989.

Con la caduta del muro di Berlino, avvenuta nel novembre di quell'anno, l'Europa avviò un programma economico e politico di sostegno e apertura nei confronti dei Paesi appartenenti all'ex sistema sovietico, nel tentativo di riunificare il continente diviso dalla guerra fredda.

La complessità - e fragilità - di questo percorso di transizione, la oggettiva distanza creata da mezzo secolo di cortina di ferro, infine la tradizionale cautela dimostrata dagli Stati dell'Unione verso il trasferimento di sempre maggiori competenze a Bruxelles, hanno tuttavia impedito sino ad oggi all'Europa di affermarsi pienamente in quanto soggetto autonomo e indipendente nelle relazioni internazionali.

L'avvio dell'era cosiddetta della globalizzazione ha visto nascere un mondo unipolare, guidato dagli Stati Uniti, diretto sotto il profilo teorico da una unica ideologia di riferimento (il c.d. "pensiero unico"): il neoliberismo.

L'appello degli intellettuali europei

Nel maggio scorso, un gruppo di intellettuali europei tra i quali, Jacques Derrida, Jurgen Habermas ed Umberto Eco, con una serie coordinata di interventi pubblicati da diversi quotidiani europei, ha posto con forza il tema dell'Europa come luogo "della memoria dello stato di diritto", e "contrappeso alla deriva di potenza armata e di modello sociale individualistico" che sembra affermarsi nel mondo.

Sul piano giuridico, la Convenzione Europea per i Diritti dell'Uomo e le Libertà Fondamentali, che tutela il cittadino anche di fronte all'eventuale arbitrio del proprio Stato, rappresenterebbe la summa della grande tradizione normativa di affermazione dei diritti umani. Sul piano economico e sociale, il sistema europeo del welfare e della proprietà collettiva dei grandi beni comuni - come l'acqua - sarebbe un ulteriore tassello della alterità europea rispetto alla deriva neoliberista in atto altrove.

Umanesimo contro neoliberismo

Le due sponde dell'Atlantico, divise sul piano economico dallo scontro tra euro e dollaro, rappresenterebbero quindi due diversi poli, definiti per semplicità come umanesimo e neoliberismo.

Alcuni osservatori, considerano la stessa vicenda irachena come fase della inevitabile contrapposizione. Con l'obiettivo (raggiunto) di dividere l'Europa tra "vecchia" e "nuova" (D. Rumsfeld), gli Stati Uniti avrebbero cooptato in chiave subalterna una parte dei Paesi europei nell'avventura bellica proprio per spaccare l'Unione in un delicato momento della sua costruzione politica.

Allo stesso modo, su di un piano altamente simbolico - gli Stati Uniti stanno conducendo una aggressiva campagna, in particolare nei Paesi della Europa centrale e orientale, per cercare di limitare la giurisdizione della Corte Penale Internazionale, creata a Roma nel 1998. Questo tipo di politiche sembrano obiettivamente distanziare sempre di più i due poli.

Quale Europa?

Nonostante i successi ottenuti nella progressiva integrazione economica, e in particolare la unificazione monetaria, l'Europa invocata come possibile fattore di (ri)equilibrio mondiale dimostra una endemica timidezza nell'agire da soggetto politico. Questo non solamente all'esterno, ma anche all'interno dei propri confini, come drammaticamente evidenziato nel corso del recente decennio di guerre nei Balcani.

La stessa difficoltà nella elaborazione della propria Carta Costituzionale, così come le recenti diatribe intergovernative sulle regole di funzionamento dell'Unione, mostrano che, a quasi mezzo secolo dalla firma dei Trattati di Roma, non tutti concordano su cosa l'Europa dovrebbe essere.

In particolare: una gigantesca area di libero scambio o un soggetto politico autonomo, costituitosi a partire dai valori della Pace, della solidarietà, dell'inclusione, con un proprio peso specifico nello scenario internazionale?

Il permanere, nel cuore stesso dell'Europa, di un buco nero (l'area balcanica) governato da protettorati internazionali, definito dalla instabilità, attraversato dalle mafie e dalla deregolamentazione più totale, toglie autorevolezza ad un qualsivoglia orizzonte politico di più ampio respiro.

Lo stesso coraggioso processo di allargamento a 10 nuovi Stati è - nel momento stesso della sua affermazione - attenuato da una serie di limitazioni, in primo luogo quella alla libertà di movimento delle persone, clausola transitoria che sembra alludere ad inaccettabili differenziazioni nei diritti dei diversi cittadini dell'Unione.

Infine, qual è l'idea di Europa che portano a Bruxelles i dieci nuovi Stati, molti dei quali firmatari della Dichiarazione di Vilnius, molti dei quali apparentemente più attratti dalla concretezza della Nato che dalla indeterminatezza del percorso di costruzione europeo?

Il percorso dell'Osservatorio sui Balcani

Lo scenario internazionale è oggi caratterizzato dalla drammatica situazione di guerra in Iraq e Medio Oriente, che sembra dare fondamento ogni giorno di più alla retorica sullo scontro tra civiltà. Il quotidiano bollettino di morte e distruzione che ci viene comunicato dagli organi di informazione ci fa sentire sull'orlo di un baratro. Quale può essere il ruolo dell'Europa, e di noi cittadini europei, di fronte a quanto sta avvenendo? L'Unione Europea può effettivamente rappresentare un modello alternativo rispetto ai fondamentalismi che si stanno affrontando sul campo con la forza delle armi?

Osservatorio sui Balcani, insieme a molte altre associazioni ed enti locali, ha avviato tre anni fa la campagna "Europe from Below - L'Europa dal Basso", per promuovere la rapida integrazione in Europa dell'area balcanica. Questa iniziativa, pluriennale, è dettata proprio dalla convinzione che l'Europa non può essere solo un progetto tecnico, guidato da parametri economici, ma deve anche e soprattutto qualificarsi come soggetto politico. Una Unione politica, in un luogo come i Balcani, simbolo dell'incontro tra Oriente e Occidente, microcosmo di tutte le differenze che compongono la identità europea, potrebbe annacquare l'importanza dei propri confini interni, disinnescare le tensioni che ancora attraversano il continente, affermare il diritto di tutti i suoi cittadini alla Pace. Questo è stato il senso della iniziativa da noi realizzata a Sarajevo, nell'aprile 2002, insieme al Presidente della Commissione Europea Romano Prodi, così come del viaggio dello scorso anno sul Danubio da Vienna a Belgrado.

E' a partire da questo, forse, che l'Europa può ambire a rappresentare la propria alterità anche sul piano dei rapporti internazionali. A partire dalla affermazione all'interno dei propri confini delle caratteristiche imprescindibili di un umanesimo basato sulla Pace e sui diritti sociali, non solo sulla moneta, sul dialogo tra tutte le differenze che compongono la identità dello spazio europeo, come fulcro per poter estendere la cultura dei diritti dell'uomo anche oltre la Unione dei venticinque.

Vedi anche:

Europa: un allargamento senza Balcani

Una guerra contro l'Iraq, una guerra contro l'Europa